Vi abbiamo raccontato come il settore del mobile made in Italy abbia intrapreso un percorso virtuoso verso la responsabilità estesa del produttore e la gestione sostenibile dei mobili che non servono più: oggi ne parliamo coi protagonisti.
Claudio Feltrin, presidente FederlegnoArredo, da alcune settimane avete dato vita ad un consorzio – il Consorzio Nazionale Sistema Arredo – per gestire il fine vita dei mobili, in linea con i sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR), impiegati in Europa per un numero sempre maggiore di tipologie di beni. Ma in Italia un sistema EPR per il mobilio non c’è ancora: perché avete deciso – un po’ come il settore tessile – di precorrere i tempi?
Perché? È presto detto. Se sei leader, lo devi dimostrare. Devi sapere mantenere la leadership. FederlegnoArredo rappresenta una filiera leader a livello mondiale: il design made in Italy è riconosciuto come il migliore o uno dei migliori al mondo. Un primato conquistato negli anni con il duro lavoro delle nostre aziende, che partendo da lontanissimo hanno creato prodotti sempre più belli, sempre più performanti sotto l’aspetto tecnico ed estetico. È chiaro che il mondo va avanti, le esigenze cambiano, le sensibilità cambiano. Le parlo ad esempio della mia esperienza di imprenditore che esporta oltre il 90% dei suoi prodotti: ci siamo “spontaneamente”, volenti o nolenti, orientati verso la sostenibilità proprio perché girando il mondo lavoriamo anche in mercati “più evoluti”, più sensibili a questo tema rispetto all’Italia
Quando sono entrato alla guida della Federazione, a chi mi faceva presente che non c’era nessuna necessità di spingere in questa direzione, rispondevo che secondo me le cose sarebbero cambiate molto rapidamente, anche perché parliamo di questioni enormi come quelle climatiche. Ora, non vorrei essere additato come menagramo, ma poi è arrivato il movimento di Greta Thunberg: che, al di là delle opinioni personali, ha dimostrato una forte sensibilità sul tema di quella fascia di mercato futuro che sono i giovani. È stato un segnale decisivo per capire che l’attenzione al tema è sicuramente molto diversa rispetto alle generazioni precedenti: questo ci ha convinto a continuare e anche ad accelerare il processo.
Dunque l’offerta che segue, o nel caso delle giovani generazioni anticipa, la domanda.
Non solo. Ricordiamo che nei Paesi del nord Europa per partecipare a gare d’appalto per la fornitura a un ministero o a una scuola, è necessario offrire anche una certa percentuale di prodotti usati: senza l’usato non partecipi e non vendi neanche il nuovo.
Visto cosa si muove anche in Europa, siamo confidenti che i consorzi per la responsabilità estesa del produttore per i mobili diventeranno obbligatori nei prossimi anni. Allora, onde evitare di essere i ‘soliti’ italiani che aspettano che le cose succedano per poi lamentarsi e correre ai ripari, con grande difficoltà delle imprese, ci siamo mossi per tempo.
Teniamo anche presente che FederlegnoArredo rappresenta un filiera ‘fortunata’ che ha nel legno una delle materie prime per eccellenza, un materiale che accompagna l’uomo da sempre ed è sostenibile. A questo aggiungiamo il design, il gusto del bello, il voler progettare bene e fare bene cose belle che anche per questo sono oggetti durevoli. E quindi più sostenibili.
E se il gusto cambia? Se il mio tavolo tra dieci anni non mi piace più? La disassemblabilità e la riciclabilità sono importanti, perché permettono di rimettere in circolo i materiali, che si tratti di legno, plastica, metallo: ma il massimo della sostenibilità è far sì che quell’oggetto, ancora perfettamente funzionale e funzionante, venga utilizzato il più a lungo possibile nella sua funzione a primaria. E poi, solo quando non sarà proprio più utilizzabile, venga riciclato.
Presidente, siccome il ruolo del consorzio dovrebbe essere un po’ facilitare tutti i processi per una gestione sostenibile dei mobili che non si usano più, state lavorando anche ad un sistema di ritiro e di raccolta dei mobili usati? Di riparazione?
Questo certo rientra negli obiettivi del consorzio. Il ruolo del consorzio in un sistema EPR sarà quello di organizzare, valorizzare e quando necessario sostenere finanziariamente le operazioni legate al fine vita dei prodotti.
L’Europa ci sta dicendo che chi produce deve diventare responsabile del mobile non più solo quando il prodotto viene immesso sul mercato e per i due anni di garanzia, ma per tutta la sua vita. E fare questo quando si lavora sui mercati mondiali non è una cosa semplice. Noi abbiamo creato un consorzio che lavora in Italia, ma è chiaro che la presa in carico a livello globale dovrà essere garantita da una serie di soggetti come il nostro, grazie ad una sorta di mutuo riconoscimento tra le parti. Il tutto sotto l’ombrello di regole messe a punto dal legislatore. Ecco perché siamo voluti partire ora: per mettere in atto una best practice alla quale gli altri possono ispirarsi, quale modello funzionante e con un costo accettabile.
Il nostro consorzio, grazie all’accordo di programma che stiamo mettendo appunto con il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, sarà utile per mettere in ordine tutte le fasi e gli sviluppi: dal ritiro dei mobili (anche distributori e retailer faranno parte del consorzio) agli accordi con le piazzole di raccolta. Il meccanismo è complesso, noi vogliamo contribuire anche a mettere in piedi il sistema per aiutare il rivenditore che potrà così ritirare il tavolo usato, metterlo “in vetrina” (magari in un sito dove venderà i propri prodotti second hand) o avviarlo in un circuito di usato. Oppure, se non può essere riparato, avviato al disassemblaggio e al riciclo.
Non è facile mettere in piedi un meccanismo così complesso, per questo bisogna organizzarsi per tempo. Anche perché, a differenza di consorzi come quelli per i rifiuti da imballaggio – che gestiscono filiere monomateriali come il vetro, l’acciaio o la plastica – un mobile può essere composto di diversi materiali.
Nel consorzio sono ammessi solo quelli che le norme definiscono produttori (quindi chi mette i mobili sul mercato) o anche imprese degli altri anelli della filiera?
Nel Consorzio Nazionale Sistema Arredo ci sono tutti quelli che possono avere un’attinenza all’interno del ciclo di vita del bene. Anche i pannellieri, per capirsi.
Nel vostro ultimo comunicato stampa scrivete di 15 imprese aderenti. Dalle imprese rappresentate nelle cariche statutarie si deduce che, tra queste 15, troviamo Arper, Porro, Roda: posso chiederle qualche altro nome?
Posso dirle che nel frattempo, da quel 30 ottobre in cui abbiamo diffuso il comunicato, le imprese sono diventate già 20 distribuite su tutto il territorio nazionale. E posso dirle che sono entrare anche piccole aziende: ne siamo orgogliosi perché questo significa che quella sensibilità di cui parlavamo è diffusa anche nelle imprese meno strutturate. E vuol dire che l’obiettivo che ci siamo dati viene percepito come una grande opportunità. Entro fine anno contiamo di comunicare i nominativi delle imprese aderenti.
Ma le imprese, soprattutto le piccole, non vedono l’EPR come un costo, in termini sia economici che organizzativi?
Ma non è un costo. È un po’ come l’Iva, che poi, a valle, viene pagata dal consumatore al momento dell’acquisto e serve al socio primario di tutte le nostre aziende, lo Stato, per svolgere il proprio mestiere. Per l’EPR Invece, quella parte che viene chiesta al consumatore finale, va ai consorzi che per conto delle aziende si fanno carico della gestione sostenibile del fine vita dei mobili.
Allungare la vita dei beni non riduce gli affari di chi i mobili li produce e li vende?
È un riflessione che tutti noi, sia chi vende mobili che chi li produce, abbiamo fatto. Diciamo che la risposta a questa domanda è produrre meno e produrre meglio. Produrre meglio non vuol dire solo qualitativamente ma anche organizzativamente. Quando ci sarà un sistema di raccolta di questi mobili, di rigenerazione, di vendita, allora si creerà tutta una serie di opportunità commerciali. Ma certo queste opportunità richiedono lo sforzo mentale di cambiare un modello che fino ad oggi abbiamo dato per scontato.
In Arper, nel nostro piccolo, abbiamo fatto delle sperimentazioni. Dall’estero ci è stato chiesto, ad esempio, di recuperare una certa quantità di sedie e rigenerarle. Se quelle sedie le avessimo vendute nuove avremmo fatturato forse 200 euro a sedia. Per la rigenerazione invece ne abbiamo chiesti diciamo 50. Ma non bisogna fare l’errore di confrontare sullo stesso piano i 200 e i 50 euro, perché dai 200 fatturati per sedie nuove ne guadagno 10, mentre dai 50 delle rigenerate ne posso guadagnare anche 20. Quindi, al netto dei vantaggi ambientali, si creeranno delle opportunità di business, che oggi non sappiamo ancora vedere.
Ci ha parlato di un accordo di programma col Ministero dell’Ambiente, e in altre occasioni anche di un progetto sperimentale sulla circolarità del mobile. Ci può raccontare qualcosa?
Proprio in queste settimane stiamo mettendo a punto l’accordo di programma. Non è una cosa banale: noi rappresentiamo le istanze di una particolare filiera, il ministero ha una visione complessiva su tutto il sistema economico e deve garantire che la nostra iniziativa non pregiudichi gli intessi di altre filiere.
Contiamo comunque che entro fine anno dovremo riuscire chiudere l’accordo.
E il progetto sperimentale?
Una volta definito l’accordo di programma e avviata una sperimentazione a livello nazionale, i risultati serviranno al ministero per la stesura dell’EPR per l’arredo
La sottosegretaria all’Ambiente Vannia Gava, durante l’ultimo Salone del mobile, ha annunciato che il ministero sta lavorando alle norme sulla responsabilità estesa del produttore per i mobili. State affiancando il ministero in questo lavoro, immagino. A che punto sono?
Il ministero sta lavorando, questo è certo: anche se è difficile immaginare i tempi del processo, che, lo ricordiamo, ricade nella piena autonomia del ministero dell’Ambiente. Fatta questa premessa, secondo noi per avere un EPR mobili ci potrebbero volere almeno uno-due anni. Ci auguriamo che entro il 2026 possa essere operativo.
Secondo voi il Consorzio Nazionale Sistema Arredo migliorerà l’immagine del mobile made in Italy in Italia o nel mondo?
Credo che il Made in Italy ne avrà un grande beneficio. Perché siamo fra i primi a porsi la questione. In futuro, in particolare in Europa, non sarà semplice per chi non è veramente sostenibile dire che lo è. Il consorzio in questo ci aiuterà.
Peraltro FederlegnoArredo è la prima federazione della filiera ad aderire al Global Compact delle Nazioni Unite: questo vuol dire assunzione di responsabilità, indicare i nostri obiettivi di sostenibilità e rendicontare i risultati.
Sapete di altre associazioni che, come la vostra, si stanno muovendo?
Sappiamo che in l’Europa stanno nascendo anche altri consorzi. Poi bisognerà capire come saranno e quali saranno i loro principi. Sarà compito dell’Europa avviare un’azione di coordinamento.
In quali Paesi stanno nascendo i consorzi di cui parla?
A parte la Francia, dove Ecomaison è operativo da anni, abbiamo notizie sulla Spagna e sulla Germania. Ma tutti sono molto indietro rispetto a noi, che non a caso siamo tra i più grandi produttori di mobili al mondo.
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