Se il campionato di calcio è ancora a riposo, quello delle cause per il clima fa già notizia. Lo scorso 21 luglio, con la sentenza n.20381/2025, la Corte di Cassazione ha segnato un punto importante, riconoscendo che anche in Italia ha un giudice per il clima. Perché ne parliamo?
La sentenza merita attenzione per almeno due ragioni. Da un lato perché si tratta della prima pronuncia della Cassazione italiana in materia di liti climatiche (climate change litigations) destinata, se non altro per l’autorità del Giudice da cui promana, a segnare il passo sia per le cause pendenti, sia per quelle future.
Dall’altro perché afferma la competenza del giudice italiano a decidere sulle domande di risarcimento danni che si assumono derivati dal cambiamento climatico c.d. antropogenico, cioè determinato dall’azione – o inazione – umana sugli ecosistemi naturali. Il che non dovrebbe stupire, in realtà.
E, invece, stupisce perché, appena un anno fa il Tribunale di Roma, in un caso analogo, aveva affermato l’impossibilità assoluta di intervenire in materia (carenza assoluta di giurisdizione) trattandosi di questione riservata alla competenza legislativa del Parlamento.
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Il contesto da analizzare prima di entrare nel merito
È bene precisare che questa sentenza risolve “soltanto” (si fa per dire) una questione processuale che spesso si pone: individuare quale sia il giudice corretto da interpellare (tecnicamente si parla di questione di giurisdizione). Poiché il giudice viene scelto da chi promuove la causa, la questione emerge in base ai dubbi sollevati da chi è convenuto, ossia in base alle contestazioni formulate per far apparire sbagliata quella scelta e, quindi, bloccare la causa sul nascere.
Così è avvenuto anche nell’ambito della vertenza promossa da Greenpeace e ReCommon nella quale gli i soggetti chiamati in giudizio (Eni, Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti) hanno svolto plurime eccezioni a riguardo.

Proprio per risolvere questi dubbi e anche perché la materia trattata è nuova, non essendoci precedenti pertinenti, la Cassazione ha ritenuto necessario e doveroso rispondere alla richiesta di chiarimento sottoposta dalle parti ricorrenti (mediante il cosiddetto ricorso per regolamento di giurisdizione) riconoscendo la sussistenza di un interesse concreto ed attuale a risolvere la questione in modo definitivo e immodificabile, onde evitare il ritardo nella definizione della causa che si sarebbe potuto determinare con le eventuali impugnazioni della decisione assunta sul punto in primo o secondo grado, come già avvenuto nel caso analogo cui si è fatto cenno, attualmente pendente in appello anche con per questo motivo.
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La decisione della Corte
La Suprema Corte ha affermato che la scelta del giudice fatta agli attori era corretta e che, pertanto, il Tribunale avanti a cui pende la causa di merito, dovrà proseguire la sua attività. Dapprima verificando non soltanto l’applicabilità al caso delle norme richiamate dalle parti negli atti processuali, ma anche individuandone altre che è tenuto a conoscere secondo i doveri propri del suo ufficio (principio iura novit curiae).
E, poi, decidendo se sussiste la responsabilità degli enti convenuti in giudizio per i danni cagionati dall’inottemperanza di adottare, nell’esercizio dell’attività di produzione e commercializzazione di combustibili fossili, le misure necessarie per ridurre il volume di emissioni di CO2 in atmosfera a livelli tali da consentire di raggiungere l’obiettivo prefissato dagli accordi internazionali in tema di contrasto al cambiamento climatico, consistente nella limitazione dell’incremento della temperatura della temperatura globale entro il limite di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali (limite fissato dagli accordi di Parigi del 2015, o Cop21).

Inoltre, richiamando una sentenza del 2021, la Corte ha precisato che, quando il giudice è chiamato a pronunciarsi su una domanda di risarcimento danni, il problema di una possibile interferenza con il potere legislativo neppure si pone. D’altro canto, l’omesso o illegittimo esercizio della potestà legislativa, è esso stesso passibile di essere giudicato quando, ad esempio, chi promuove la causa si lamenta di danni che ritiene essergli derivati dalla disciplina adottata o che si è omesso di adottare.
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Sviluppi futuri
Insomma il Tribunale avrà il suo bel da fare. La Corte sembra spingere verso un’indagine proattiva che richiede una conoscenza specifica del contesto normativo di riferimento e che necessita di coniugarsi non soltanto con gli incalzanti ritmi processuali imposti dalla recente riforma processuale (D.Lgs 149/22 c.d. riforma Cartabia), ma anche con l’urgenza della crisi climatica in atto la cui soluzione, davvero, non può più attendere.
Una sfida importante e, probabilmente, epocale. Confidiamo che il Tribunale sappia intenderla e accoglierla in tutta la sua complessità.
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