Perché seguire gli standard ambientali di un indice indipendente quando ne puoi creare uno direttamente tu rendendo green il tessuto che commerci? Si chiama Higg Materials Sustainability Index e, prima che salisse sul banco degli imputati dell’industria della moda, era considerato uno degli indici più affidabili nel misurare l’impatto ambientale dei materiali. Tuttavia, come rivela un’inchiesta dell’Intercept condotta dalla giornalista Rachel Donald, l’indice Higg, creato da un network dei brand più popolari del settore, non fa altro che promuovere tessuti in fibre sintetiche come sostenibili attraverso dati e metodologie di assesment poco trasparenti.
Cos’è la Sustainable Apparel Coalition
Nel 2010 viene fondata la Sustainable Apparel Coalition, una coalizione nata con l’obbiettivo di unire i più grandi brand del settore per sviluppare un indice che misuri l’impatto ambientale dei loro prodotti. Con più di 150 membri questo gruppo di giganti del fashion ha creato l’indice Higg MSI, fortemente criticato da diversi analisti ed esperti per aver valutato come sostenibile per esempio il poliestere, un fibra sintetica di origine fossile che ora rappresenta il 60% dei prodotti del settore. Nonostante la maggior parte del poliestere mondiale sia prodotto in Asia (93%), utilizzando fonti fossili e con standard ambientali meno rigidi, l’indice classifica questa fibre sintetica come uno dei tessuti più sostenibili al mondo usando dati forniti da Plastics Europe. Come risposta La Sustainable Apparel Coalition ha invece confermato l’accuratezza e la completezza dei dati dichiarando che sono stati raccolti in linea con gli standard del settore.
Un altro punteggio che fa discutere è quello assegnato all’elastan, fibra sintetica di poliuretano molto utilizzata per elasticizzare i tessuti. Gli esperti criticano il fatto che si basi su uno studio di quello che all’epoca era il più grande produttore mondiale del materiale, Invista, una partecipata di una delle multinazionali che per anni hanno finanziato il negazionismo climatico: le Koch Industries.
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Mancanza di trasparenza
Veronica Bates Kassatly, ricercatrice indipendente ha notato che l’Higg MSI classifica i materiali più economici come i più sostenibili. “L’indice non raccoglie dati primari né conduce studi propri ed è altrettanto noto per essersi rifiutato di divulgare informazioni sui metodi di misurazione” ha detto Kassatly. Secondo l’inchiesta, anche l’International Sericultural Commission ha dichiarato che i creatori dell’indice si sono rifiutati di rendere pubblico uno studio che ha valutato l’impatto della produzione di seta.
H&M fa parte del consiglio della coalizione e, ad una richiesta di commento del New York Times, ha dichiarato che l’indice si basa su “informazioni di terze parti standardizzate e verificate” e che lo strumento viene “migliorato continuamente”. Walmart, invece, ha affermato che l’Higg non è stato l’unico strumento utilizzato per migliorare la sostenibilità dei propri capi d’abbigliamento e che ha continuato a valutare le capacità dell’indice. Patagononia, intepellata, risponde a EconomiaCircolare.com ricordando che l’Higg è solo uno degli standard impiegati per valutare e certificare la propria sostenibilità. Da altri brand invece solo silenzio. Nonostante la narrativa sostenibile che si è costruita intorno alle fibre sintetiche insista molto sul contenuto riciclato del tessuto e la sua eventuale riciclabilità, probabilmente l’indice Higg non sarà più ritenuto affidabile come prima. Almeno dai consumatori.
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