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lunedì, Dicembre 16, 2024

Tra siccità e crisi climatica la via dell’idroelettrico si fa più stretta

Corsi d’acqua in secca e bacini artificiali svuotati per andare in soccorso all’agricoltura. Così le centrali idroelettriche rischiano lo stop: un duro colpo per le rinnovabili italiane. È il cambiamento climatico a presentare il conto, ma salvare l’idroelettrico è ancora possibile.

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

L’Italia sta vivendo una delle peggiori siccità degli ultimi decenni e questo inevitabilmente ha conseguenze drammatiche non solo per l’agricoltura, ma anche per l’idroelettrico. Non si tratta di un aspetto secondario. I circa 4300 impianti idroelettrici presenti in Italia, con una produzione annuale di 46 TWh forniscono tra il 15 e il 17% dell’elettricità nazionale.

L’idroelettrico, inoltre, copre da solo il 41% circa dell’energia generata da fonti rinnovabili e svolge una funzione importantissima per stabilizzare i carichi sulla rete elettrica, quando ci sono picchi nella produzione di elettricità rispetto a quella che serve.

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Fonte: The European House – Ambrosetti_Le concessioni idroelettriche in Italia

Con la siccità l’idroelettrico va in soccorso dell’agricoltura

La scarsità di neve durante l’inverno, con lo spessore nevoso ridotto persino dell’80% in alcune località alpine, e la carenza di pioggia ha inciso sui livelli di fiumi e laghi creando le premesse per la siccità estiva. Le insufficienti precipitazioni hanno avuto un effetto anche sul livello di riempimento dei bacini utilizzati per produrre energia elettrica, vicino ai valori più bassi registrati negli ultimi 50 anni. In Piemonte gli invasi dell’idroelettrico risultano al minimo storico, con una riduzione del 40% o addirittura del 50% rispetto alla media degli anni passati.

Un quadro già critico sul quale si è scaricata con tutta la sua forza la siccità estiva. Il fronte più urgente adesso riguarda l’irrigazione dei campi della Pianura Padana per preservare i raccolti. Vista la situazione di emergenza, le Regioni per mitigare la grave crisi idrica hanno fatto pressioni sulla Protezione civile perché siglasse intese con gli operatori del settore idroelettrico in modo da attingere acqua dai laghi alpini e dai bacini artificiali per utilizzo umano e agricolo piuttosto che per generare elettricità.

In Lombardia la Regione ha chiesto per i primi dieci giorni di luglio di far confluire nel lago di Como 4 milioni di metri cubi d’acqua al giorno e 900.000 metri cubi d’acqua nel lago d’Iseo. Enel, nello stesso lasso di tempo, ha rilasciato 200.000 metri cubi di acqua al giorno nel fiume Brembo e 250.000 metri cubi nel fiume Serio. Mentre in Valle d’Aosta la Compagnia valdostana delle acque ha aumentato a giugno il rilascio delle acque dei propri invasi fino al 75%, che costituisce il massimo rilascio tecnicamente possibile al fine di evitare un danno al sistema produttivo idroelettrico, con un incremento del 30% rispetto a un anno fa.

Fonte_Ambrosetti_Le concessioni idroelettriche in Italia

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Chiudono gli impianti idroelettrici e le centrali termoelettriche

Mauro Bonanni, responsabile adeguatezza operativa di Terna, tuttavia, sottolinea che “le attuali informazioni non ci fanno prevedere rischi nell’immediato nelle riserve d’acqua”. Questo è sicuramente vero per l’uso idropotabile: “Le esigenze in termini di litri al secondo sono piccole in valori assoluti”, spiega Matteo Nicolini, docente di Costruzioni idrauliche all’università di Udine. “Diverso il discorso per gli scopi irrigui: in quel caso – continua il professore – la domanda d’acqua è notevolmente maggiore E poiché il rilascio avviene quasi sempre a monte delle turbine, destinare l’acqua dei bacini a scopi idropotabili o irrigui preclude la generazione di energia elettrica”.

Le centrali idroelettriche a bacino, alimentate da grandi invasi artificiali o dai laghi alpini non sono ancora in sofferenza, ma il problema esiste in prospettiva, nel caso in cui si continuasse a prelevare acqua. “Le turbine per il loro funzionamento devono avere un minimo di portata fluente. Se si scende sotto un certo limite tecnico è necessario spegnere gli impianti”, avverte Nicolini. Più acqua si toglie dagli invasi, inoltre, meno ci sarà a disposizione per inviarla alle centrali idroelettriche, con un conseguente calo nella produzione di energia.

Diversa la situazione per le centrali ad acqua fluente, che utilizzano la portata naturale dei corsi d’acqua: “Hanno una piccola capacità di carico e risentono immediatamente della mancanza d’acqua a causa della siccità perché deve essere garantito un certo livello di flusso ‘vitale’ per impedire che il fiume vada in secca, con tutti i danni per l’ecosistema connessi”, spiega il professore. In questi casi le centrali sono costrette a chiudere quasi immediatamente.

Nel bacino del Po il 90% delle mini centrali idroelettriche lungo i canali di irrigazione è fermo. Lo stop, tuttavia, è stato necessario anche per la centrale idroelettrica di Isola Serafini, in provincia di Piacenza, gestita da Enel Green Power: non si riusciva più ad alimentare le turbine che generano elettricità. E non sono solo le centrali idroelettriche a essere in difficoltà: anche gli impianti termoelettrici, che bruciano gas o gasolio, hanno bisogno di acqua per il raffreddamento, altrimenti sono costretti a interrompere la produzione. È già successo a tre centrali termoelettriche nel bacino del Po e altre tre sono a rischio.

 

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Il calo nella produzione di elettricità dall’idroelettrico

“Del resto non è una sorpresa: tra gli effetti del riscaldamento globale, oltre alle ondate di calore, è prevista una diminuzione dei fenomeni piovosi e l’Europa meridionale sarà costantemente impegnata a combattere la siccità e la mancanza d’acqua in estate”, ricorda Gianmaria Sannino, ricercatore Enea e responsabile di laboratorio Modellistica climatica e impatti. In un contesto del genere, inevitabilmente l’idroelettrico ne risentirà.

Per fare un esempio, il 21 giugno alle ore 12 dal sito di Terna risultava una produzione di elettricità dall’idroelettrico di 5,44 GWh, mentre lo scorso anno alla stessa ora era di 7,07 GWh. Nei primi quindici giorni di giugno l’elettricità prodotta dall’idroelettrico è risultata inferiore di circa il 35% rispetto al 2021. E da febbraio il calo è addirittura del 51,3%. Sempre a causa delle condizioni meteorologiche avverse, a livello di Unione europea, secondo i dati Eurostat, la produzione da idroelettrico tra il 2020 e il 2021 è calata dell’1,2%. Un numero sicuramente surclassato dal calo atteso nel 2022.

Un bel problema, visto che per mitigare i cambiamenti climatici sarebbe necessario proprio fare più ricorso a fonti di energia rinnovabili come l’idroelettrico. Insomma, è il caso di dirlo: un cane che si morde la coda. Per Sannino, si aprono due strade davanti a noi: “Da un lato accettare la realtà, valutare le criticità degli attuali impianti, capire quanta energia perderemo dall’idroelettrico e prepararsi a sostituirla nel mix energetico con altre rinnovabili. Dall’altro, adeguare il comparto idroelettrico nazionale al nuovo contesto”.

“I bacini a monte delle centrali idroelettriche e le centrali ad acqua fluente sono stati realizzati sulla base di un clima che non esiste più”, è la premessa di Sannino. Di fronte ad eventi atmosferici incontrollati non sono in grado di sfruttare le intense precipitazioni e immagazzinare l’acqua, mentre alcuni impianti sono posizionati in luoghi oggi più soggetti alla siccità rispetto a quando vennero costruiti e magari nelle zone adesso più colpite da allagamenti e piogge intense non si trova nulla.

Le possibili contromisure per salvare l’idroelettrico

A differenza di trent’anni fa, però, c’è uno strumento in più a disposizione. “Le maggiori conoscenze nella climatologia”, spiega il ricercatore di Enea: “In passato, per un’analisi climatica si guardava agli anni precedenti dando per scontato che in futuro il clima si sarebbe comportato in maniera costante, adesso sappiamo invece che cambia rapidamente, ma siamo anche in grado di prevedere con affidabile esattezza come cambierà”. E quindi progettare centrali e invasi più funzionali.

Per evitare di sprecare l’acqua originata dai fenomeni atmosferici estremi un caso interessante è la diga di Ravedis a Pordenone, la prima in Italia con uso multiplo, progettata cioè per incanalare, accumulare e trattenere per impieghi futuri l’acqua in eccesso nei momenti di precipitazioni intense, proteggendo peraltro la città dalle alluvioni. Se andremo incontro a simili scenari con maggior frequenza, accanto alla mitigazione dei cambiamenti climatici, è bene farsi trovare pronti.

Più in generale, secondo il docente di Costruzioni idrauliche Matteo Nicolini, se si vuole mantenere gli stessi livelli di produzione idroelettrica, servirà un numero maggiore di bacini artificiali. Meglio se concepiti come una serie di invasi comunicanti su più livelli, per ottimizzare la possibilità di generare energia nel passaggio da un livello all’altro. Non è una soluzione immediata, perché richiede anni per progettarli e costruirli, ma è inevitabile andare in quella direzione.

Infine, sebbene le grandi centrali idroelettriche a bacino sono più resilienti rispetto agli impianti ad acqua fluente, “mini centrali idroelettriche con piccole turbine diffuse posizionate nei corsi d’acqua e nei canali artificiali, sfruttando i salti nei moti d’acqua – conclude Nicolini – o addirittura micro centrali posizionate nelle condotte degli acquedotti, possono contribuire a generare elettricità. La capacità di carico di questi impianti tuttavia è ridotta e può essere sfruttata solo a livello locale, stando molto attenti a valutare gli impatti ambientali”, mette le mani avanti il professore.

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L’impatto ambientale dell’idroelettrico

Le centrali idroelettriche, infatti, non sono impianti neutri: le barriere alterano il flusso naturale dei fiumi e possono isolare gli habitat e bloccare le rotte migratorie dei pesci e delle specie acquatiche sia a monte sia a valle, influendo sulla riproduzione dei pesci migratori, come trote, anguille e storioni. Inoltre viene bloccato anche il trasporto di sedimenti nei fiumi, favorendo l’accumulo di sedimenti a monte e la mancanza di sabbia e ghiaia a valle. Insomma, resta sempre valido il solito principio, purtroppo spesso dimenticato: la situazione di emergenza non è una giustificazione sufficiente per chiudere gli occhi di fronte ai danni ambientali legati alla produzione di un certo tipo di energia.

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