fbpx
venerdì, Novembre 15, 2024

“L’incenerimento pregiudica il riciclo? Possibile, ma i dati non lo confermano”

A colloquio sulla termovalorizzazione con l’economista Antonio Massarutto esperto di servizi pubblici (Università di Udine e Bocconi): “Riciclo e termovalorizzazione sono due soluzioni complementari. Chi teme l’inceneritore perché inquina fa male a temerlo”

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

“Chi teme l’inceneritore perché inquina fa male a temerlo: questi impianti sono irrilevanti nel contesto di un’area urbanizzata, in cui le principali fonti di inquinamento sono le automobili e i riscaldamenti delle case”. E poi “riciclo e termovalorizzazione sono due soluzioni complementari”. Secondo Antonio Massarutto, docente di Economia all’Università di Udine e direttore di ricerca presso lo Iefe – Bocconi, un mondo zero waste è “un traguardo irraggiungibile quanto un essere umano zero cacca”. I rifiuti, secondo l’autore di “Un mondo senza rifiuti?” (col punto interrogativo) ci sono a vanno gestiti, e per farlo non possiamo fare a meno dell’incenerimento e della termovalorizzazione.

Per questa nuova puntata del nostro Speciale incenerimento, partiamo proprio dalla terminologia.

Professor Massarutto, “inceneritore” versus “termovalorizzatore”: una differenza nominale o sostanziale?

Premesso che tra gli impianti di incenerimento di oggi e quelli di trenta quaranta anni fa c’è un abisso, oggi con la parola “termovalorizzatore” si pone l’accento sul fatto che si recupera energia, mentre con “inceneritore” sul fatto che si bruciano rifiuti. Ma gli impianti fanno entrambe le cose: si cambia nome per pudori nominalistici. In Italia sembra che cambiare nome alle cose serva per farle rinascere sotto nuove vesti.

Gli impianti di trenta quaranta anni fa erano specie di grandi stufe che bruciavano senza nessun tipo di apparecchiatura che assorbisse le emissioni. Emissioni che si è poi capito essere nocive. Ma col tempo la tecnologia ha fatto passi incredibili.

Leggi anche: Termovalorizzatori, l’Unione europea è d’accordo o no sulla costruzione di nuovi impianti?

L’inceneritore in Italia fa paura anche oggi. Queste paure hanno ragion d’essere?

Un inceneritore oggi è un impianto in grado di valorizzare i rifiuti come energia elettrica e calore, garantendo controlli alle emissioni che sono efficaci, sicuri e in grado di abbattere gli inquinanti quasi a livello zero. Con emissioni così basse da essere quasi irrilevanti nel contesto di un’area urbanizzata, in cui le principali fonti di inquinamento sono le automobili e i riscaldamenti delle case.

Inoltre se posizionato adeguatamente un termovalorizzatore può alimentare una rete di teleriscaldamento, quindi non solo inquina poco ma può eliminare fonti di inquinamento come le caldaie. Il risultato netto è positivo.

Per questo sono una soluzione da tener presente, e chi teme l’inceneritore perché inquina fa male a temerlo. Rispetto ad esempio ai cementifici siamo lì come emissioni, ma gli inceneritori hanno norme sulle emissioni che per le stesse sostanze sono in genere più severe e stringenti di quelli di altri impianti.

Ad esempio, si possono controllare quotidianamente sul web le emissioni dell’inceneritore di Acerra: che sono di qualche ordine di grandezza al di sotto dei limiti di legge, di per sé già molto bassi.

Leggi anche: Nuovi inceneritori? “L’Italia piuttosto deve iniziare a disfarsi di quelli vecchi”

Se non ci dobbiamo preoccupare delle emissioni, c’è davvero bisogno di questi impianti, visto che abbiamo preso impegni di riciclo ambiziosi? Non potremmo bruciare i rifiuti nei cementifici che hanno comunque bisogno di essere alimentati?

Penso che la conta dei cementifici per bruciare i rifiuti è virtuale, perché bisogna vedere se i cementifici vogliono utilizzare questi rifiuti, e non mi risulta che oggi sia così. Da vent’anni si parla di bruciare CDR (combustibile da rifiuti) nei cementifici ma la cosa non è mai decollata, mentre è decollata un’esportazione abbastanza vivace di CDR verso Paesi dell’Europa centro-orientale.

Va considerato che ci sono poi delle complicazioni. Se costruisco un impianto dedicato a bruciare rifiuti, li brucio e basta. Se invece devo ottenere un combustibile da usare in impianti già esistenti in sostituzione di altri combustibili, devo avere ad esempio un livello di raffinazione e omogeneità del potere calorifero che richiede una serie di trattamenti. Trattamenti che hanno un costo e richiedono a loro volta degli impianti.

Ci sono moltissimi impianti di selezione e trattamento meccanico-biologico (TMB) che hanno magari anche una linea per ottenere CDR ma poi non sempre viene attivata fino in fondo: perché se quel CDR poi lo vado a bruciare in un impianto dedicato ai rifiuti e non in un cementificio allora tanto vale bruciarli così come sono, senza trasformarli in CDR: inutile ripulirli da impurità come sono costretto a fare per il CDR per i cementifici.

Leggi anche: Termovalorizzatori, per gli ambientalisti meglio investire nell’economia circolare

Quando si avvia un inceneritore, per alimentarlo non si corre il rischio di sottrarre materiale al riciclo? Insomma: il riciclo non viene penalizzato dalla presenza di un inceneritore?

Si tratta di un’ipotesi non confermata dal dato empirico. È un’analisi che andrebbe fatta alla scala territoriale giusta tenendo conto anche degli incentivi a disposizione del proprietario dell’impianto. Gli inceneritori hanno alti costi fissi e bassi costi variabili: una volta costruiti conviene usarli fino alla capacità massima. Se, come proprietario, ho un incentivo a vendere capacità in eccesso al mercato esterno che me la può saturare magari a tariffe più alte rispetto a quelle che faccio pagare ai cittadini, avrò tutto l’interesse a fare bene la differenziata a casa mia e poi a rivendere all’esterno la capacità in eccesso. Se invece non posso farlo, il rischio che l’inceneritore scoraggi la raccolta differenziata e il riciclo in astratto c’è. Ma se vado a vedere i numeri, i numeri non mi dicono questo. I numeri mi dicono che Milano, che ha un inceneritore, è la metropoli europea che fa più differenziata di tutte le altre. I numeri mi dicono che l’Emilia Romagna, col modello Hera, va ben oltre il 60-70% di raccolta differenziata (con uno scarto del solo 5% circa di quanto raccolto).

Riciclo e termovalorizzazione sono due soluzioni alterative e complementari, ognuna delle quali si adatta meglio a certi flussi. Una volta che capiamo questo la discussione “inceneritore sì/ inceneritore no” arriva su un terreno più pragmatico: i Paesi che hanno raggiunto già il traguardo zero landfill

Scusi professore: intende zero waste?

No, parlo di Paesi avviati verso zero landfill (zero discarica), non zero waste, che è un traguardo irraggiungibile quanto un essere umano “zero cacca”. Dico che i Paesi che hanno raggiunto già il traguardo zero landfill (o comunque stanno sotto il 10% in discarica, come vuole la direttiva UE) usano una combinazione che va da un terzo a metà incenerito, da metà a due terzi riciclato.

Il valore tra parentesi indica la frazione inviata a discarica, l’asse x la frazione incenerita e l’asse y il recupero di materia. L’ovale verde racchiude i Paesi che stanno sotto il 10% di discarica. Elaborazioni Antonio Massarutto su dati Eurostat, ISPRA per l’Italia, OECD o indagini dirette per i paesi non UE

Leggi anche: “Termovalorizzatori sempre meno inquinanti, ma attenzione anche agli aspetti sociali”

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie