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sabato, Dicembre 14, 2024

Salvare gli indigeni per salvare le foreste

I popoli indigeni sono i migliori amministratori delle foreste grazie al loro tradizionale legame con la terra. Dove ci sono loro la deforestazione è più lenta e la biodiversità più varia. Eppure sono vittime di continui abusi e violenze soprattutto nell’Amazzonia brasiliana vicina ormai al punto di non ritorno

Nicoletta Fascetti Leon
Nicoletta Fascetti Leon
Giornalista pubblicista, allevata nella carta stampata. Formata in comunicazione alla Sapienza, in giornalismo alla Scuola Lelio Basso, in diritti umani all’E.ma (European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation) di Venezia. Ha lavorato a Ginevra e New York nella delegazione UE alle Nazioni Unite. Vive a Roma e da nove anni si occupa di comunicazione ambientale e progetti di sostenibilità

Le foreste sono un patrimonio naturale senza eguali, riconosciuto oggi da più di 100 paesi firmatari della Dichiarazione di Glasgow per fermare e invertire la deforestazione e il degrado del suolo entro il 2030. È innegabilmente un passo avanti, ma rimane da verificare che alle dichiarazioni di intenti dei leader mondiali, seguano coerenti scelte sul campo. Molti dei Paesi che detengono le maggiori risorse forestali del mondo, infatti, continuano a perseguire politiche che minano gli sforzi per fermare la deforestazione. Questa, ricorda Human Rights Watch, è la seconda causa dell’aumento di emissioni a effetto serra, dopo la combustione dei carburanti fossili. Mentre è l’agricoltura industriale la principale causa della deforestazione tropicale che è nella maggior parte dei casi una pratica illegale, associata a gravi violazioni dei diritti umani.

Quanta foresta mangiamo ogni giorno

Ogni anno vanno persi circa 10 milioni di ettari a causa della conversione di foreste in terreni agricoli. Negli ultimi 30 anni sono stati deforestati 420 milioni di ettari di terreni, gran parte dei quali in aree tropicali, che corrispondono all’incirca alla superficie dell’intera Unione europea. L’80% della deforestazione mondiale – ricorda un report WWF del 2020 dal suggestivo titolo “Quanta foresta avete mangiato, usato o indossato oggi?” – è dovuta alla necessità di fare posto ai pascoli per la produzione di carne, alle piantagioni di soia e olio di palma, sempre più richiesti dai paesi occidentali e dai loro consumatori.

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Le merendine che mangiano i boschi

Un paradigmatico esempio di come incidono i consumi sulle foreste è dato dal caso dell’olio di palma, utilizzato soprattutto nell’industria dolciaria e considerato la principale causa della scomparsa delle ultime foreste dell’isola di Sumatra (Indonesia) dove vivono oranghi, elefanti, tigri e rinoceronti, ridotti ormai a poche centinaia di esemplari. Nonostante le diffuse campagne sul tema e gli obiettivi definiti da molte aziende per filiere di approvvigionamento di olio di palma sostenibile entro il 2020, la distruzione della natura continua. Lo sostiene il WWF nel report 2021 “Palm Oil Buyers Scorecard”, secondo il quale le aziende più influenti al mondo non riescano ancora a contrastare i danni della produzione di olio di palma sia sugli habitat naturali prioritari sia sulle persone che da essi dipendono.

I diritti umani nelle foreste

La deforestazione, infatti, è spesso associata a gravi violazioni dei diritti umani, come abusi sui lavoratori, sfollamenti forzati, invasioni di terre e violenze e intimidazioni contro le comunità indigene e le popolazioni locali che svolgono un ruolo cruciale nella protezione delle foreste. Nonostante costituiscano il 5% della popolazione globale, infatti, le popolazioni indigene possiedono o gestiscono almeno un quarto della superficie terrestre del mondo. È quanto rivela lo studio “A spatial overview of the global importance of Indigenous lands for conservation” pubblicato su Nature Sustainability. Il team internazionale di ricercatori, guidato dall’australiano Stephen Garnett della Charles Darwin University, ha pubblicato le mappe delle terre gestite dagli indigeni sottolineando come i legami tradizionali di questi popoli con le proprie terre le abbiano protette dalle modifiche dello sviluppo e abbiano influenzato diversi accordi sulla conservazione della natura e sul clima.

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I popoli indigeni sentinelle degli habitat

E non è tutto. Dove ci sono loro la foresta non arretra. O almeno diminuisce a minor velocità. Secondo il rapporto “Forest Governance by Indigenous and Tribal Peoples” pubblicato da FAO e FILAC (Fondo para el Desarrollo de los Pueblos Indígenas de América Latina y El Caribe), infatti, il tasso di deforestazione è significativamente più lento nei territori indigeni e tribali, specie dove i diritti alla terra sono stati ufficialmente riconosciuti dalle autorità pubbliche. Il rapporto FAO, basato su una revisione di oltre 300 studi pubblicati negli ultimi due decenni, dimostra che i popoli indigeni dell’America Latina sono di gran lunga i migliori custodi e amministratori delle foreste della regione, con tassi di deforestazione fino al 50% inferiori nei loro territori rispetto agli altri. Per esempio nel bacino amazzonico, l’area di foresta intatta è diminuita dell’11,2% dal 2000 al 2016 nelle aree non indigene della regione, mentre è diminuita solo del 4,9% nei settori autoctoni. I territori indigeni e tribali, oltre a preservare una maggiore biodiversità, contengono circa un terzo di tutto il carbonio immagazzinato nelle foreste dell’America Latina.

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Impunità contro i crimini ambientali in Amazzonia

Tutto questo mentre la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana sta spingendo la foresta pluviale verso un punto di svolta irreversibile che, se attraversato, potrebbe provocare il rilascio di miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Mentre c’è chi chiede un riconoscimento economico per i benefici ambientali forniti dalla gestione indigena e finanziamenti per il rilancio della conoscenza ancestrale del vivere in armonia con la natura, leader della comunità indigena continuano ad essere uccisi a causa proprio di controversie sulla terra. A Glasgow i rappresentanti brasiliani hanno promesso di porre fine alla deforestazione illegale entro il 2028. Human Rights Watch ricorda però che il governo deve ancora presentare un piano operativo per raggiungere tale obiettivo, nonché per proteggere i difensori delle foreste e perseguire i crimini ambientali che causano la distruzione dell’Amazzonia. Secondo l’Indigenist Missionary Council, un’organizzazione senza scopo di lucro brasiliana, nei territori indigeni, che sono aree protette, invasioni illegali, disboscamento, accaparramento di terre e altre incursioni sono aumentate del 137% nel 2020, rispetto all’anno prima che Bolsonaro entrasse in carica. Il ritiro dei funzionari delle forze dell’ordine ambientali durante la sua amministrazione ha messo le comunità in prima linea a maggior rischio. In un clima di impunità le reti criminali usano violenza e intimidazione contro i difensori forestali che denunciano o si oppongono alle loro attività.

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