“L’etica deve essere efficace, non solo giusta”. La frase che ripete spesso Vincenzo Linarello, presidente di GOEL – Gruppo Cooperativo, non è soltanto un aforisma accattivante ma è supportata dall’azione. Nello specifico quella di una realtà che in un contesto complesso come quello della Calabria conta 350 lavoratori dipendenti con attività che spaziano dal sociale all’agricoltura biologica, dalla moda etica al turismo responsabile. GOEL gruppo cooperativo nasce nel 2003 per aggregare aziende agricole che si oppongono alla ‘ndrangheta, alcune delle quali hanno subito ripetute aggressioni, per poi ampliare interessi e adesioni. In questi anni il gruppo cooperativo è riuscito a ricostruire una filiera agricola e agroalimentare riconoscendo un prezzo equo ai produttori. L’etica è diventata dunque un’opportunità economica. Ma GOEL Bio è anche economia circolare, attraverso l’unione di tradizione e innovazione: il secolare riutilizzo degli scarti viene associato alla ricerca d’avanguardia sulla sostenibilità ambientale. Per raccontare questo approccio complesso e ampio all’economia circolare abbiamo intervistato il presidente di Goel Vincenzo Linarello.
Come si struttura il protocollo di partenariato e collaborazione tra GOEL e Legambiente?
Siamo convinti che la questione ambientale non riguardi solo l’ambiente, e quindi deve essere affrontata a 360 gradi. In Calabria noi abbiamo un progetto sistemico di cambiamento, e in questo abbiamo trovato una grande sintonia con un’associazione come Legambiente. Siamo entrambi certi, infatti, che organizzazioni come le nostre possano innescare processi di cambiamento. E il cambiamento, per essere reale, deve farsi carico della complessità. Non si può affrontare il tema della sostenibilità ambientale senza parlare di lotta alle mafie, di giustizia sociale ed economica. In questi anni Goel e Legambiente hanno partecipato a progetti comuni, adesso abbiamo deciso di fare diventare questa alleanza organica. Abbiamo in cantiere diversi progetti – legati alla biodiversità, alla lotta agli incendi boschivi e al contrasto all’inquinamento – che renderemo presto pubblici.
In che modo il Coronavirus ha inciso sulle attività del Gruppo Cooperativo?
Sicuramente alcuni settori del gruppo cooperativo hanno sofferto e stanno soffrendo in modo profondo la crisi sanitaria e sociale che si è innescata con l’arrivo del Covid. Penso ad esempio all’area del turismo responsabile o a Cangiari, il primo marchio di moda etica di fascia alta in Italia, che produce abiti con tessuti al telaio a mano utilizzando filati biologici certificat. Stiamo immaginando di rilanciare almeno quest’ambito con l’ecommerce, ma allo stesso tempo siamo molto legati al territorio. Più di un anno fa abbiamo lanciato un progetto sperimentale e innovativo, riCALABRIA, per promuovere la democrazia partecipativa. Questo significa incontrare la gente, partecipare a riunioni dal vivo, cose che difficilmente si possono fare online. Anche in questo caso è tutto fermo. Noi però abbiamo approfittato di questo periodo di rallentamento per lanciare una serie di riflessioni. A nostro avviso ci sono opportunità importanti che si possono cogliere: dal rilancio dell’agricoltura biologica all’infrastrutturazione digitale, dal turismo lento alla partecipazione civica per affrontare le conseguenze della pandemia.
A proposito di agricoltura: ci racconta l’esperienza circolare del pastazzo? Voi non sprecate neanche le foglie delle arance e volete tendere per il futuro al residuo zero. Come pensate di riuscirci?
È necessaria una premessa sull’economia circolare. Sono nato in una regione dove i miei nonni erano già super esperti di economia circolare, solo che non si chiamava così. Nei nostri sistemi rurali e contadini, l’imperativo categorico era quello di non buttare via nulla e di valorizzare tutto. Noi di GOEL siamo cresciuti così, e dunque l’economia circolare ci è venuta spontanea come respirare. Siamo partiti dall’iniziativa di GOEL Bio, il nostro ramo agricolo, dove abbiamo messo insieme aziende coraggiose che hanno deciso di ribellarsi alla ‘ndrangheta. Confrontandoci con le mafie, con le massonerie deviate, con i poteri forti siamo consci di essere poca cosa, ma allo stesso tempo sappiamo di poter mettere in campo un processo di delegittimazione importante contro queste realtà. E, anche se non sembra, la delegittimazione più importante è la dimostrazione che l’etica non è solo giusta ma funziona meglio. Così allo stesso tempo la ‘ndrangheta non è solo ingiusta ma è inutile.
Le mafie non convengono ai territori, insomma …
Esatto, sono fallimentari, per usare un termine specifico. Nel perseguire questo scopo vogliamo dunque massimizzare l’etica. Ecco perché siamo partiti dall’agricoltura calabrese, specializzata in agrumi e uliveti. Degli agrumi che raccogliamo circa la metà ha le caratteristiche organolettiche per diventare frutta da tavola. Che ne facciamo del resto? Marmellate, certamente, che però non hanno grandi mercati. Allora ci siamo detti che conveniva spremerle. In giro per la regione abbiamo però scoperto che tutti gli impianti erano misti, che lavoravano il bio e il non-bio, e che ci chiedevano grandi quantitativi. Nei nostri due centri di confezionamento, nella piana di Gioia Tauro e nella Locride, ciò però non era possibile. Così abbiamo costruito il primo impianto calabrese di spremitura esclusivamente bio. Sono nati in questo modo i “succhi della legalità”.
È qui che si arriva al pastazzo, giusto?
Bisogna specificare una cosa: se si portano 100 chili di arance a spremere, si otterranno 35 chili di succo e 65 chili di pastazzo. Il pastazzo è considerato un rifiuto speciale, perché non è facilmente compostabile. Gli oli essenziali contenuti nella buccia degli agrumi, sostanze straordinarie, hanno proprietà antibatteriche e antimicotiche, quindi rallentano il processo di fermentazione naturale. Per questo motivo abbiamo costruito delle macchine che potevano estrarre dagli agrumi e dal pastazzo tutti gli oli essenziali. Da una parte produciamo quindi un pastazzo molto più compostabile, che può diventare anche mangime per gli animali, e dall’altra oli essenziali biologici di alta qualità.
Avete altri esempi di economia circolare?
Sì, per esempio sull’olio d’oliva. Il nostro è un olio extravergine di alta qualità, ma qualche volta produciamo piccoli quantitativi di olio vergine, che quindi ha poco mercato alimentare ma può avere ottimi riscontri sulla cosmesi. Così nella piana di Gioia Tauro abbiamo costruito un impianto per la produzione di cosmetici bio, a base di oli essenziali di agrumi e di olio vergine d’oliva bio. La nostra circolarità è anche sociale: in quell’impianto formiamo ragazzi che provengono dalle comunità per minori a rischio, in modo tale che la biocosmesi diventi un’opportunità di formazione professionale o lavoro. Ci siamo poi resi conto che nelle decine di ettari a nostra disposizione proprio in questo periodo, da febbraio ad aprile, gli agrumeti vanno potati. Cosa fare dunque con questi rami? Abbiamo perciò costruito un laboratorio di distillazione per le foglie, e produciamo anche in questo caso oli essenziali bio, i cosiddetti petitgrain. Per la nostra linea di biocosmesi che lanceremo quest’anno, infine, utilizzeremo packaging riciclato.
Da dove arriva l’esigenza di unirsi? In questo senso avete trovato o trovate ancora resistenze e difficoltà?
La fatica dei processi partecipativi è molto seria in Calabria. Noi abbiamo scelto di scommettere sulla partecipazione, la nostra è una holding democratica. Tra partite iva e aziende agricole GOEL – Gruppo Cooperativo è composta da una 50ina di realtà. Si pone certamente il problema di tenere in piedi realtà diverse, non controllate, che spontaneamente aderiscono alla rete e che intendono essere competitivi sul mercato. Abbiamo sperimentato, cambiato più volte modello, siamo andati avanti per prove ed errori, proprio perché non è facile mettere insieme la democrazia partecipativa e l’efficienza imprenditoriale. Dall’altro lato però tutto ciò paga, in un’ottica mutualistica ma non solo. Nelle nostre assemblee di gruppo gli agricoltori si interessano alla moda, le sarte si interessano dei servizi sociali, e così via. Pur proveniendo da ambiti e territori diversi le persone si sentono unite da un progetto culturale e politico comune.
Qual è il rapporto che avete con le istituzioni?
In GOEL siamo convinti che negli ultimi secoli siano evoluti tutti gli aspetti del nostro vivere, tranne la democrazia, che è vecchia almeno di 200 anni. Soprattutto al Sud c’è ancora una visione illuministica della democrazia. Per noi lo Stato non è un agglomerato di persone elette e di istituzioni, per noi lo Stato è la gente, lo Stato siamo noi. Dunque, di conseguenza, il perseguimento del bene comune non è una prerogativa delle istituzioni ma di ogni singolo cittadino. Con il progetto riCALABRIA, insieme alle comunità locali, abbiamo iniziato a stilare la lista dei problemi e quella delle soluzioni che sottoponiamo alle istituzioni, per risolvere insieme le questioni. Noi non ci siamo mai sentiti interlocutori che dovevano negoziare delle richieste, ma ci siamo sempre sentiti corresponsabili insieme alle istituzioni. In Calabria non ci sono molte vie di mezzo: o le amministrazioni locali sono colluse o rischiano la pelle per la coerenza e l’onestà. Di queste ultime noi siamo a sostegno. Parallelamente ci teniamo lontano ogni volta che sentiamo puzza di collusione, a tutti i livelli, e contemporaneamente cerchiamo di chiedere meno contributi pubblici possibili per garantire la nostra libertà.
Cosa manca a vostro parere per un’economia circolare che sia anche etica e sociale, così come avviene con GOEL?
Secondo me oggi l’economia circolare ha bisogno di uno scatto culturale importante, prima ancora della parte imprenditoriale. Bisogna uscire fuori dall’equivoco per cui l’economia circolare è soltanto sostenibilità ambientale. La circolarità acquisisce una sua compiutezza se acquista una dimensione ambientale, sociale, lavorativa, societaria. Qualcuno dovrà spiegare perché abbiamo tantissime certificazioni sui diritti lavorativi e dell’ambiente e nessuno si pone il problema, in un Paese che ha partorito le tre mafie più forti del mondo, se i soldi puzzano e se esistono collusioni nelle compagini societarie. È necessario un upgrade culturale: l’etica o è integrale o non è etica. Solo così, in un’ottica olistica e meno settoriale, l’economia circolare può rappresentare un vero cambiamento.
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