Francesca Bettio è un’economista femminista italiana, professoressa di Politica Economica presso l’Università di Siena, ha conseguito il dottorato in economia presso l’Università di Cambridge. È stata anche Visiting Scholar presso università statunitensi (Barnard College, University of Columbia; American University; New School for Social Research) e, recentemente, a Città del Capo (School of Economics, University of Cape Town). Ha un’esperienza trentennale di collaborazione scientifica con la Commissione Europea per conto della quale ha coordinato vari reti pan-europee di esperte di mercato del lavoro e uguaglianza di genere. Collabora alla redazione del portale inGenere che ha contribuito a fondare. I suoi interessi di ricerca hanno originariamente privilegiato temi classici inerenti il lavoro femminile – occupazione e disoccupazione, segregazione occupazionale, differenze salariali o di reddito e discriminazione – sui quali ha svolto ricerche pionieristiche per l’Italia. Nel tempo la sua attività di ricerca si è estesa ad aree di indagine contigue quali la fecondità, l’economia del lavoro di cura, o le dimensioni economiche della violenza di genere.
Il Nobel all’economista Claudia Goldin
A lei abbiamo chiesto di commentare il Nobel e il lavoro di Claudia Goldin, economista, ha vinto il Premio Nobel per l’Economia del 2023 per le sue ricerche sulle condizioni delle donne nel mercato del lavoro. L’Accademia di Svezia ha scritto nella motivazione del premio “per aver fatto progredire la nostra comprensione degli sviluppi sulle donne nel mercato del lavoro”.
I suoi lavori studiano, infatti, il cambiamento del ruolo delle donne nel mercato del lavoro, analizzando dati che coprono oltre due secoli, e le cause del persistente divario retributivo tra uomini e donne. È stata una delle pioniere nel mondo accademico degli economisti: è stata la prima donna a cui è stata offerta una cattedra nel Dipartimento di Economia di Harvard, nel 1989.
Claudia Goldin ha vinto il Nobel per l’economia e sicuramente ne siamo contente, sono pochissime le donne che hanno avuto questo riconoscimento. Le chiederemmo quindi come prima cosa: è d’accordo? dobbiamo festeggiare? Questo premio rappresenta il riconoscimento del contributo delle donne alla teoria, analisi e pensiero economico? In particolare, rappresenta una forma di riconoscimento del lavoro delle donne che si sono occupate di tematiche di genere e sappiamo che spesso concentrarsi su tematiche di genere è punitivo in termini di carriera.
È indubbio che il Nobel riconosciuto a Claudia Goldin rappresenti una vittoria speciale per le donne che si occupano di economia, ma anche per tutte le donne che l’economia la fanno, troppo spesso non viste. È il primo Nobel riconosciuto ad una economista donna in via esclusiva per come è riuscita ad imporre all’attenzione della disciplina economica quella che lei stessa chiama “rivoluzione silenziosa”, una serie di cambiamenti epocali che hanno visto le donne protagoniste dell’evoluzione economica nell’ultimo secolo a partire dal mercato del lavoro.
Il premio all’economista Goldin corona anche l’ascesa di un filone dell’economia, nota come economia di genere, che ha acquisito progressivamente legittimità nell’ambito della disciplina e che evita a giovani studiose e studiosi di venire penalizzati solo perché distinguono interessi e agire delle donne da quelli degli uomini rifiutando la tradizionale finzione di attori economici formalmente asessuati ma di fatto modellati su un maschio.
Tutto ha un prezzo, però: la legittimità acquisita da questo filone e ora coronata da Nobel non si estende automaticamente a chi non si limita a introdurre la distinzione fra maschi e femmine in economia, ma ne rifiuta alcuni principi che ancora la dominano, ad esempio il privilegiare tutto ciò che è intermediato da mercato e denaro invece che da relazioni e regole informali, o l’affidarsi ad una razionalità puramente individuale ignorando identità collettive e spinte emotive. Claudia Goldin ha giocato abilmente con i limiti di una certa ortodossia. Forte di un’invidiabile capacità di affabulare, non ne ha mai apertamente sfidato i cardini, ma ha saputo intrecciarla e sfumarla con solide analisi storiche e ha continuato ad occuparsi di questioni femminili anche quando non era chiaro che ne sarebbe stata ripagata.
Come dicevamo, parte del giubilo di questo Nobel a Goldin è che ha lavorato sulla dimensione di genere del mercato del lavoro. Le vorremmo chiedere quindi se studiare la dimensione di genere è sufficiente per definire come femminista la prospettiva di Goldin, e se, in modo più generale, lo è in un’accademia che spesso usa la parola genere per non usare la parola femminista?
Personalmente riconosco volentieri il femminismo della Goldin, ma in senso politico non disciplinare. Il femminismo disciplinare è quel filone che ruota attorno alla rivista Feminist Economics e che non ha visto l’adesione ufficiale della Goldin, proprio per la cura che la studiosa ha posto nel non sfidare apertamente una certa ortodossia. A mio avviso, però, ciò ha ridotto la portata innovativa del suo contributo.
L’economia femminista non si è limitata a criticare la vecchia ortodossia economica ma ha imposto alla disciplina un’attenzione crescente al lavoro non pagato e soprattutto al lavoro di cura, allargando i tradizionali confini economici ben oltre il mercato del lavoro convenzionale. Ha anche aperto l’analisi a prospettive disciplinari diverse dall’economia per poter meglio indagare quei conflitti identitari o di potere che la teoria economica tradizionale è meno attrezzata a capire. Ad esempio, non è raro trovare contributi di economiste femministe che usano strumenti empirici tipici degli economisti per verificare l’ipotesi sociologica del doing gender per cui, ad esempio, una donna che guadagni più di un maschio sceglie di rassicurare il partner riaffermando la propria femminilità con un aumento del suo impegno nel lavoro domestico o di cura. Purtroppo, l’apertura interdisciplinare propria del femminismo economico è percepita e penalizzata come “indisciplina“ in ambito accademico, a dispetto degli accorati richiami ai vantaggi dell’interdisciplinarietà per capire un mondo sempre più complesso.
Goldin sottolinea come il problema delle donne è la coppia eterosessuale. Il luogo in cui dovrebbero davvero agire il conflitto è quindi la casa più che il mercato del lavoro. È ancora davvero così difficile la negoziazione tra le mura domestiche?
Si, ma con distinguo importanti. Il problema non è la coppia eterosessuale bensì i ruoli maschili e femminili, che possono essere agiti anche da persone dello stesso sesso. Né mi sentirei di affermare che il conflitto tra le mura domestiche pesa di più, in prospettiva, di quanto succede sul mercato del lavoro. Il primo precede il secondo in termini logici e storici e ciò giustifica l’affermazione che in assenza di un cambiamento radicale dei ruoli di coppia non vi può essere integrazione delle donne alla pari nell’economia. Attenzione però al non detto che può nascondersi dietro questa affermazione, ovvero al rischio di porre l’onere del cambiamento solo sulle spalle delle donne. Ruoli lavorativi e ruoli di coppia si influenzano fortemente a vicenda, anche se i processi di cambiamento possono essere lenti e non lineare. Un’economista liberale alla Goldin è meno incline a regolamentare il mercato o plasmare il welfare per favorire un cambiamento nei ruoli familiari e preferisce lasciare uomini, ma soprattutto donne, liberi di cambiare, purché in famiglia.
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