Cosa ne direste se il cellulare che tenete tra le mani non fosse più di vostra proprietà ma dell’azienda produttrice che, a fronte di un canone periodico, vi fornisse tutti i servizi? Potreste fare telefonate e foto, consultare giornali, chat, social, al costo di un tanto al mese, inclusa anche l’assistenza per la gestione del software, per riparare lo schermo rotto, o per scaricare le app. Potreste permettervi il servizio (invece del possesso) di modelli tecnologicamente avanzati ed efficienti, oltre che costosi. Potreste persino decidere di prendervi un anno sabatico dalla vostra estensione smart, sospendendo semplicemente il servizio. L’impresa, d’altra parte, avrebbe tutto l’interesse a produrre telefonini durevoli, funzionanti e riparabili per fornire il più a lungo possibile un buon servizio ai propri clienti, riducendo i suoi costi e fidelizzandoli a tempo indeterminato.
Sembra una buona idea, ma anche una rivoluzione radicale rispetto all’attuale modello di business, basato sulla mercificazione, sull’obsolescenza programmata, sul consumismo da cui ricaviamo fuggevoli soddisfazioni, in cambio di un mare di rifiuti. Oggi il lavoro dell’azienda finisce praticamente quando il consumatore acquista un suo prodotto. Dunque più ne acquista meglio è. Nel modello della servitizzazione (traslitterazione dall’inglese servitization), al contrario, il fornitore mantiene la proprietà e la responsabilità del prodotto per tutto il suo ciclo di vita e il cliente ne usufruisce per il tempo necessario, pagando non per l’oggetto ma per il risultato.
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Product as a service, un mercato in espansione
La servitizzazione non è solo una buona idea. È anche una reale possibilità. Specialmente da quando molte aziende, soprattutto nel settore delle apparecchiature elettroniche, stanno sperimentando e offrendo sul mercato una serie di proposte “as a service”, come i sistemi di condizionamento (cooling as a service), le piattaforme tecnologiche (platform as a service), le applicazioni digitali (software as a service), e così via.
Solo per fare alcuni esempi: la società di stampa Xerox offre un servizio “pay-per-copy”; HP ha appena lanciato un sistema di stampa “as a service” basato sul cloud; SunEdison ha aperto la strada agli accordi di acquisto di energia per il solare fotovoltaico consentendo ai clienti di acquistare energia solare invece di investire nei pannelli stessi; Philips ha lanciato il suo “light as a service”, così come la società di illuminazione Signify che lo ha già in uso all’aeroporto Schiphol di Amsterdam e in altre località; Wuntherhalter offre le sue lavastoviglie pay-per-wash; Kaer pubblicizza i suoi sistemi di “air-conditioning as a service”.
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Verso il “right to repair”
Il modello “as a service” intercetta il tema del diritto alla riparazione, che alcune case, come per esempio Nokia, stanno finalmente abbracciando attraverso dispositivi più durevoli e riparabili. La HTC, produttrice di hardware per la realtà virtuale, per esempio, ha siglato un accordo con iFixit per fornire parti di ricambio delle sue cuffie e accessori, nonché le istruzioni ai propri clienti per effettuare le riparazioni faidate.
Se il prodotto è ceduto al cliente “as a service”, i fornitori che ne mantengono la proprietà saranno incoraggiati a pensare a lungo termine durante la progettazione e la selezione della tecnologia, e a sviluppare sistemi modulari, fondamentali per l’economia circolare. Offrendo una manutenzione all’avanguardia, inoltre, l’azienda potrà ridurre al minimo i costi operativi, in particolare l’uso di energia, che è la componente più pesante nel ciclo di vita delle apparecchiature.
Con un modello pay-per-use, ha senso che un fornitore di servizi cerchi modi innovativi per aumentare l’efficienza, massimizzare l’uso delle attrezzature e il riutilizzo dei componenti, allineando così gli interessi delle persone, delle imprese e del pianeta.
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Alleanze aziendali e tecnologie digitali
C’è da precisare che la servitizzazione non è una idea nuova, sebbene sia solo di recente entrata tra gli strumenti espressamente indicati dall’Unione Europea per una produzione più sostenibile, come si può leggere nella Sustainable Product Initiative. Nel mondo delle grandi società di telecomunicazioni e degli elaboratori centrali anni ’50 -‘80, quasi tutto era fornito come servizio. Basti pensare al nostro telefono di casa di cui si pagava l’usufrutto in bolletta. Tornando al nostro esempio del cellulare, molti dei lettori probabilmente hanno potuto acquistare il primo smartphone di nuova generazione grazie a un abbonamento di telefonia mobile vincolante, con cui hanno “rateizzato” il pagamento del prodotto, sotto forma di servizio.
Questo genere di alleanze – nel nostro caso tra produttore di hardware e gestore del network – sembrano alla base delle attuali tendenze di servitizzazione. Prendiamo ad esempio il telelavoro, che secondo lo studio “Future of Work and Digital Transformation” pubblicato dall’azienda Lenovo sarà adottato dall’83% delle aziende almeno per la metà del tempo, anche dopo la fine della pandemia. Grazie all’alleanza tra un’azienda di hardware (Lenovo) e una di servizi cloud (Nutanix), è ora sul mercato una soluzione di lavoro remoto completa che offre sia dispositivi hardware che software, come PC, Citrix e altri ambienti desktop virtuali, tutti concessi in licenza all’utente finale e gestiti come servizio, con la comodità di un unico pagamento mensile e un unico punto di contatto per il supporto.
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Innovazione e tecnologia digitale
L’alleata più fedele delle aziende che percorrono oggi la strada della servitizzazione è sicuramente la disponibilità delle tecnologie digitali, come l’IoT (Internet of things) e l’AI (Artificial Intelligence). L’IoT è alla base, per esempio, dell’esperienze di Cimbali, che tramite una piattaforma cloud, può monitorare in real time le prestazioni e le modalità d’uso delle proprie macchine da caffè vendute ai bar “as a service”.
Anche Candy punta sulla digitalizzazione per sviluppare modelli di lavatrici smart, in grado di scambiare dati con applicazioni esterne. Infine Goglio, grazie a un partner tecnologico con il quale ha creato una piattaforma IoT, ha potuto realizzare per un suo cliente del settore caffè, un contratto full service per una fornitura di macchine per il confezionamento sottovuoto di pacchetti di caffè in polvere e in grani.
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Vantaggi e problemi di applicazione
Uno dei vantaggi più evidenti del modello illustrato, se ci mettiamo nei panni di un’azienda, è senza dubbio la fidelizzazione del cliente, che contrasta l’attuale volatilità di gusti e bisogni del consumatore. Se il prodotto è offerto da un’azienda che fa bene il suo lavoro, l’utente che gode del suo servizio potrebbe rimanerne cliente “per sempre”.
Tuttavia, anche se gli esperimenti delle aziende, in particolare nel B2B (business to business), siano numerosi, i “prodotti come servizi” ad uso diretto dei consumatori, come nel nostro iniziale esempio di smartphone-as-a-service immaginario, sono ancora una rarità. Non è una sfida da poco coinvolgere venditori, partner commerciali, analisti, investitori e anche consumatori, in questo radicale cambiamento di mentalità.
Basti pensare a cosa significherebbe per i produttori avere la responsabilità del fine vita, quindi del riciclaggio o smaltimento, di tutti i propri prodotti. E quanto dovrebbe costare un canone di abbonamento per integrare questi costi? Certamente politiche e incentivi adeguati possono dare slancio a un modello che sembra offrire notevoli vantaggi ambientali. Secondo molti analisti, infatti, il modello di servitizzazione potrebbe dare un contributo chiave all’approccio di efficienza sistemica indispensabile per raggiungere la decarbonizzazione energetica.
Applicabile a qualsiasi tipo di attrezzatura, dall’illuminazione degli edifici alla mobilità elettrica, il suo potenziale come facilitatore per accelerare rapidamente la transizione verso infrastrutture sostenibili è enorme. Così come potrebbe cambiare le nostre abitudini di tutti i giorni. Fairphone ha pubblicato una ricerca e lanciato un progetto pilota, rivolto per ora solo alle imprese, proprio sul potenziale di un “circular phone” prodotto e venduto “as a service”. Con queste premesse, le giuste politiche e gli opportuni aggiustamenti tecnologici, non è impensabile che potremo avere presto il nostro telefonino “per sempre”.
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