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lunedì, Dicembre 23, 2024

Storia di un RAEE, come funziona la raccolta dei rifiuti elettrici ed elettronici

Smartphone, pc, tv ma anche frigoriferi, condizionatori e lampadine. Che percorso fanno i nostri RAEE prima di arrivare al trattamento per il riciclo? Lo spiega Laura Borghi, responsabile commerciale e logistica Stena Recycling S.r.l., nel corso di una lezione di "Ecodesign the Future: EEE edition"

Silvia Santucci
Silvia Santucci
Giornalista pubblicista, dal 2011 ha collaborato con diverse testate online della città dell’Aquila, seguendone le vicende post-sisma. Ha frequentato il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo ambientale “Laura Conti”. Ha lavorato come ufficio stampa e social media manager di diversi progetti, tra cui il progetto “Foresta Modello” dell’International Model Forest Network. Nel 2019 le viene assegnata una menzione speciale dalla giuria del premio giornalistico “Guido Polidoro”

Quando acquistiamo un frigorifero, un phon o un telefono, entriamo all’interno di un sistema che, se seguisse correttamente l’iter prefissato, potrebbe rappresentare una grande risorsa per la transizione ecologica. Raccogliere, trattare e riciclare in modo efficace i Rifiuti da Apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) permette infatti di generare materie prime seconde che potrebbero essere la base di partenza per l’industria del prossimo futuro.

Ma come funziona la raccolta dei RAEE? E quale percorso segue il nostro frigorifero prima di arrivare al trattamento? A spiegarlo è stata Laura Borghi, responsabile commerciale e logistica Stena Recycling S.r.l., nel corso di una lezione di Ecodesign the Future: EEE edition, il percorso formativo organizzato da EconomiaCircolare.com, in collaborazione con Erion WEEE e il CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali, che mira a realizzare proposte di progetto e prototipi sul tema delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE).

I 5 gruppi

Per capire il funzionamento della raccolta dei RAEE in Italia, è necessario specificare la loro classificazione. In pratica all’interno di un’isola ecologica abbiamo una suddivisione in cinque gruppi: con R1 si indicano frigoriferi, congelatori, apparecchi per il raffreddamento, cioè tutti quegli apparecchi per lo scambio di temperatura con fluidi. Con R2 i “grandi bianchi”, ossia lavatrici, lavastoviglie, forni ed asciugatrici. Con R3 tv e monitor LCD o plasma. Nel gruppo R4 troviamo invece i piccoli elettrodomestici come computer, cellulari, ferri da stiro e aspirapolveri, ma anche giocattoli e attrezzature per lo sport. Infine nel gruppo R5 abbiamo tutte le sorgenti luminose come lampadine a basso consumo, lampade a led e lampade a neon.

raccolta RAEE per raggruppamentoSecondo il report annuale del Centro di Coordinamento RAEE sulla raccolta dei rifiuti elettronici in Italia, nel 2023 la raccolta di apparecchi per il raffreddamento (R1) e i “grandi bianchi” (R2) sono cresciuti in maniera pressoché uniforme in tutte le aree, mentre la raccolta di piccoli elettrodomestici registra le migliori performance nelle regioni del Centro (+10,9%). I quantitativi di sorgenti luminose (R5) avviati a riciclo sono cresciuti solo nelle regioni del Sud (+12,1%) e in quelle del Nord (+4,5%), calano nel Centro Italia (-6,4%). Il raggruppamento tv e monitor mostra invece andamenti negativi in tutte le regioni.

“Questo tipo di suddivisione spiega Borghi fa sì che chi raccoglie ‘il freddo’ abbia un determinato tipo di impianti diversi da chi invece raccoglie i ‘grandi bianchi’: ma non rispecchia in nessun modo quelle che sono le quote di responsabilità, cioè le categorie che sono state definite invece in fase di Direttiva comunitaria”. Ma andiamo con ordine.

Leggi anche: La gestione dei RAEE in Italia: è necessaria una svolta

Come funziona la raccolta dei RAEE?

Ciascun produttore immette sul mercato apparecchiature elettriche ed elettroniche che possono essere di tipo domestico o di tipo professionale.

La normativa sui RAEE nasce con la Direttiva del 2002, e si tratta del primo esempio di responsabilità estesa del produttore (EPR – Extended Producer Responsibility) applicata a livello europeo. In Italia la Direttiva è stata recepita in tre anni ed è poi stata revisionata a livello europeo nel 2012 e nel 2014. “Attualmente – spiega Borghi – siamo in fase di nuova revisione, ci si aspetta che nel 2024 si abbia una nuova direttiva“.

In pratica chiunque immette sul mercato italiano ed europeo un prodotto deve occuparsi del fine vita, cioè dei rifiuti che verranno generati nel medesimo anno a livello nazionale. Se ad esempio un’azienda mette sul mercato un frigorifero la responsabilità estesa del produttore non si prefigge lo scopo di far recuperare all’azienda quello specifico frigorifero nel momento in cui verrà dismesso ma stabilisce che l’azienda debba gestire per l’anno in corso una quota di responsabilità dei rifiuti che vengono generati da ciascun cittadino.

Per fare questo sono stati definiti a livello europeo dei target di raccolta, ovvero ciascuno Paese ha l’obiettivo di raccogliere un determinato quantitativo di rifiuti per avviarli al corretto trattamento, che è stato definito con degli obiettivi di riciclo e recupero. Borghi solleva però una criticità legata ai target: “Il punto è che questi obiettivi sono per peso, quindi recuperando ferro, alluminio e rame, che è un’industria consolidata, si ottiene il grosso del peso. Una definizione degli obiettivi di questo tipo non incentiva invece a raccogliere le terre rare che sono all’interno delle apparecchiature”.

I produttori, che hanno quindi il dovere della raccolta, non si muovono individualmente ma si aggregano nei cosiddetti “sistemi collettivi”: molto spesso si tratta di consorzi di produttori di elettrodomestici che hanno fondato delle strutture appositamente dedicate a coordinare o organizzare la raccolta o il trattamento delle Apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) per conto dei produttori associati aderenti.

Come sappiamo, quando il cittadino o la cittadina porta l’elettrodomestico non più funzionante presso l’isola ecologica, o attraverso il sistema di ritiro domiciliare, può farlo a titolo completamente gratuito: i costi sono infatti sostenuti dall’azienda municipalizzata che gestisce i rifiuti urbani.

Da questo punto in poi si passa sotto la responsabilità del produttore, quindi del sistema collettivo. Come spiega Borghi, ciascun centro di raccolta dichiara la propria esistenza al centro di coordinamento RAEE, una sorta di arbitro a livello nazionale che coordina l’attività di tutti i sistemi collettivi: questo raccoglie da una parte tutta l’anagrafica dei centri di raccolta esistenti in Italia e dall’altra annualmente i dati sull’immesso sul mercato quindi il venduto di ciascun produttore.

“Il venduto di ciascun produttore – prosegue Borghi – determina la sua quota di competenza: in base alle quote di competenza il Centro di coordinamento RAEE assegna ai sistemi collettivi la gestione di una quota proporzionale di centri di raccolta, o meglio di punti di prelievo, ovvero di singoli raggruppamenti all’interno dei centri di raccolta”.

I sistemi collettivi adempiono quindi ai loro obblighi attraverso dei contratti con gli impianti di recupero e con fornitori di servizi di logistica. Con i trasportatori contrattualizzano i servizi e i centri di raccolta, mentre con gli impianti di trattamento contrattualizzano servizi di trattamento con adeguati standard qualitativi. 

Per quanto riguarda le apparecchiature professionali che vengono vendute ad aziende, queste hanno il diritto di richiedere al produttore che gli ha venduto l’apparecchiatura il ritiro della stessa. Anche in questo caso il ritiro viene veicolato sempre dai sistemi collettivi.

Una raccolta non sufficiente

Secondo i dati dell’United Nation Institute for training and research, nel 201 sono stati raccolti circa la metà dei RAEE che si stima siano stati generati: per raccolta in questo caso si intende naturalmente intercettati e trattati correttamente dai sistemi ufficiali di raccolta presenti in tutta Europa.

Per comprendere la situazione è necessario partire da quelli che vengono chiamati dati POM, che sta per put on market: la quantità di apparecchiature immesse sul mercato e vendute nel 2010 era di 9,8 milioni di tonnellate e nel 2019 di 13,3 milioni di tonnellate, si è registrata quindi una crescita di 3,5 milioni di tonnellate. In base  a questo la quantità stimata di RAEE, sarebbe nel 2021 di 10,4 milioni di tonnellate. Tuttavia nel 2021 la raccolta in Europa è stata solo di 5,6 milioni di tonnellate.

Che fine ha fatto dunque l’altra metà degli elettrodomestici? I canali che possono seguire dei RAEE sono i più disparati, ma esistono principalmente tre fenomeni. Il primo vede i RAEE gestiti non in quanto tali ma come metallo misto, il secondo vede, soprattutto per i piccoli RAEE, un errato conferimento nel secco residuo, dunque nell’indifferenziato e un terzo che vede purtroppo l’export illegale. Moltissime apparecchiature vengono esportate all’estero, soprattutto nei Paesi dell’Africa, dove si cerca di “riutilizzare quello che funziona, anche male, riparare quello che è riparabile e si avvia a smaltimento tutto il resto”: si ricorre spesso a discariche e non è raro che si brucino le apparecchiature.

La mancanza di raccolta nel sistema ufficiale del solo 50% dei RAEE introdotti, insomma, genera un enorme gap nella potenzialità dell’industria del riciclo di generare materie prime secondo. Secondo i target dell’Unione europea dovrebbe essere raccolte ed avviate a trattamento il 65% delle apparecchiature immessi sul mercato, ma in Italia nel 2021 così come nel 2022 siamo riusciti a raccogliere circa il 34%.

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