Almeno il 20% delle aree terrestri e il 20% delle aree marine dell’UE entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che non sono in buone condizioni entro il 2050: sono questi i numeri principali della proposta di legge sul ripristino della natura, nota come Nature Restoration Law, su cui l’Unione europea ha deciso di dare un’accelerata.
Dopo il voto dello scorso 20 giugno da parte del Consiglio europeo, l’appuntamento è per il 27 giugno quando a votare la proposta di legge, presentata dalla Commissione il 22 giugno del 2022, sarà la Commissione Ambiente del Parlamento europeo. Se tutto andrà come previsto successivamente, in autunno, partiranno le complesse negoziazioni tra le istituzioni europee, note come Trilogo, che dovrebbero portare alla forma definitiva del regolamento nel 2024. Un appuntamento fondamentale, da non perdere, visto che proprio l’anno prossimo si terranno le elezioni europee che promettono di modificare, e di molto, gli assetti attuali.
Ecco perché 28 organizzazioni italiane nei giorni scorsi hanno scritto al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, chiedendo il sostegno dell’Italia alla proposta di regolamento europeo. Al Consiglio europeo, infatti, l’accordo è passato con il consenso di 20 Stati membri e il voto contrario di Italia, Austria, Belgio, Finlandia, Olanda, Polonia e Svezia. Prima di capire i motivi dell’opposizione del governo Meloni, tuttavia, è necessario fare un passo indietro. Per comprendere cosa prevede concretamente la proposta della Commissione.
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Cosa prevede la legge sul ripristino della natura
Nel documento che, a meno di eventuali sorprese, sarà approvato dal Parlamento europeo si stabiliscono obiettivi e obblighi specifici, giuridicamente vincolanti, per il ripristino della natura in ciascuno degli ecosistemi elencati, dai terreni agricoli e dalle foreste agli ecosistemi marini, d’acqua dolce e urbani. Il testo del Consiglio stabilisce un equilibrio tra il mantenimento di obiettivi ambiziosi per il ripristino della natura e la garanzia di flessibilità per gli Stati membri, richiesta dagli stessi, nell’attuazione del regolamento (ci torneremo). A passare, su richiesta degli Stati membri, è stato il ripristino del 30% dell’area totale dei tipi di habitat ritenuti non in buone condizioni, anziché all’area per ciascun gruppo di habitat, come inizialmente proposto dalla Commissione.
Gli Stati membri dovrebbero tuttavia stabilire misure di ripristino per almeno il 60% entro il 2040 e per almeno il 90% entro il 2050 dell’area di ciascun gruppo di habitat che non è in buone condizioni. Questo è un passaggio importante anche se annacquato, è proprio il caso di dirlo, dall’eccezione introdotta per le aree marine che presentano habitat di sedimenti soffici. In questo specifico caso gli Stati membri potranno applicare una percentuale inferiore per gli obiettivi e l’obiettivo del 2030 non sarà applicato.
E che il testo approvato dal Consiglio sia un classico caso di compromesso lo testimonia la dichiarazione di Romina Pourmokhtari, ministra svedese per il clima e l’ambiente. “È evidente che la presidenza ha lavorato duramente per trovare il giusto equilibrio e ha ascoltato attentamente tutti gli Stati membri che hanno espresso preoccupazioni e osservazioni diverse sulle proposte – ha detto – Sono lieta che abbiamo trovato un modo per portare questo dossier a un accordo generale. Questo testo è una solida base per i negoziati con il Parlamento europeo. Speriamo che la legge finale sul ripristino della natura ci permetta di ricostruire un livello sano di biodiversità, di combattere il cambiamento climatico e di rispettare gli impegni internazionali assunti con l’accordo di Kunming-Montreal“.
Eppure, nonostante l’accordo al ribasso, la posizione dell’Italia resta contraria. Perché?
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La posizione dell’Italia sul ripristono della natura
Da una parte c’è chi dice che si è fatto troppo, dall’altra chi dice che si è fatto troppo poco. Sono i paradossi di un Paese sempre più diviso sulle questioni ambientali. Immediatamente dopo l’accordo del Consiglio europeo, quasi come un segnale da dare al Parlamento europeo che dovrà votare quel testo domani, il ministero dell’Ambiente ha emanato una nota ufficiale definendo la proposta di regolamento sul ripristino della natura “inapplicabile e non sostenibile”. Va ricordato che il governo Meloni in questa fase è impegnato in un’ampia critica “da destra” alle istituzioni europee, insieme a Stati come la Polonia (anch’essa ha votato contro), Bulgaria e Ungheria (con i quali condivide le perplessità sul pacchetto di riforme Fit for 55”).
“Anche l’Italia – ha spiegato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin – ritiene che il regolamento uno strumento cruciale per arrestare la perdita di biodiversità e affrontare il cambiamento climatico con il suo impatto su società ed economia”. Per questo, ha aggiunto, “ci siamo impegnati nel negoziato perché il testo, nel rispetto della portata innovatrice del regolamento, possa essere efficace ed attuabile, garantendo la necessaria flessibilità agli Stati membri”. Pur sottolineando alcune modifiche migliorative, Pichetto ha chiarito i motivi per cui il testo non possa essere considerato soddisfacente dall’Italia: tra queste, “le deroghe sulle energie rinnovabili”, “gli obiettivi di ripopolamento dell’avifauna”, “il tema delle risorse finanziarie, che devono essere chiarite e rese disponibili prima dell’entrata in vigore”.
In tutt’altra direzione va Legambiente, una delle più note associazioni ambientaliste italiane, per la quale invece “il testo approvato dal Consiglio è insufficiente e poco ambizioso, garantisce troppa flessibilità per gli Stati membri nell’attuazione del regolamento”. La speranza dell’associazione è rivolta ai negoziati con il Parlamento europeo, affinché si possa ottenere una versione della Nature restoration law più netta e più vincolante.
“Riteniamo – spiega Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente – che bisogna essere più ambiziosi perché, secondo la stessa Commissione, oltre l’80% degli habitat europei è in cattive condizioni e gli sforzi passati per proteggere e preservare la natura non sono stati in grado di invertire questa tendenza preoccupante. Consideriamo il testo approvato dal Consiglio insufficiente perché, nella ricerca di stabilire un equilibrio politico e contrastare la disinformazione diffusa dei partiti di destra e dalla lobby dell’agricoltura e della pesca, garantisce troppa flessibilità per gli Stati membri nell’attuazione del regolamento. È necessario un rafforzamento del regolamento durante i negoziati con il Parlamento Europeo, e stabilire un quadro giuridico completo e vincolante al posto di un approccio volontario e frammentario che finora non ha avuto successo, anche per dare seguito alle numerose richieste di cittadini, scienziati e associazioni e imprese che si sono espresse a favore della Nature restoration law”.
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