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Ieri a Bruxelles si è tenuto un incontro organizzato da CGIL, Abiti Puliti e Impresa2030 per denunciare i rischi della revisione della direttiva sulla due diligence aziendale. Secondo gli organizzatori – che hanno battezzato l’incontro “Revisione direttiva due diligence: semplificazione o deregolamentazione?” – la proposta della Commissione europea, presentata come “semplificazione”, rischia di trasformarsi in una deregolamentazione che indebolirebbe le tutele per lavoratori, comunità e ambiente nelle catene globali di produzione. “La revisione della direttiva – affermano in una nota – non può tradursi in un via libera allo smantellamento delle tutele per lavoratori, comunità e ambiente lungo le catene globali del valore.
All’incontro ospitato al Parlamento europeo hanno preso la parola rappresentanti del sindacato, delle campagne per la giustizia sociale e ambientale e del mondo politico. Per la CGIL è intervenuta Ornella Cilona, mentre la Campagna Impresa 2030 è stata rappresentata da Cristiano Maugeri e la Campagna Abiti Puliti da Deborah Lucchetti. Presente anche Andrea Mone per la CISL, a testimoniare l’impegno sindacale sul tema. Il confronto ha visto la partecipazione di diversi europarlamentari italiani: Brando Benifei (PD), promotore dell’evento, Irene Tinagli (PD), Mario Furore (M5S) e Cristina Guarda (Europa Verde), che hanno portato posizioni critiche sulle modifiche proposte alla direttiva. A chiudere i lavori è stato l’intervento di Enrico Giovannini, co-fondatore e direttore scientifico di ASviS, che ha offerto un contributo tecnico-scientifico sui rischi di un arretramento delle politiche europee in materia di sostenibilità.
La lettura è chiara: “Le proposte, presentate come ‘semplificazione’, riducono in realtà le tutele per lavoratrici, lavoratori e PMI nelle filiere globali, indebolendo la due diligence e la rendicontazione di sostenibilità. Un intervento che favorisce le politiche di competitività dei grandi gruppi industriali e finanziari, scaricando i costi sociali e ambientali sulle comunità e ampliando le disuguaglianze”.
L’incontro è stato pensato in vista dell’imminente voto di ottobre della commissione JURI, competente sul dossier. L’Europarlamento voterà in plenaria la propria posizione a fine ottobre. Si aprirà poi la fase di negoziazione con il Consiglio europeo su un testo finale, previsto per l’inizio del 2026.
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Il sondaggio
Durante l’iniziativa sono stati presentati i risultati del sondaggio condotto da SWG e promosso da WeWorld e Manitese insieme a Impresa2030 e l’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) sul ruolo delle imprese per la tutela dei diritti umani e ambientali.
L’85% della popolazione italiana maggiorenne dichiara che le grandi imprese europee e quelle di altri paesi che esportano nel mercato europeo devono essere obbligate per legge a prevenire i danni causati dalle loro attività a persone, ambiente e clima, anche se questo comporta per loro dei costi in più. L’84% chiede che le grandi aziende siano responsabili dei danni causati dai loro prodotti o servizi lungo tutta la catena del valore e il 79% che le grandi aziende siano obbligate a fare piani per ridurre le emissioni di CO₂. Inoltre, solo 1 persona su 3 in Italia pensa che i governi facciano abbastanza per limitare l’impatto negativo delle grandi aziende sui diritti umani e clima.
Emerge inoltre un’idea chiara di competitività: 3 italiani su 4 affermano che non può esserci competitività senza tutela dei diritti umani, dell’ambiente e senza contrasto al cambiamento climatico.
I rischi della deregulation
Dal dibattito sono emersi avvertimenti chiari: secondo le organizzazioni, il pacchetto Omnibus riaprirebbe scenari di sfruttamento già visti, come caporalato e tragedie industriali. Per diversi europarlamentari intervenuti la proposta mette a rischio i progressi fatti in materia sociale e ambientale, cedendo terreno a interessi di grandi multinazionali.
Il confronto ha mostrato due visioni contrapposte: da un lato la spinta alla deregolamentazione, dall’altro la richiesta di una transizione giusta e sostenibile. Ora la partita si sposta a Strasburgo, con il voto di ottobre che sarà decisivo per il futuro della direttiva.
Questi i temi principali emersi nella giornata.
Un approccio ideologico. Secondo Enrico Giovannini, co-fondatore e direttore scientifico di ASviS, i vari pacchetti Omnibus licenziati dalla Commissione sono “riforme all’insegna di una semplificazione che in realtà attacca la trasformazione verso un sistema economico sostenibile”. Sono frutto di “un approccio ideologico non supportato dai dati. Infatti, i dati mostrano che le imprese che investono in sostenibilità aumentano la competitività e la produttività. Con le nuove tecnologie – pensiamo ad esempio all’economia circolare – è fondamentale assicurare l’integrità delle filiere in termini di impatto ambientale e di rispetto dei diritti umani. Ecco perché snaturare la direttiva sulla due diligence sarebbe un errore”.
Vince il modello estrattivista. “Fino ad oggi la Direttiva Due diligence è stata trattata come un argomento tecnico. Eppure si tratta di una norma indispensabile per tutelare i diritti e l’ambiente”, ha detto Cristiano Maugeri di ActionAid e co-portavoce della Campagna Impresa 2030. “Quello che ci viene venduto come semplificazione con la procedura Omnibus, altro non è che un tentativo di assecondare le ambizioni di un modello estrattivista che non solo i cittadini e le cittadine non vogliono più ma non possiamo più permetterci”.
Rischio di nuovi Rana Plaza. Per Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti, l’approvazione del pacchetto Omnibus aprirebbe al ritorno funesto di scenari già visti: “Un nuovo Rana Plaza sarebbe possibile perché molte aziende coinvolte allora resterebbero oggi escluse dalla direttiva a causa della loro ‘dimensione troppo piccola’. Le inchieste sul caporalato, come quelle condotte dalla procura di Milano sui casi Armani, Alviero Martini, Valentino, Dior e Loro Piana, mostrerebbero di nuovo lo stesso sistema di sfruttamento, in cui la subfornitura viene scientemente usata dai grandi marchi del lusso per massimizzare i profitti, scaricando i costi sociali sui lavoratori più vulnerabili, in particolare donne e migranti. A pagare sarebbero ancora loro, insieme alle piccole e medie imprese, che continuerebbero a sostenere il peso della sostenibilità senza avere sostegni, strumenti né tutele, mentre i grandi committenti resterebbero esonerati dalle proprie responsabilità”.
Sindacati marginalizzati. Secondo Ornella Cilona (CGIL), “le modifiche proposte dalla Commissione europea alla direttiva in materia di due diligence non rispondono, a giudizio della CGIL, all’esigenza di una semplificazione ma costituiscono un rilevante rimaneggiamento del testo, ridimensionando il ruolo dei sindacati e della società civile e vanificando il contributo apportato dal Parlamento UE in fase di approvazione della direttiva”.
Il necessario confronto con la società civile. “Nella scorsa legislatura abbiamo conquistato un’importante direttiva sulla due diligence sulla sostenibilità aziendale, già allora frutto di compromessi. Il pacchetto Omnibus la smantella, privandola di tutti i traguardi raggiunti su diritti umani e ambiente”, ha affermato Brando Benifei, eurodeputato del Partito Democratico e promotore dell’evento. “Oggi è cruciale il confronto strutturato e continuo con associazioni, campagne e sindacati per denunciare e porre rimedio a una dilagante deregolamentazione che danneggia lavoratori, cittadini e imprese. Il Parlamento europeo sarà presto chiamato a votare: dobbiamo lavorare affinché non vengano approvati testi vuoti, privi di misure serie e vincolanti sulla sostenibilità delle imprese”.
Obsolescenza contro innovazione. “Dietro lo slogan della ‘semplificazione’ si nasconde l’assalto alla diligenza lanciato dalle grandi aziende”, ha commentato Cristina Guarda, eurodeputata Verdi/ALE. “In questa partita ci sono due blocchi di interessi contrapposti: da un lato le multinazionali e la parte obsoleta del sistema industriale europeo; dall’altro i settori dell’innovazione, le piccole aziende, l’ambiente, le lavoratrici e i lavoratori, i cittadini europei che chiedono stabilità normativa, maggiore responsabilità d’impresa e scelte coraggiose come il Green Deal. Le forze conservatrici hanno scelto di rappresentare il primo blocco, noi vogliamo difendere il secondo: un’alleanza inedita, sociale ed economica, ancora prima che politica”.
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