L’Europarlamento ha adottato mercoledì 13 marzo la propria posizione negoziale relativa alla proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti relativamente ai tessili e agli scarti alimentari. Con 514 voti favorevoli, 20 contrari e 91 astensioni vengono proposte novità importanti coma la responsabilità estesa per i produttori tessili, che coprirà il fine vita dei beni, e obiettivi vincolanti per ridurre gli sprechi alimentari.
Ogni anno nell’UE vengono prodotti 60 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (131 kg per persona) e 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Solo abbigliamento e calzature rappresentano 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti, equivalenti a 12 kg di rifiuti per persona ogni anno. Si stima che meno dell’1 % di tutti i tessuti in tutto il mondo siano riciclati in nuovi prodotti.
Le norme votate mercoledì rappresentano dunque un passo importante nel cammino per un’economia pienamente circolare. La riforma della direttiva quadro sui rifiuti sarà seguita dal nuovo Parlamento dopo le elezioni europee del 6-9 giugno. I nuovi eurodeputati e le eurodeputate riprenderanno i dossier da dove si erano interrotti per portarli alle fasi successive, in questo caso il trilogo con Consiglio e Commissione, dopo che anche i rappresentanti dei governi nazionali in seno al Consiglio avranno approvato la propria posizione negoziale (il dossier è all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Ambiente, previsto per il 25 marzo 2024).
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Obiettivi vincolanti per ridurre gli sprechi alimentari
Secondo gli emendamenti adottati dal Parlamento, la direttiva prevede obiettivi vincolanti più ambiziosi di riduzione dei rifiuti da raggiungere a livello nazionale entro il 31 dicembre 2030: almeno il 20% nella trasformazione e produzione alimentare (invece del 10% proposto dalla Commissione) e il 40% pro capite nella vendita al dettaglio, nei ristoranti, nei servizi alimentari e nelle famiglie (invece del 30%). Traguardi da raggiungere, propone il Parlamento Ue, anche con la promozione di frutta e verdura ‘brutte’ (non in linea con gli standard estetici), rendendo più chiara l’etichettatura delle date di scadenza e agevolando la donazione degli alimenti invenduti ma consumabili. Il Parlamento ha richiesto inoltre che la Commissione valuti se debbano essere introdotti obiettivi più elevati per il 2035 (rispettivamente almeno il 30% e il 50%).
“Quasi 10 anni fa, l’UE e i suoi Stati membri si sono impegnati a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, tra cui la riduzione del 50% degli sprechi alimentari lungo l’intera catena di approvvigionamento, come indicato nell’SDG 12.3 – ricorda Theresa Mörsen, Waste & Resources Policy Officer di Zero Waste Europe – ma ora che la proposta è sul tavolo, i responsabili delle decisioni si tirano indietro di fronte a un’azione decisiva. Ciò avviene sullo sfondo dei recenti rapporti del Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici, che mettono in guardia sull’enorme impatto che gli sprechi alimentari hanno sul cambiamento climatico”.
Sulla stessa linea la Prevent Waste Coalition on food waste (che raccoglie Zero Waste Europe, the European Environmental Bureau, Too Good To Go, Feedback EU, Safe Food Advocacy Europe): “La definizione dei primi obiettivi di riduzione dello spreco alimentare a livello europeo conferma l’impegno politico ad affrontare l’impatto ambientale e sociale dello spreco alimentare. Tuttavia, il risultato è in contrasto con i precedenti impegni del Parlamento europeo di ridurre del 50% i rifiuti alimentari dall’azienda agricola alla tavola, un impegno espresso nel Green Deal dell’UE e negli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”.
Secondo Fynn Hauschke, Policy Officer for Circular Economy & Waste di dello European Environmental Bureau (EEB), “il Parlamento ha riconosciuto la necessità di un’azione più ambiziosa in materia di sprechi alimentari, ma gli obiettivi concordati non sono in grado di affrontare la portata della sfida e di rispettare gli impegni internazionali. Allo stesso tempo, il Parlamento non ha affrontato in modo significativo le perdite e gli sprechi alimentari nella produzione primaria. L’accordo è un’occasione mancata per ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la sicurezza alimentare e la biodiversità”.
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Produttori a copertura dei costi di raccolta, cernita e riciclaggio dei rifiuti tessili
I deputati hanno concordato con la proposta della Commissione di estendere i regimi di responsabilità estesa del produttore (EPR – Extended Producer Responsibility) ai prodotti tessili. In questo modo i “produttori” (cioè, secondo la normativa, tutti coloro che vendono, anche online, prodotti tessili nell’UE) dovrebbero coprire i costi di raccolta differenziata, cernita e riciclo dei rifiuti che derivano da prodotti quali abbigliamento e accessori, coperte, biancheria da letto, tende, cappelli, calzature, materassi e tappeti, compresi i prodotti che contengono materiali tessili quali cuoio, cuoio, gomma o plastica. Gli Stati membri dovrebbero istituire tali regimi 18 mesi dopo l’entrata in vigore della direttiva (rispetto ai 30 mesi proposti dalla Commissione).
Secondo Emily Macintosh, Senior Policy Officer per i tessili di EEB, “il Parlamento ha votato per valutare la possibilità di fissare obiettivi di riduzione dei rifiuti tessili per il 2032 entro il 2025. Sebbene si tratti di un miglioramento significativo rispetto alla proposta della Commissione, è ancora troppo vago e fa perdere troppo tempo. Gli eurodeputati hanno anche riconosciuto l’impatto della spedizione di prodotti tessili usati in paesi terzi, ma non sono riusciti a definire un vero quadro di responsabilità globale per garantire che il sostegno finanziario raggiunga i paesi che sopportano il peso dell’eccessivo consumo di prodotti tessili in Europa.”
“Sì, siamo tutti favorevoli a periodi di recepimento più brevi, ma una carenza fondamentale rimane la totale assenza di obiettivi per la gestione e la prevenzione dei rifiuti tessili – commenta Theresa Mörsen, ZWE – Sappiamo per esperienza che senza obiettivi, gli schemi EPR diventano poco più che tasse che i giganti dell’abbigliamento sono più che disposti a pagare per inquinare. Il ritardo nella definizione degli obiettivi significa che i produttori saranno poco o per nulla incentivati a investire in infrastrutture per il riutilizzo e il riciclaggio. L’impegno del Parlamento dell’anno scorso a prevenire i rifiuti sembra essere una promessa vuota”.
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