mercoledì, Novembre 5, 2025

Raccontare il Mediterraneo, sentinella del clima che cambia

"Tropico Mediterraneo" è l'ultimo libro del giornalista Stefano Liberti. Che ora diventa un monologo multimediale che girerà teatri e festival parlando del clima si sta tropicalizzando, attraverso casi concreti. "Siamo un Paese circondato dal mare ma nei documenti del governo un approccio estrattivista"

Alessandro Coltré
Alessandro Coltré
Giornalista pubblicista, si occupa principalmente di questioni ambientali in Italia, negli ultimi anni ha approfondito le emergenze del Lazio, come la situazione romana della gestione rifiuti e la bonifica della Valle del Sacco. Dal 2019 coordina lo Scaffale ambientalista, una biblioteca e centro di documentazione con base a Colleferro, in provincia di Roma. Nell'area metropolitana della Capitale, Alessandro ha lavorato a diversi progetti culturali che hanno avuto al centro la rivalutazione e la riconsiderazione dei piccoli Comuni e dei territori considerati di solito ai margini delle grandi città.

Il pesce coniglio, conosciuto anche sigano o siganus luridus, è un brucatore vorace. I fondali marini lo temono, conosce pochi antagonisti e passa il tempo a divorare alghe. Originario del Mar Rosso e dell’Oceano Pacifico, il pesce coniglio è una specie aliena arrivata nel bacino mediterraneo attraverso il canale di Suez.

Per questo è uno dei protagonisti di Tropico Mediterraneo (Laterza 2024), l’ultimo libro di Stefano Liberti, giornalista e scrittore che ha deciso di raccontare la crisi climatica avvicinandosi alle rive di un mare sempre più caldo.

Le pagine del libro sono diventate anche un monologo multimediale che girerà teatri e festival parlando di Cipro, Gibilterra, del Delta del Po e di tante altre zone del Mediterraneo dove il clima si sta tropicalizzando.

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Del resto lo diciamo sempre, il Mediterraneo è un hotspot climatico, un’area geografica del mondo dove il riscaldamento globale si verifica più rapidamente rispetto ad altre zone, ma con difficoltà riusciamo a cogliere le conseguenze di questa condizione. Cosa sta accadendo al Mediterraneo?

Questo ritornello dell’hotspot climatico a volte rischia di allontanarci dalle condizioni materiali di chi il mare lo vive da generazioni. Il Mediterraneo è una specie di caso unico al mondo, è un mare chiuso che vive grazie allo stretto di Gibilterra, quella fessura che consente l’arrivo di acqua dall’Oceano Atlantico in un mare che ha poco apporto idrico. Insieme al fotografo e collega Francesco Bellina abbiamo attraversato il bacino del Mediterraneo con le persone che vivono da sempre questo mare, e che vivono grazie al mare.

Infatti leggendo il libro riusciamo a capire i cambiamenti del Mediterraneo con le storie dei pescatori, con le loro reti che da diversi anni restituiscono sempre meno pesce, ma soprattutto incontrano sempre più specie aliene. Grazie alla voce di diversi biologici marini e anche di subacquei e di attivisti, le pagine di Tropico Mediterraneo spiegano bene cosa sono questi organismi arrivati in un mare sempre più caldo a causa delle attività umane. Abbiamo citato il pesce coniglio, ma ovviamente c’è anche il granchio blu e poi tantissime piante, molte non sono invasive, altre invece stanno allontanando le specie autoctone e stanno mettendo a rischio le reti dei pescatori. Nel libro descrivi una delle principali porte d’ingresso delle specie aliene.

Sì, il canale di Suez. Molte arrivano da questa infrastruttura costruita nel 1869 con l’obiettivo di mettere in relazione il Mar Rosso e il Mar Mediterraneo per sviluppare le rotte commerciali. Prima di questo canale artificiale le navi dovevano circumnavigare il Capo di Buona Speranza e tutta l’Africa impiegando molto più tempo. Oggi il canale di Suez rappresenta il principale punto d’ingresso per numerose specie aliene che si stanno insediando nel Mediterraneo. Questo fenomeno è legato anche al cambiamento delle condizioni ambientali del mare, che è diventato più caldo e quindi più ospitale per queste specie esotiche. Tuttavia c’è stato anche un evento rilevante tra il 2014 e il 2015: il canale è stato ampliato e raddoppiato, trasformandosi sostanzialmente rispetto alla sua configurazione originaria mantenuta per circa 150 anni.

granchio blu mediterraneo

Cos’è accaduto con questo ampliamento?

Prima c’era una sorta di barriera naturale, in sostanza degli slarghi dove c’era un tasso di salinità molto elevato. I pesci non lo attraversavano perché c’era troppo sale. Ma con il nuovo scavo e con l’espansione della struttura, questa barriera salina si è indebolita. Di conseguenza si è registrato un netto aumento nell’arrivo e nell’insediamento di specie aliene, specialmente nella parte orientale del Mediterraneo, ma ormai anche nelle aree centrali. In sostanza si è scelto di dare priorità alle esigenze del commercio globale, alla necessità di aumentare il volume e la velocità degli scambi commerciali, piuttosto che alla tutela dell’ambiente o alla valutazione dell’impatto ecologico che certe decisioni infrastrutturali avrebbero potuto comportare.

Quando il canale di Suez fu inaugurato, lo attraversavano 460 navi all’anno, oggi siamo arrivati a 20.000, ed è un aumento che rappresenta un cambiamento di scala davvero notevole. Questo dato riflette chiaramente la globalizzazione dei traffici commerciali, ma porta con sé conseguenze significative anche sul piano della conservazione e dell’equilibrio degli ecosistemi marini. Le specie aliene sono delle sentinelle climatiche. Il loro arrivo nel Mediterraneo è uno dei segnali più evidenti dei profondi mutamenti che stanno interessando questo mare.

I segni di questi mutamenti si vedono sulle Isole Kerkennah sulla costa tunisina. Nel libro racconti la storia delle comunità delle isole Kerkennah, delle tante persone che hanno vissuto di pesca tramandando tecniche antiche, metodi di pesca millenari. Parliamo di un arcipelago con delle acque ricchissime di pesce. Ma cinque anni fa arriva il granchio blu. Tra l’altro lì lo chiamano Daesh, come l’Isis, perché sono una minaccia, è capace di fare razzia e di distruggere tutto. Cosa sta accadendo sulle coste tunisine?

Le isole Kerkennah sono uno di quei luoghi dove la crisi climatica non è un’astrazione, è qualcosa di materiale, concreto, sta nelle reti dei pescatori, è un argomento di discussione in famiglia e sta decidendo il futuro di un’intera generazione. Per capire gli effetti del clima che cambia bisogna conoscere questo arcipelago nel sud della Tunisia. Sono delle isole molto basse, il loro punto più alto raggiunge appena i 12 metri sopra il livello del mare. Questo le rende particolarmente vulnerabili all’innalzamento delle acque e oggi stanno progressivamente sprofondando nel Mediterraneo, un po’ come accade agli atolli del Pacifico.

Per secoli queste isole sono state un paradiso per la pesca: le acque erano tra le più pescose dell’intero bacino mediterraneo, fondamentali per la riproduzione di molte specie marine. Ma da qualche anno i pescatori non trovano i branzini o i calamari, ma nelle reti trovano il granchio blu, una specie che arriva dall’Oceano Indiano attraverso il canale di Suez. L’arrivo del granchio blu ha messo in crisi l’intero ecosistema, ha desertificato i fondali mandando in crisi un’economia. Molti pescatori non riescono più a sopravvivere con la pesca tradizionale e, in assenza di alternative, hanno iniziato a vendere le loro barche agli scafisti, a chi organizza le traversate verso l’Europa. Così, da luogo riconosciuto da sempre come uno spazio di possibilità grazie alla pesca, Kerkennah è diventato un punto di partenza per la migrazione verso l’Italia.

Parliamo un attimo dell’Italia. Qual è l’approccio della politica al Mediterraneo? La storia che raccontavi sulle isole Kerkennah non è molto conosciuta, la consideriamo distante, eppure dovrebbe far parte di un dibattito pubblico sulla crisi climatica, sulle migrazioni ambientali e su come affrontiamo mutamenti che riguardano anche le nostre coste. Come si avvicina la politica italiana al mare?

Siamo un Paese circondato dal mare, siamo una penisola e soltanto ora, per la prima volta della storia repubblicana, abbiamo un Ministero delle politiche del mare, con a capo Nello Musumeci. Ed è significativo leggere il documento di indirizzo di gestione delle risorse legate al mare. In questo documento di 250 pagine c’è una precisa scelta politica, ossia mantenere un modello estrattivista. La quasi totalità del documento parla di come trovare e sfruttare idrocarburi, pesca ed energia. Sono pochissime le pagine dedicate alla tutela della biodiversità, alla rigenerazione e alla ricerca di strumenti in grado di affrontare un mare sempre più caldo.

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Di questo si parla poco. Anche perché il racconto dominante sul Mediterraneo è quello di un mare frontiera. Forse anche per questo motivo non conosciamo le storie di vita di chi parte dalle Isole Kerkennah. Forse conosciamo in generale poco di quello che accade vicino ai porti.

Sono periferia di uno spazio. Se abbiamo smesso di percepire una dimensione mediterranea è anche perché i porti sono dei luoghi poco accessibili, molti sono privati, a volte militarizzati. Ci sono delle grandi città portuali che è come se si dimenticassero di avere il mare. L’accesso al mare è precluso agli abitanti. Questo è un problema serio, perché quando si cerca di raccontare che il mare sta attraversando una crisi profonda, che è in corso una trasformazione radicale dell’ecosistema, spesso queste parole non suscitano alcuna reazione. E in questa situazione, oltre ai grafici sull’innalzamento delle temperature, è importante diffondere le storie di vita modificate da un mare che si sta tropicalizzando. Jamila Ben Suissi, ricercatrice tunisina e membro della Commissione internazionale per l’esplorazione scientifica del Mediterraneo, ripete spesso una frase che dovrebbe essere utilizzata in ogni dibattito pubblico: il cambiamento climatico è un acceleratore di altre crisi.

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