[di Samuele Abbate]
Un progetto per ridare vita all’acqua, sfruttandone le impurità…ecco il progetto del Gruppo CAP
Sinossi
Lavare i piatti, tirare lo sciacquone, pulirei denti…necessitano di acqua pulita, ma ne restituiscono di sporca. La domanda che mi sporge spontanea è: che giro compie quest’acqua turpe? Dove finisce? Di tale problema si occupa Gruppo CAP da qualche anno a questa parte. Attraverso sistemi fognari, le acque giungono ai depuratori dove vengono inizialmente filtrate per eliminare residui più grossolani. Dopodiché, con l’aiuto di particolari batteri, vengono ripulite dalle più piccole impurità (oli, grassi, sabbia, terra), grazie alla creazione di gruppi di fanghi facilmente separabili dall’acqua stessa. A questo punto è completamente ripulita, limpida come la si osserva aprendo il rubinetto di casa, e pronta per essere immersa nuovamente nell’ambiente. Ma tutti quegli scarti che fine fanno? Qui entra in gioco il “non si butta niente”. Infatti se i fanghi venissero rigettati nell’ambiente non si sarebbe pulito nulla, ma semplicemente depurato qualcosa per sporcarne un’altra. Perciò i fanghi vengono trattati chimicamente e trasformati in biometano, cioè in nuova fonte di energia. E visto che il processo di depurazione richiede tanta energia, quale modo migliore per creare un’economia circolare se non producendo energia stessa dai prodotti di scarto? E’ la base di tale economia, valorizzare gli avanzi per farli diventare sorgenti a loro volta.
Proviamo per un attimo a pensare a quanti rifiuti produciamo ogni giorno; a quanti di questi finiscono nelle acque di scolo che produciamo, e da lì in poi non sappiamo più nulla su dove finiranno.
Pensiamo se tutti questi rifiuti chimici presenti nelle acque fognarie dovessero finire nell’ambiente. Quanta sporcizia sarebbe presente in giro? Una quantità talmente grande, difficilmente immaginabile.
Dall’esigenza di non vivere in un mondo sporco nasce una soluzione innovativa portata avanti dal Gruppo CAP.
Il problema dei rifiuti nel pianeta è un tema molto attuale a causa della gravità verso cui sta precipitando. L’inquinamento è sempre maggiore, ma non riguarda la sola e tanto citata plastica, bensì è un problema più ampio. Naturalmente l’impatto mediatico portato avanti dall’acqua sporca è inferiore, in quanto non visibile ad occhio nudo quanto quello di rifiuti solidi, ma le conseguenze a cui può portare sono addirittura più catastrofiche.
Grassi, oli e altri scarti chimici se non opportunamente smaltiti possono creare gravi problemi. Basti pensare ad una fogna che dovesse sgorgare in mare aperto; ecco, l’effetto sarebbe pressoché lo stesso.
Nasce quindi il progetto “non si butta niente” che non smaltisce semplicemente i fanghi derivanti dalla depurazione dell’acqua, ma li riutilizza trasformandoli in nuove sorgenti.
Ripercorriamo insieme il tragitto che compie l’acqua per arrivare a tale risultato.
Una volta utilizzata entra nelle fognature, dove viene indirizzata verso gli appositi depuratori.
A questo punto passa attraverso una prima griglia che la filtra da rifiuti di grandezza maggiore. Dopo una prima scrematura passa attraversa un secondo filtro (di pochi mm) in cui viene separata dalle più piccole impurità. (Da varie indagini è emerso che gli elementi più frequentemente riscontrati siano cotton fioc e mozziconi di sigaretta. Per questo motivo è suggerito non buttarli nello sciacquone).
Tornando al percorso di depurazione, a questo punto l’acqua appare pulita, ma in realtà è ancora zeppa di inquinanti vari, invisibili ad occhio nudo, quali terriccio ed oli.
I granelli di sabbia a causa del loro peso specifico maggiore precipitano sul fondo per poi essere asportati, mentre per eliminare oli e grassi è necessario un procedimento più complesso.
Per fare ciò vengono sfruttati alcuni batteri già presenti all’interno dell’acqua, i quali se “nutriti” energeticamente, inglobano in sé i vari oli e grassi presenti nell’acqua. Aumentando di dimensione creano particolari “fiocchi di fango” i quali precipitano sul fondo potendo essere rimossi dall’acqua stessa. Ora l’acqua è tornata limpida.
Ciò rappresenta solo la parte di depurazione. A questo punto interviene il progetto “non si butta nulla”, cioè la parte di economia circolare presente in questa catena di lavoro.
Infatti da tale processo vengono creati molto scarti, i quali se opportunamente utilizzati potrebbero rappresentare una valida fonte riutilizzabile. Perciò il terriccio recuperato, a seguito di un lavoro di compostaggio, può essere riutilizzato in campo agricolo come fertilizzando.
I fanghi invece, dopo un trattamento per via anerobica vengono trasformati in biometano, il quale può essere utilizzato come fonte di energia. Non riesce a coprire l’intera quantità di energia necessaria per la depurazione, ma senz’altro ne diminuisce la quantità necessaria.
In questo modo non risulta un processo auto-sostenutile al 100%, in quanto la quantità di energia potenzialmente producibile è ancora inferiore a quella necessaria per la depurazione, ma è un modo per diminuire l’impatto ambientale, ed in un futuro diventare totalmente auto-sostenibile.
Inoltre il biometano prodotto ha un costo di produzione inferiore rispetto a quello con cui viene oggi venduto sul mercato (0,58euro/kg contro 0,9euro/kg). Quindi rappresenta anche una possibilità di guadagno oltre che di preserva ambientale.
Tutto ciò non è puramente teorico, infatti nel 2019 è stata inaugurata una Fiat Panda Natural Power che viaggerà solamente grazie al biometano prodotto dai depuratori del Gruppo CAP, per provare che effettivamente tutto ciò è realizzabile. Per giunta il biometano produce emissioni inferiori del 97% rispetto alla benzina, andando a minimizzare ulteriormente l’impatto ambientale.