Perché diventare proprietari di una fotocopiatrice, un’auto, un sistema di illuminazione se si può fruire di questi beni e dei servizi connessi, come manutenzione e aggiornamento, senza doverli acquistare? Sono tante le aziende che affiancano alla produzione e vendita di beni quella di servizi legati al prodotto stesso e questo processo si definisce, con una parola derivata dalla definizione inglese “servitizzazione”.
Cosa c’è di nuovo in tutto questo? Poco, se si pensa che già nei primi anni ‘60 Rolls Royce ha aperto la strada ai contratti di servizio nel settore aeronautico e commerciale con il programma Powered by the Hours, basato sulle ore di utilizzo e non più sulla vendita degli aeromobili.
C’è tanto di nuovo, invece, se immaginiamo che il modello product as service, vale a dire il servizio venduto congiuntamente al prodotto con una formula che spesso viene definita “senza pensieri”, possa far breccia nel mercato rivolto direttamente al consumatore finale, il cosiddetto business to consumer (B2C), dopo aver ormai convinto il business to business (il commercio tra aziende, B2B).
La domanda che allora si pongono sempre più addetti ai lavori è la seguente: cosa accadrebbe se la servitizzazione cominciasse a riguardare anche la lavatrice di casa nostra?
Le modalità
Nell’ultimo decennio (si, sono passati già 12 e 8 anni dall’entrata in scena in Italia rispettivamente di Airbnb e BlaBlaCar), nel tentativo di ridurre gli impatti ambientali delle nostre piccole e grandi scelte di consumo e allo stesso tempo, dove possibile, tagliarne i costi, ci siamo resi protagonisti di tante decisioni a loro modo rivoluzionarie: in particolare, attraverso i modelli di sharing, abbiamo spesso rinunciato al possesso di un prodotto, a favore del solo accesso al bene. Anche i modelli di servitizzazione vanno in questa direzione. Come funzionano? Il produttore mantiene la proprietà del bene che viene utilizzato dal cliente, il quale ne è l’utilizzatore unico (almeno nell’ambito di uno stesso ciclo di vita) in cambio di un corrispettivo mensile per usufruire di un servizio. La domanda da cui siamo partiti diventa allora: cosa accade se non compriamo più la lavatrice ma ogni mese paghiamo in base ai lavaggi che facciamo?
I benefici
Tra gli ultimi che hanno provato a rispondere ci sono i ricercatori dell’Università di Linkopin. Già nel 2012 un report della Fondazione Ellen MacArthur presentava i vantaggi ambientali dell’adozione del modello product as service per le lavatrici domestiche: la ricerca sottolineava come, favorendo la diffusione di apparecchiature più performanti (più costose dei modelli standard, ma accessibili per un maggior numero di consumatori grazie al pagamento del canone mensile), la servitizzazione avrebbe portato a una diminuzione significativa sia dei consumi di energia sia dell’uso di materiali. È stato calcolato che in vent’anni la sostituzione di 5 lavatrici di fascia bassa con 5 lavatrici di alta qualità – in grado di sopravvivere a 10mila cicli di lavaggio a fronte di soli 2mila – può generare un risparmio paria a 2,5 tonnellate di CO2 equivalente (nella fase di uso del prodotto) e 180 kg di acciaio (nella fase di produzione del prodotto). I ricercatori svedesi confermano i benefici ambientali e non solo: sottolineano anche come i vantaggi di questo modello di business rispetto a tradizionali scelte lineari siano anche di carattere economico e sociale. Da una parte, si aspettano che i consumatori a basso reddito, potendo usufruire di apparecchiature più performanti, siano messi nelle condizioni di risparmiare sulla bolletta elettrica; dall’altra, spiegano, l’intera società potrebbe trarre vantaggio dal miglioramento delle prospettive occupazionali, attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore riparazione e rigenerazione.
Lunga vita all’elettrodomestico
La chiave di lettura per capire al meglio i vantaggi legati alla servitizzazione è forse proprio questa: il valore del prodotto sta nella funzione che svolge (lavare bene gli abiti, nel nostro caso) e più a lungo riesce a svolgerla, più il venditore del prodotto-servizio guadagna. È dunque interesse del produttore assicurarsi che il prodotto resti a lungo in vita e in buona salute, cioè funzionante. Altro che obsolescenza programmata, dunque: la parola d’ordine sarà longevità, cioè accuratezza nelle scelte di design (pensiamo alla possibilità di pensare prodotti modulari per sostituirne le parti) e qualità dei materiali.
Servizi in quantità
Ma quali sono i servizi connessi a una banale lavatrice? Difficile mettere freni alla fantasia di chi deve venderci qualcosa: chi oggi sceglie di pagare un abbonamento mensile per un servizio pay for light (paga per la luce) non riceve solo un set di lampadine garantite per un numero considerevole di anni, ma anche una completa consulenza illuminotecnica, un piano di efficientamento energetico e un servizio di smaltimento dei rifiuti. Allo stesso modo, scegliendo di sottoscrivere un abbonamento washing as service (servizio di lavaggio) probabilmente ci sentiremo proporre una fornitura di ammorbidente annuale e ci dovremo abituare ad aprire regolarmente la porta di casa nostra al tecnico incaricato della manutenzione della macchina. Tutti (o molti) i servizi associati al prodotto contribuiranno al miglioramento della qualità del prodotto stesso. E se da una parte è vero che il momento della sostituzione di un elettrodomestico rappresenta spesso anche un’opportunità preziosa per scegliere un nuovo prodotto che ci consenta di beneficiare degli ultimi sviluppi tecnologici in termini di efficienza energetica; dall’altra, è certo anche che l’adozione di un modello pay for service garantisce la prevenzione della generazione dei rifiuti e, proprio attraverso i servizi, assicura un miglioramento continuo delle prestazioni dell’apparecchio che abbiamo installato ormai da tempo installato in casa.
Ma cosa succede una volta arrivati all’irreparabile? Il produttore mantiene il controllo sull’intera vita del prodotto, dalla nascita fino al fine vita. Questo significa che, considerando gli obblighi contrattuali di restituzione dei prodotti al fornitore dopo l’uso, il tasso di ritorno (il rapporto tra rapporto tra le tonnellate raccolte dai sistemi formali di gestione dei rifiuti e quelle dei prodotti immessi sul mercato) dei cosiddetti grandi bianchi, che ad oggi in Italia si attesta intorno al 30%, può crescere in maniera significativa (evitando scorte di prodotti obsoleti nelle famiglie o lo smaltimento illegale). Insieme alle disponibilità di prodotti (o componenti) di seconda mano di alta qualità.
I rischi
Poco di quello raccontato finora però, potrebbe essere davvero possibile, o almeno così tanto promettente, senza il contributo di nuove tecnologiche: innovazioni social, big data analytics, cloud, machine to machine (ne sono un esempio le connessioni wireless tra diverse apparecchiature) sono i tasselli costitutivi di questo processo di progressiva dematerializzazione del mondo industriale. Secondo lo studio “Circular Advantage” condotto da Accenture nel 2014 (qui in Pdf), l’operatività del modello di business products as service è garantita dalle tecnologie digitali, che stabiliscono scambi di informazione in tempo reale con e tra utenti, tra gli utenti e le macchine e tra le macchine e i sistemi di gestione: un ruolo fondamentale per disegnare servizi in linea con le esigenze (mutevoli) dei consumatori e per stabilire relazioni consumatori-produttori (o meglio consumatori-meccanismi di intermediazione finanziaria-produttore) durevoli.
Questo significa che non si può abbassare la guardia sui temi della corretta gestione dei dati personali generati attraverso l’uso delle apparecchiature domestiche, che dicono certamente molto a chi sa leggerli su quello che facciamo e siamo. Allo stesso modo, bisogna chiedersi quanti e quali siano i materiali utilizzati per lo sviluppo di queste tecnologie e per la loro integrazione in apparecchiature fino a pochi anni fa estremamente semplici; e poi, i processi e le tecnologie di riciclo così come li conosciamo oggi, saranno in grado di recuperare i materiali di valore presenti nelle apparecchiature che dovremo gestire tra un po’ di anni? O prodotti sempre più complessi contribuiranno ad alimentare una miniera urbana inaccessibile?
Le prospettive
Vi è già venuta già voglia di cambiare lavatrice? Nonostante, i numeri riportati da uno studio del 2016 dal Dipartimento Economico del gruppo bancario Ing ci dicono che le realtà industriali europee fanno sempre più affidamento per la generazione di reddito sui servizi relativi a un prodotto, mentre solo il 56% delle loro entrate è legato alle attività produttive, sono ancora pochi gli esempi di prodotti di uso quotidiano che sono stati servitizzati. Uno dei primi esperimenti in questo senso si chiama Bundles e viene dall’Olanda: pagando una rata che varia a seconda dei lavaggi mensili (il cui costo va sommato a quello di un fisso), si può ricevere a casa una lavatrice Miele di alta qualità (la scelta può ricadere tra due tipologie diverse di lavatrice) connessa ad internet, servizi di riparazione a domicilio, informazioni relative al proprio trend di utilizzo via WhatsApp e consigli per migliorare le performance del prodotto. Bundles entra nelle case degli olandesi mettendo a disposizione anche asciugatrici, lavastoviglie e macchinette del caffè. Anche Homie è una realtà olandese. Si tratta di uno spin-off dell’università TU Delf. Il modello di business è analogo a quello di Bunlers, ma in questo caso tutta l’attenzione è posta alla minimizzazione degli impatti ambientali legati all’uso degli elettrodomestici stimolando abitudini di consumo sostenibile. Come? Il prezzo del servizio varia a seconda del consumo di energia ad esso associato e, dato che nel caso delle lavatrici questo è tanto più elevato quanto più è alta la temperatura del programma di lavaggio, i lavaggi a bassa temperatura costano meno (0,75€ per un lavaggio a 20° a fronte di 2,50€ per uno a 90°). È previsto addirittura uno sconto per chi imposta il programma eco.
E Italia? Dobbiamo probabilmente aspettare ancora un po’, ma è difficile che questo tipo di modello tardi ancora molto a farsi strada. Fidelizzazione del cliente, controllo sull’uso delle risorse, flessibilità dei servizi a disposizione del consumatore, risparmio economico ed energetico, manutenzione continua delle apparecchiature domestiche. I vantaggi sono evidenti anche in mancanza di alcune condizioni favorevoli. Come sottolineato su GreenBiz da Ken Webster, direttore dell’Innovazione della Fondazione Ellen MacArthur, e dal professore
Tomohiko Sakao, coautore dello studio dell’Università di Linkopin ed esperto di ecodesign e modelli teorici per l’implementazione di sistemi product as service: “La direzione verso la quale stiamo andando è chiara, anche in assenza di fattori abilitanti come l’individuazione di un prezzo per le apparecchiature che sia reale, pieno, che includa cioè anche il costo delle emissioni di CO2 legate al prodotto. Se immaginiamo che tali condizioni favorevoli fossero già in atto, l’economia circolare diventerebbe il modello di business standard per questo tipo di prodotti”.
L’ultima spinta può forse arrivare quindi dal legislatore che potrà rendere il product as a service alla portata di tutti introducendo meccanismi incentivanti e promuovendo il passaggio da una produzione legata ai volumi a una più attenta alle performance.
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