Le auto elettriche sono considerate una svolta importante per decarbonizzare il settore dei trasporti e ridurre le emissioni di CO2 sul lungo termine, ma non si può fare a meno di considerare il tema delle batterie, l’elemento centrale e più problematico di un’auto elettrica, dal punto di vista dell’economia circolare. Oggi la ricerca per un’effettiva circolarità delle batterie è ancora in corso, perché si tratta di spesso di processi sperimentali e su cui l’Ue si è mossa soltanto negli ultimi anni.
Quand’è, infatti, che la produzione e l’uso di una batteria soddisfano i criteri dell’economia circolare? Per rispondere a questa domanda bisogna prendere in considerazione i diversi aspetti del processo produttivo e dell’utilizzo, dal reperimento dei materiali al fine vita della batteria.
Gli esperti stanno ancora studiando e definendo la carbon footprint e cioè l’impronta di carbonio calcolata per l’intero ciclo di vita della batteria di una macchina elettrica. Ad esempio uno studio svedese sulle batterie al litio ha valutato un range di 61-106 kg CO2 per kWh di capacità prodotta, la metà rispetto a due anni prima, prendendo però in considerazione quelle industrie che già producevano a monte senza l’utilizzo di combustibili fossili.
Il problema dell’estrazione dei materiali per le batterie
Uno dei punti più critici nel processo produttivo di batterie di auto elettriche è il reperimento di materiali. Si parla ad esempio di litio, manganese, cobalto e nichel, materie prime la cui estrazione solleva importanti quesiti etici e ambientali.
Da un lato i grandi processi estrattivi sono spesso legati a violazioni dei diritti umani e a forti impatti sulle comunità che vivono nelle aree vicine alle riserve. Un esempio è ciò che sta accadendo in Nevada, negli Stati Uniti, attorno alle riserve di litio. Qui la Lithium Americas Corporation si sta preparando ad estrarre ingenti quantità di litio con il rischio di contaminare l’acqua del territorio con metalli pesanti e contemporaneamente sottrarla alle comunità, oltre che di creare uno scarto contenente elementi radioattivi.
O ancora in Cile, dove c’è il 30% delle riserve mondiali di litio, i processi estrattivi delle grandi multinazionali hanno già avuto un impatto: la SQM, una delle più grandi compagnie del paese operante in questo settore, ha superato il limite fissato per le sue attività estrattive nel deserto di Atacama. Questo ha portato a danni per l’ecosistema e a nuove proteste da parte delle comunità, dal momento che la SQM ha annunciato che triplicherà l’estrazione di litio nei prossimi dieci anni.
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CO2, questione non solo di tubi di scappamento
Dall’altro, la ricerca scientifica non è ancora giunta ad un punto definitivo sull’effettiva sostenibilità ambientale di questo processo in termini di emissioni di CO2. Lo studio “Per una transizione energetica eco-razionale della mobilità automobilistica”, stilato da ENEA, CNR e Fondazione Filippo Caracciolo nel 2019, riporta che “Uno degli aspetti più controversi e dibattuti sulla comparazione tra BEV (Battery Electric Vehicle) ed ICEV (veicoli a motore con combustione interna) in termini di LCA riguarda la frazione di emissione di CO2 per la produzione del veicolo […] Si evince che circa il 45% della CO2 emessa sul ciclo di vita dei BEV è emessa durante la fase di produzione. Nel caso degli ICEV invece, tale frazione scende in media a circa il 18,5%.”
Queste maggiori emissioni vengono però compensate nella fase d’uso del veicolo elettrico, portando quindi ad un “pareggio sulle emissioni di CO2 su ciclo vita tra propulsore elettrico ed uno a benzina Euro 5”, sempre secondo lo studio sopracitato.
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Batterie delle auto ed economia circolare: il riuso
Un altro punto che determina la circolarità delle batterie riguarda il loro fine vita. Avere una filiera in grado di rimettere in circolo le batterie è infatti un tassello fondamentale per far sì che l’elettrificazione del settore automobilistico possa dirsi davvero circolare e quindi pienamente sostenibile. In questo campo la ricerca sta muovendo adesso i suoi primi passi.
La sfida quindi è capire quanto siamo in grado di recuperare e riciclare i materiali che compongono le batterie e far sì che non diventino altro rifiuto da smaltire.
In questo senso ci sono già delle sperimentazioni volte principalmente al riutilizzo. Ad esempio, le batterie prima ancora di venire riciclate possono essere utilizzate per altri scopi: quelle dismesse della Nissan Leaf fanno ora parte dell’illuminazione dell’Amsterdam arena e molte case automobilistiche (BMW, Nissan, Renault) hanno proposto di usare le batterie per l’energy storage, cioè un riutilizzo come stoccaggio della rete elettrica, cosa che allungherebbe la vita della batteria di altri dieci anni dando stabilità alla sempre maggiore produzione di energia rinnovabile.
Nel 2018, inoltre, ENEA ha elaborato un rapporto per il MiSe nel quale sulla base della valutazione delle batterie già presenti nel parco auto italiano nel periodo 2010-2030, ipotizza tre scenari. Il più probabile prevede che entro il 2027 avremo 4.000 tonnellate all’anno di batterie da riciclare e la capacità economica per farlo, anche se questo rappresenta una sfida perché “il problema sarà costituito quanto meno dalla necessità per il nostro paese di dotarsi un sistema di raccolta, con tutte le difficoltà tecniche connesse ed i costi di gestione ad esso legati”, spiega il report. Lo stesso report, però, sottolinea il valore di positivo di questa sfida: “L’opportunità sarà invece rappresentata dalla possibilità di creare in Italia un sistema di raccolta e riciclo delle batterie a fine vita.”
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Batterie delle auto ed economia circolare: il riciclo
Il riciclo delle batterie rimane dunque un nodo fondamentale, su cui per il momento esistono più che altro studi e ipotesi, ma non dati certi. Al momento, infatti, il volume di batterie giunte a fine vita in Europa è molto basso e per questo il problema è stato delegato a paesi terzi (ad esempio la Cina) interessati e già attrezzati per il trattamento di questi materiali.
A livello globale, alcuni dati ci dicono che le batterie al litio – che sono quelle su cui punta il settore automobilistico – oggi sono riciclate ad un tasso minore del 5%. Mentre c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno: afferma che almeno un centinaio di aziende nel mondo si siano attrezzate, la maggior parte delle quali in Cina e in Sud Corea, raggiungendo un tasso del 50% di riciclo delle batterie a fine vita.
Insomma, in molti si stanno muovendo e anche l’Unione Europea sta investendo in ricerca e innovazione sul campo. In Italia, ad esempio, ENEA e la Fondazione Bruno Kessler costituiscono centri di ricerca sul tema batterie all’interno di un Ipcei (un progetto comune europeo). ENEA, inoltre, è coinvolta da anni in progetti internazionali che riguardano il tema: ha ad esempio un tavolo di lavoro all’interno di “Batteries Europe”, una piattaforma tecnologica e di innovazione grazie alla quale più attori europei stanno implementando la sperimentazione sul campo.
Secondo ENEA, “le ragioni per cui il riciclo delle LIBs (batterie agli ioni di litio ndr) non è ancora una pratica universalmente consolidata includono vincoli tecnici, barriere economiche, problemi logistici e lacune normative”, come riportato nello studio “Le batterie al litio: catena del valore e chiusura del ciclo”. Ad esempio, non esiste ancora un sistema di etichettatura di queste batterie e mancano “sistemi integrati basati su un approccio olistico che veda come step fondamentale la progettazione e produzione secondo i criteri del design for disassembly, reuse and recycling e dell’eco-design.”
La creazione di un sistema virtuoso
Ogni anno vengono immesse sul mercato europeo circa 800.000 tonnellate di batterie al litio per auto e 1 milione totali. Nel 2030 potremmo arrivare a 7.300.000 tonnellate annuali, secondo alcune stime. L’integrazione dei principi di circolarità e un approccio olistico devono far parte di questo processo in crescita, per far sì che la sfida delle auto elettriche si trasformi in un’opportunità reale e non in un ulteriore problema.
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