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lunedì, Maggio 13, 2024

Agromining, il segreto per estrarre le terre rare dai vecchi dispositivi tecnologici

L’attuale tasso di riciclo delle terre rare è minore dell’1% e le tecniche di estrazione hanno costi ambientali e sociali elevatissimi. Ma l'alternativa c'è, e ha a che fare con i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, più noti come Raee

Lucia Guarano
Lucia Guarano
Giornalista e autrice, ha firmato per Round Robin editrice il romanzo-inchiesta: “La Guerra è finita”, candidato al premio Strega 2016. Ha collaborato con numerose testate internazionali (Al Jazeera English, Al Arabiya, The National, T- Qatar - The New York Times Style Magazine e Qatar Tribune) e nazionali (Giornalettismo, Huffington Post, Apcom). Ha tradotto dall’inglese il graphic novel “La Lucha” (Ed. Verso Books). Nel 2020 ha firmato, “Ilaria Alpi. Armi e veleni, le verità interrotte”, inchiesta a fumetti uscita in edicola, in allegato al Fatto Quotidiano.

Garantire supply chains, cioè catene di approvvigionamento, stabili e accessibili delle cosiddette “terre rare” diventerà il fulcro delle politiche energetiche del futuro. Questi elementi sono infatti destinati a giocare un ruolo sempre più strategico nella transizione energetica e digitale.

Il futuro, quello sostenibile, è infatti legato a doppio filo proprio ai “Rare Earth Elements” (REE), ormai divenuti componenti essenziali per l’assistenza sanitaria, l’energia pulita e le tecnologie di comunicazione.

In pochissimi ne conoscono i nomi, eppure tutti li maneggiamo continuamente. Sono infatti all’interno degli smartphone, nei touchscreen, nelle lampade, oltre che negli hard disk dei nostri personal computer. Ma pur essendo presenti in apparecchiature complesse e fondamentali, continuano a mancare le infrastrutture adeguate alla raccolta e al recupero. Per questo il tasso di riciclo delle terre rare è minore dell’1%.

Attualmente, estrarle e raffinarle ha costi elevatissimi, sia ambientali che sociali, ma un’alternativa più sostenibile arriva dall’agromining.

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Agrominig: cos’è e come funziona

I processi di agromining impiegano specie vegetali con elevate caratteristiche di “iperaccumulo”, ovvero una crescita rapida su terreni ricchi di terre rare e il loro relativo accumulo in elevate quantità.

La successiva estrazione delle terre rare in singoli elementi viene poi ottenuta attraverso diversi processi idrometallurgici o pirometallurgici, due metodi principali usati per estrarre metalli dai rispettivi minerali.

I vantaggi di questa tecnica sono rappresentati dallo sfruttamento della capacità di iperaccumulo delle piante che la rendono, non solo ecologica, ma anche economica. La difficoltà è invece data dal fatto che richiede molto terreno da dedicare alle coltivazioni e una cura costante delle piante.

L’agromining può dunque diventare in futuro la soluzione più sostenibile per l’approvvigionamento di terre rare, se alimentata dal riciclo di vecchi dispositivi elettronici domestici, come telefoni cellulari, laptop e TV.

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Le terre rare e le attuali tecniche di estrazione

Ma cosa sono le terre rare? Sono esattamente 17 metalli presenti nella tavola periodica degli elementi e comprendono: lantanio (La), cerio (Ce), praseodimio (Pr), neodimio (Nd), promezio (Pm), samario (Sm), europio (Eu), gadolinio (Gd), terbio (Tb), disprosio (Dy), olmio (Ho), erbio (Er), tulio (Tm), itterbio (Yb), lutezio (Lu).

Le due tecniche di estrazione di REE attualmente applicate sono la lisciviazione (o estrazione solido-liquido), e l’estrazione con solvente. Il primo è un processo che richiede bassa energia, ma necessita purtroppo di un’elevata quantità di reagenti chimici con sottoprodotti pericolosi.

Il secondo, invece, è una tecnica di separazione efficace, utilizzata commercialmente, in grado di produrre una soluzione REE singola ad alta purezza o composti REE misti, ma estremamente dispendiosa in termini di tempo e lavoro.

Potenziale industriale per l’agromining

In generale, la pratica dell’agromining potrebbe in futuro portare a “coltivare” metallo anziché estrarlo. E’ possibile?

Lo specialista di piante del College of Queensland, in Australia, Antony van der Ent, sta attualmente sperimentando le capacità di quello che ad oggi è l’iperaccumulatore più noto di tutti: l’albero di Macadamia.

Il legno di macadamia – diffuso nel sud-est asiatico, in Nuova Caledonia, a Cuba e in Brasile – ha una grande abilità nell’assorbire il manganese e tale pratica viene indicata da van der Ent col termine “fitomining”.

Un altro esempio arriva dalla Malesia dove i ricercatori del College of Lorraine hanno sviluppato una vera e propria “fattoria metallica” nella quale si estrae il nichel dalle piante.

Un progetto che ha superato la fase sperimentale e che, ogni anno, raccoglie già tra i 200 e i 300 chili di nichel per ettaro.

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