fbpx
giovedì, Dicembre 26, 2024

Coprire i terreni agricoli senza teli di plastica è possibile? I risvolti della pacciamatura e le soluzioni circolari

È ormai raro vedere un campo agricolo senza il caratteristico telo che serve a creare il pacciame, il miscuglio di origine organica da spargere sul terreno e attorno alle coltivazioni. La plastica che viene utilizzata ha inquinato gravemente i terreni. Le alternative però ci sono, con eccellenze (e curiosità) tutte italiane

Alessandro Coltré
Alessandro Coltré
Giornalista pubblicista, si occupa principalmente di questioni ambientali in Italia, negli ultimi anni ha approfondito le emergenze del Lazio, come la situazione romana della gestione rifiuti e la bonifica della Valle del Sacco. Dal 2019 coordina lo Scaffale ambientalista, una biblioteca e centro di documentazione con base a Colleferro, in provincia di Roma. Nell'area metropolitana della Capitale, Alessandro ha lavorato a diversi progetti culturali che hanno avuto al centro la rivalutazione e la riconsiderazione dei piccoli Comuni e dei territori considerati di solito ai margini delle grandi città.

Proteggere le radici delle colture, evitare sbalzi termici e limitare la crescita di erbe infestanti: una volta steso sul terreno, saranno questi i compiti principali che dovrà assolvere un telo da pacciamatura. Probabilmente a chi legge, pur non conoscendo il nome che definisce questa pratica, sarà già capitato di trovarsi davanti l’immagine di un campo coperto da una rete di plastica scura dalla quale sbucano piantine di pomodori, di fragole, di meloni o di insalata. Un’immagine composta proprio da un telo da pacciamatura in azione. Ma cosa vuol dire pacciamatura?

Leggi anche: Bioeconomia circolare, la chiave per raggiungere gli obiettivi del Green Deal Ue

Che cos’è la pacciamatura 

Per rispondere a questa domanda arrivano in aiuto foglie secche, sfalci di prato, cereali, paglia e tanti residui delle lavorazioni agricole che insieme vanno a formare il pacciame: un miscuglio di origine organica da spargere sul terreno e attorno alle coltivazioni, contribuendo in questo modo ad arricchire il suolo di humus, a conservare l’umidità del terreno e a diminuire il livello di erosione. Pacciamare un orto, un frutteto, un vigneto o anche il giardino di casa vuol dire quindi coprire la terra con diversi tipi di materiali, replicando quello che accade in natura quando in autunno si forma e cresce un tappeto di foglie ai piedi degli alberi.

La pacciamatura ci ricorda un concetto fondamentale: non esiste terreno scoperto che non sia deserto. Potrebbe sembrare banale, ma quando si parla di tecniche agricole ribadire questo principio non è mai ridondante, soprattutto se pensiamo a quante volte ci è capitato di considerare pulito un campo senza erba, di pensare come ordinato o ben tenuto un giardino senza erbacce, o magari a quando cerchiamo metodi per eliminare le malerbe dall’orto. Erbacce, malerbe: nonostante un suolo nudo sia un deserto, rivolgersi con ostilità e dispregiativi a tutto ciò che cresce spontaneamente vicino alle colture principali è purtroppo parte del linguaggio comune. In realtà, parlare di malerbe è abbastanza relativo e fa parte di un discorso in cui l’ecologia c’entra ben poco: classificare una specie come malerba è infatti un concetto antropocentrico, come ribadito in più lavori di ricerca e in tanti incontri istituzionali dall’ European Weed Research Society – EWRS (società europea di ricerca sulla flora infestante) che definisce malerba “ogni pianta o vegetazione, esclusi i funghi, che interferisce con gli obiettivi dell’uomo”.

Tenere in mente questo aspetto, insieme all’importanza di custodire la biodiversità dei suoli, allontana l’idea di dover scendere in campo per combattere una guerra a colpi di diserbanti chimici e pesticidi contro ogni filo d’erba che sbuca fuori dal terreno, e spinge a cercare strategie differenti per controllare le specie vegetali che potrebbero mettere a rischio le produzioni agricole. La pacciamatura è una di queste strategie e quel telo nero è solo uno degli strumenti per applicarla. Infatti, in un piccolo orto domestico, nel giardino sotto casa o in un’aiuola, paglia e segatura possono diventare ottimi aiutanti per una pacciamatura naturale.

Leggi anche: Giornata mondiale della biodiversità, quale può essere il ruolo dell’economia circolare?

Lo sa bene chi ha scelto di mettere in pratica i principi dell’agricoltura sinergica – un approccio olistico diffuso in tutto il mondo dall’agricoltrice spagnola Emilia Hazelip – in cui i concetti della permacultura permettono di coltivare ortaggi valorizzando la paglia come elemento di copertura. Pacciamando con la paglia le colture degli orti sinergici possono crescere in un terreno più umido e al riparo dal sole diretto, senza temere di essere sovrastate dalla crescita di piante infestanti. Alla fine del ciclo di coltivazione, la paglia potrà essere lavorata nel terreno, diventando così un concime naturale. Si possono usare anche miscugli fatti con pezzi di ghiande e castagne da inserire al terriccio per proteggere le piante dal gelo e dalla pioggia battente.

E se volessimo superare la dimensione hobbistica e fai da te? Le soluzioni naturali sono buone solo per piccoli fazzoletti di terra in cui coltivare non è una professione? Per pacciamare ettari di coltivazioni in un’azienda agricola non resta che utilizzare il telo di plastica? Per ognuna di queste domande non c’è un’unica soluzione, perché non esiste una ricetta universale applicabile per ogni contesto. Di certo, interrogarsi sui possibili modi per pacciamare porta a problematizzare la consuetudine con cui viene utilizzato del telo in polietilene.

“Nella gestione a basso utilizzo di prodotti chimici e nei sistemi biologici ci sono diversi metodi di controllo delle infestanti. Tra i mezzi fisici la pacciamatura è sicuramente uno dei più utilizzati, soprattutto nel settore orticolo. I materiali convenzionalmente utilizzati sono materiali di natura plastica, efficaci nel controllo delle erbe ma indubbiamente problematici e dalla gestione controversa. Spesso, a fine ciclo i teli possono lacerarsi e in questo modo alcuni frammenti possono finire nel suolo” fa notare a Economiacircolare.com l’agronoma e consulente agraria Vittoria Di Giovanni, che con questa osservazione invita ad approfondire un fenomeno conosciuto come white pollution, ossia l’inquinamento del suolo causato dall’abbandono di materiale plastico durante i lavori agricoli.

Leggi anche: Che cos’è la bioeconomia e perché ci aiuterà a fare a meno dei combustibili fossili

White Pollution: l’inquinamento sotto i nostri piedi

A parlare di white pollution in riferimento ai teli in plastica per la pacciamatura è stato David Newman, direttore della European Circular Bioeconomy Policy Initiative, una rete europea nata lo scorso febbraio che riunisce aziende ed enti di ricerca impegnati a rafforzare la bioeconomia circolare e a dare centralità alla salvaguardia del suolo europeo attraverso una gestione rigenerativa dell’agricoltura. In una lettera indirizzata al commissario europeo all’ambiente Virginjus Sinkevičius e al vicepresidente della commissione europea Frans Timmermans, Newman ha chiesto maggiore attenzione da parte dell’Unione sui teli da pacciamatura in polietiliene perché il loro utilizzo in agricoltura ha portato “al disastroso accumulo di frammenti di plastica nel suolo”.

“Anno dopo anno – continua la lettera – questi si accumulano e i terreni rimangono aridi e sterili perché anche le migliori pratiche di estrazione e i programmi di riciclaggio non possono garantire l’eliminazione al 100% dei film plastici dopo l’utilizzo”. Secondo Newman il fenomeno della dispersione di plastiche e microplastiche nei suoli europei non viene ancora trattato con la giusta importanza, eppure nel vecchio continente il white pollution porta con sé numeri preoccupanti. Stando ai dati della commissione europea  le plastiche agricole rappresentano il 5% dei rifiuti plastici prodotti in Europa e ogni anno nei suoli dei paesi comunitari  vengono rilasciate circa 15mila tonnellate di microplastiche che derivano in gran parte dai teli di pacciamatura in polietilene non smaltiti in modo adeguato e abbandonati nei campi agricoli.

Leggi anche: Che cos’è la bioeconomia e perché ci aiuterà a fare a meno dei combustibili fossili

Ogni anno nei paesi comunitari vengono utilizzati circa 85mila tonnellate di teli plastici da pacciamatura per una superficie totale di 460mila ettari. A conoscere bene le conseguenze del white pollution è la Cina: i ricercatori cinesi hanno messo in evidenza le criticità della presenza dei rimasugli di film plastici nei campi agricoli registrando in alcune regioni del paese, come nello Xinjiang, un effetto negativo sulla crescita e lo sviluppo delle colture, con una perdita del rendimento fino al 15%. In molte zone della Cina le microplastiche derivate dai teli pacciamanti hanno causato l’impoverimento e la desertificazione dei terreni. Una situazione preoccupante e difficile da gestire tanto da  spingere il governo della Repubblica popolare cinese al divieto di utilizzo di teli ultrasottili, quelli inferiori ai 5 micron (in Giappone di solito sono di 15 micron, mentre in Europa i teli di plastica di solito hanno uno spessore di 30 micron e per legge si possono utilizzare quelli che arrivano al massimo a 12).

Secondo diverse pubblicazioni scientifiche l’accumulo di micro e nano plastiche nel terreno può incidere fortemente sulla fertilità del suolo e sulla sua capacità di sequestrare il carbonio. A rischio c’è la biodiversità che abita sotto i nostri piedi: secondo una ricerca del 2019 l’aumento di microplastiche nel suolo ha effetti negativi sulla riproduttività dei vermi perché ad alte concentrazioni le particelle di microplastiche possono diminuire del 50% la loro fertilità. Sono campanelli d’allarme da ascoltare e da tenere in considerazione visto che c’è in gioco quell’ecosistema silenzioso che aiuta, senza tanti riconoscimenti, a mitigare il riscaldamento globale e che garantisce il 95 % della produzione alimentare.

La pacciamatura fa la sua parte nella difesa del suolo, ma il telo in polietilene purtroppo, come ricordato dalla lettera di Newman, continua a creare problemi perché non viene smaltito correttamente. Insieme ai tubi in pvc per l’irrigazione e ai teli per le serre, questa pellicola di plastica rientra tra i rifiuti speciali non pericolosi derivanti da attività agricole e agro-industriali. Per smaltire in modo corretto un classico telo da pacciamatura bisogna quindi rimuoverlo dal terreno, lavarlo e stoccarlo in specifici centri di raccolta temporanei, dove verrà adeguatamente trattato e avviato al recupero, anche se nella maggior parte dei casi i teli in plastica non godono di una seconda vita e la loro destinazione finale resta la discarica. Un processo costoso e complicato – in parte a carico degli agricoltori – che rallenta lo sviluppo di un’agricoltura biologica libera dalla plastica e da altri materiali inquinanti. Ci sono casi, soprattutto nell’orticoltura, in cui per pacciamare è indispensabile ricorrere a un telo, ma considerati i dati preoccupanti sulle microplastiche, dopo anni di servizio possiamo pensare a un congedo dei polimeri sintetici dai terreni in favore di coperture più circolari.

“Da diversi anni i produttori hanno a disposizione valide alternative al telo pacciamante in plastica – suggerisce l’agronoma Di Giovanni – Sul mercato si possono trovare teli in bioplastica a base di amido di mais. La loro composizione garantisce una buona capacità pacciamante e possono essere interrati a fine ciclo. Un altro materiale molto interessante è il foglio di composti cellulosici, quindi teli di carta o paper mulches, anche questi completamente interrabili. Questi teli si sono dimostrati efficaci per il controllo delle erbe. Sono sistemi di pacciamatura validi quanto quelli plastici ma hanno impatti ambientali decisamente minori”.

Leggi anche: Ridare vita ai suoli, la scelta di campo dell’agricoltura rigenerativa

I teli in Mater-bi di Novamont

Parlare di bioplastiche in agricoltura e di teli da pacciamatura biodegradabili ci porta inevitabilmente a Novara, nei laboratori di Novamont, gruppo leader nella produzione di bioplastiche. È qui che nasce la pellicola in Mater-Bi per usi agricoli, un prodotto arrivato sul mercato dopo anni di ricerca, di sperimentazioni e di confronto con i film plastici. “Circa venti anni fa nella nostra famiglia di materiali in Mater-Bi abbiamo iniziato a studiare e sviluppare prodotti per l’agricoltura con l’obiettivo di ridurre i problemi collegati allo smaltimento di diversi materiali utilizzati nei campi. Ci sono molti studi che mettono a confronto i teli in polietilene con quelli in Mater-Bi, che hanno la stessa funzione ma una composizione e un fine vita completamente diversi” spiega a Economiacircolare.com Sara Guerrini, agronoma di Novamont.

Svolgono tutti e due lo stesso lavoro, ma a differenza del film plastico, i teli in Mater-Bi non devono essere rimossi dai campi. Non c’è nessuno stoccaggio o attività di pulizia a carico degli agricoltori, bisogna consegnarlo soltanto ai microrganismi del suolo. “Durante la rimozione, i film plastici sono spesso contaminati da residui colturali che possono far incrementare fino all’80% il peso iniziale del materiale” aggiunge Sara Guerrini. Andando via dai campi con quasi il doppio del suo peso, il telo in plastica sottrae al suolo sostanza organica e lascia chi lavora di agricoltura con l’onere di doversi occupare di un rifiuto speciale difficile da recuperare. A sperimentare l’utilizzo dei prodotti ideati da Novamont sono stati anche i ricercatori del progetto PA.BI.OR.FRU, progetto regionale  finanziato dal programma di sviluppo rurale della Regione Campania, dall’unità di ricerca per la frutticoltura di Caserta in collaborazione con il dipartimento di agraria dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e con l’azienda agricola Sole, una cooperativa agricola del Casertano dove i teli in bioplastica sono stati posizionati sui campi di fragola, di anguria, di lattuga e di melone.

Sostituire un telo di plastica con uno in Mater Bi porta vantaggi e benefici a un’azienda? Dai risultati del programma l’adozione di un telo in bioplastica rispetto a un telo in polietilene viene considerata come una buona pratica e uno strumento utile per ridurre la presenza di rifiuti speciali non pericolosi in agricoltura. La relazione finale di questo progetto europeo spiega che l’introduzione dei teli in Mater-Bi nella cooperativa ha influenzato positivamente la qualità delle colture pacciamate, la quantità della produzione è rimasta in sostanza equivalente e complessivamente ha reso la pratica della pacciamatura più semplice.

“L’idea generale è che anche in agricoltura, qualora esista la possibilità che un manufatto plastico possa essere incidentalmente disperso nell’ambiente, ovvero nel suolo, sarebbe meglio sostituirlo con un materiale biodegradabile nel suolo o con un materiale che si possa inviare al compostaggio. Rispetto ai materiali plastici tradizionali, questi teli hanno uno spessore più ridotto. In Italia le pacciamature convenzionali hanno uno spessore di trenta micron, con il telo in Mater-Bi siamo intorno ai 12-15 micron. Secondo le norme tecniche i film plastici devono mantenere il 50% delle loro proprietà meccaniche iniziali, per evitare di non essere propriamente raccolti. Dall’altra parte gli standard per i teli biodegradabili chiedono una performance iniziale nella stesura e non si parla di rimozione”, aggiunge Sara Guerrini. I teli per pacciamatura di Novamont rispondono ai requisiti contenuti nella UNI EN 17033: rilasciata dal CEN (Comitato europeo di normazione) nel 2018, questa norma rappresenta il primo standard che ha definito cosa sia una pacciamatura biodegradabile e ha studiato gli effetti di questi materiali nel suolo, riprendendo anche i riferimenti contenuti nel programma Ok biodegradable soil, una certificazione messa a punto dell’istituto austriaco TUV.

Nel 2019 l’AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica), insieme a Bioagricert (uno degli organismi di controllo biologico) e Novamont, hanno sviluppato uno standard volontario che definisce quali siano le caratteristiche che un telo di pacciamatura biodegradabile debba avere per essere allineato con i criteri del disciplinare “Mezzi tecnici AIAB”. Oltre a contenere un alto contenuto di componenti rinnovabili (alcuni teli superano anche il 50%) i prodotti non devono essere composti da colture OGM e devono rispondere allo standard EN 17033 per gli aspetti relativi alla biodegradazione e all’ impatto sul suolo. L’assenza di organismi geneticamente modificati deve essere provata con delle apposite attestazioni.

Come spiega Rossella Ferretti, agronoma ed esperta di produzioni biologiche, l’utilizzo dei teli da pacciamatura nelle aziende bio non è ancora del tutto normato. “Nel regolamento dell’agricoltura biologica non c’è un riferimento specifico all’utilizzo di pacciamatura. La certezza è che qualsiasi materiale utilizzato in agricoltura biologica deve rispettare gli altri requisiti richiesti dai regolamenti, come ad esempio non derivare da OGM, caratteristica che potrebbe interessare i teli pacciamanti biodegradabili prodotti da mais” precisa a Economiacircolare.com Rossella Ferretti. E in effetti il regolamento europeo per le produzioni biologiche non cita la pacciamatura ma parla in generale di pratiche e di lavorazioni in grado di “salvaguardare o a aumentare il contenuto di materia organica del suolo, accrescere la stabilità del suolo e la sua biodiversità”, nonché di prevenirne la compattazione e l’erosione. La pacciamatura può rientrare pienamente in questa definizione. Dipende tutto dalla scelta dei materiali.

Un foglio di carta per una pacciamatura attiva: il brevetto di Sumus

Una volta messo da parte il telo in polietilene le possibilità per pacciamare con strumenti circolari e sostenibili non sono da ricercare in un unico materiale. Come accennato dall’agronoma Di Giovanni, molti produttori stanno sperimentando anche l’utilizzo dei teli pacciamanti fatti di carta. Tra questi ne troviamo uno molto particolare: il telo da pacciamatura dell’azienda milanese Sumus. Composto per il 100 % da carta riciclata, questo materiale pacciamante può godere di un brevetto internazionale come primo foglio di carta per la pacciamatura attiva.

“Si tratta di un foglio al 100% di carta riciclata certificata compostabile ed FSC (Forest Stewardship Council), trattato con una miscela di tannini e ossido ferrico che conferiscono al foglio caratteristiche molto particolari. L’ossido ferrico, veicolato con un inchiostro a base acqua permette di graduare la “coprenza”, per cui il foglio diventa più o meno scuro – racconta Renato Falcello, consulente tecnico di Sumus Italia. – I tannini sono agenti fungicidi e mufficidi naturali.Il trattamento trasforma quindi la funzione del foglio da pacciamante puramente passivo per il contrasto allo sviluppo di malerbe, che è una funzione comune a tutti gli altri prodotti del settore in plastica o bioplastica, in funzione “attiva” perché aiuta anche a contrastare lo sviluppo di funghi e muffe”.

Proprio come i bioteli, anche il foglio di carta Sumus è progettato per terminare la sua vita nel terreno. La carta riciclata utilizzata per il foglio è a norma UNI EN 13432, un altro standard che garantisce la biodegradabilità e la compatibilità con i processi di compostaggio. Il telo ideato dall’azienda milanese si può utilizzare in pieno campo e accompagna la crescita di molte coltivazioni. In commercio da qualche mese, questo foglio di carta e le sue proprietà stanno suscitando molto interesse tra agronomi, ricercatori e ovviamente tra gli agricoltori che hanno deciso di ospitarlo nei campi. Così anche la carta riciclata entra a pieno titolo tra le opzioni circolari in agricoltura in grado di contrastare il problema delle plastiche abbandonate nei campi. “Questo foglio può essere utilizzato nelle produzioni biologiche sia da agricoltori professionisti sia da hobbisti. L’economia circolare ci impone un cambio di paradigma in tante filiere. Il foglio pacciamante di carta è il nostro contributo alla rigenerazione dei suoli e all’agricoltura biologica, aggiunge a Economiacircolare.com Carlo Lusi, direttore commerciali di Sumus Italia.

Leggi anche: Dagli Usa arriva l’upcycled food, il cibo fatto con scarti e creatività

La pacciamatura viva con la fragolina di bosco

Evitare di assurgere a tradizione l’uso dei teli plastici da pacciamatura permette di esplorare strade e percorsi più ecocompatibili. Non sono di certo itinerari privi di ostacoli, come del resto ha sottolineato David Newman nella sua lettera alle istituzioni europee, citando l’Italia come paese modello grazie all’esperienza dei bioteli di Novamont. Il problema è che rispetto al film plastico, i teli sostenibili possono arrivare a costare tre volte di più. “Nonostante eviti i problemi di contaminazione del suolo, la scala di produzione è ancora piccola – scrive Newman all’Europa – Incentivi per gli agricoltori che utilizzano i teli compostabili aiuterebbero ad aumentare le economie di scala e quindi a far scendere i costi del pacciame a basso impatto. Queste alternative esistono senza traumatizzare la società o devastare l’economia. Anzi, stimolerebbero lo sviluppo della bioeconomia europea perché mentre la maggior parte dei teli in plastica sono importati, le pellicole compostabili sono prodotte in Europa”.

Prima di cercare soluzioni sostenibili fuori la propria azienda, con Economiacircolare.com abbiamo già avuto modo di constatare come, grazie ai principi dell’agricoltura organica e rigenerativa, molti produttori agricoli siano interessati a valorizzare ciò che la terra mette loro a disposizione, cercando di restituire al suolo quello che di solito viene considerato uno scarto o un elemento secondario rispetto alle coltivazioni principali. “Per la pacciamatura quando è possibile utilizzare materiali naturali non contaminati come paglia, fieno, sfalci e carta reperibili in azienda, probabilmente si effettua la scelta più eco-sostenibile, dato che si vanno a riutilizzare degli scarti che altrimenti sarebbero un rifiuto, con un impatto zero o addirittura positivo” suggerisce Paola Cassiano, divulgatrice di Deafal e Edagricole. Seguendo questo approccio è possibile scoprire metodi e sperimentazioni di pacciamatura che non utilizzano teli o fogli ma altre colture, come le fragole di bosco.

È il caso dell’azienda vitinicola biologica Colle Stefano a Castelraimondo in provincia di Macerata dove il contenimento dell’erba spontanea nel sottofila, ai piedi delle viti, è stato affidato a una varietà locale di fragolina di bosco. L’azienda marchigiana è attualmente la sede di un programma di sperimentazione di pacciamatura viva coordinato dall’Università politecnica delle Marche, nell’ambito del progetto europeo DominoCoreorgarnic. Dei 30 ettari di vigneti biologici la fragola di bosco al momento ne sta pacciamando 6, con risultati interessanti: la fragola infatti si sta dimostrando un ottimo elemento di copertura che non compete con la coltura principale ma è in grado di prevalere sulle erbe spontanee. Nel sottofila la pacciamatura con fragolina ha garantito una copertura del terreno dell’86% contro l’11% della copertura spontanea registrata su terreno lavorato senza pacciamatura.

La natura non vuole il vuoto e cercherà di occupare lo spazio in tutti i modi. La terra sotto il filare può diventare un alleato per l’azienda e in questo caso con la fragolina selvatica dei Monti Sibillini uno dei più grandi produttori biologici della Marche ha introdotto un’altra coltivazione che ha arricchito l’ecosistema aziendale, superando il paradigma della monocultura”, spiega Andrea Neri, tra i responsabili del progetto sulla pacciamatura viva e professore di arboricoltura all’Università politecnica delle Marche. Suolo coperto, aumento di biodiversità e di sostanza organica, diminuzione dei lavori meccanici e manuali: tutto grazie a una fragolina di bosco che potrà diventerà una risorsa stabile per l’azienda, al pari delle uve che protegge dal basso. E ora che è maggio, mentre si attende la crescita dei grappoli d’uva, chi visiterà l’azienda marchigiana per comprare delle bottiglie di vino biologico potrà scoprire cosa voglia dire pacciamatura, vedendo maturare delle fragole e senza dover incontrare per forza un telo nero in polietilene.

Leggi anche: Agromining, il segreto per estrarre le terre rare dai vecchi dispositivi tecnologici

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie

La Community di EconomiaCircolare.com