“Se volete capire cos’è il progetto della Commissione europea sulla finanza sostenibile, immaginate una casa”, comincia con questo esempio Luca Bonaccorsi, responsabile di finanza sostenibile per l’organizzazione non governativa Transport&Enviroment. Insieme a lui, altri esperti di Ong, scienziati, ma anche lobbisti di multinazionali, fanno parte della piattaforma creata dalla Commissione europea con il compito di individuare le regole che sosterranno l’impalcatura della finanza sostenibile.
“Le fondamenta sono la tassonomia green”, spiega Bonaccorsi: “È l’alfabeto, la lingua comune che tutti dobbiamo parlare: stabilisce quale attività è verde e quale non lo è”. Perché esista una finanza sostenibile, i privati devono investire green e le aziende devono essere ecologiche. Lo strumento con cui l’Ue vuole raggiungere questo obiettivo è la disclosure. “La trasparenza: le banche, i fondi di investimento e le aziende sono obbligati a pubblicare i dati. Quanto sono verdi le aziende? Quanti investimenti sostenibili hanno in portafoglio le banche e i fondi?”.
La scienza può poco di fronte alle lobby
I tecnici e gli scienziati è da mesi che questa casa provano a costruirla. «”l fatto è che le pareti, le regole per le aziende, e il tetto, le regole per le banche e i fondi di investimento, sono quasi pronti”, prosegue Bonaccorsi seguendo la similitudine. “Con le fondamenta, invece, siamo in alto mare: ma senza fondamenta una casa non sta in piedi”, avverte. Perché tutto si gioca qui. Se la tassonomia è l’alfabeto comune, le prescrizioni per le aziende, le banche e gli investitori, parlano una lingua composta da quelle lettere.
Fuor di metafora: “Il tipo di attività economica o di energia classificata come ‘verde’ o come ‘dannosa’ determinerà quali aziende potranno attrarre più investimenti e a quali banche e fondi si rivolgerà chi vuole investire green. E vi posso assicurare – aggiunge l’esponente di Transport&Enviroment – che è un mercato in grande crescita e che fa gola alla finanza”. Insomma, conviene a tutti essere inseriti nella tassonomia come energia pulita. Anche a settori che la scienza escluderebbe. Ecco allora che entrano in azione i lobbisti. E a volte persino i capi di Stato.
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«Su foreste e navi tassonomia stravolta»
Succede come in ogni procedimento legislativo, a qualsiasi livello. C’è un tavolo tecnico con il compito di scrivere le norme. E poi ci sono coloro che si fanno portatori degli interessi della società civile (in questo caso gli interessi economici) e fanno pressioni per modificare queste norme. Così, nel passaggio tra la relazione degli esperti, molto tecnica e ‘granulare’, e la decisione della Commissione, a volte le cose cambiano radicalmente. “È successo con le foreste, la bioenergia e il trasporto marittimo”, racconta Bonaccorsi.
Tanto che alcuni mesi fa la sua Ong e le altre presenti nella piattaforma, tra cui il Wwf, sono state costrette ad abbandonare il tavolo della trattativa in segno di protesta. L’Atto delegato, lo strumento con cui la Commissione europea rende operative le raccomandazioni dei tecnici, era stato completamente stravolto. Secondo gli ambientalisti, una vera e propria operazione di greenwashing: il via libera ad attività dannose riconosciute come pulite.
Un esempio sono le pressioni di nazioni come la Svezia, con la sua potente la lobby del legname, la terza industria forestale al mondo. Le Ong lamentano pochi limiti alla deforestazione, pochi divieti per l’abbattimento di alberi e misure giudicate insufficienti per la protezione dei boschi. E anche per il trasporto marittimo le cose non vanno meglio: “Tutte le navi più moderne sono state definite green. Compresi cargo e navi da crociera. Potete immaginare quante tonnellate di catrame brucino per muoversi questi mezzi”, fa notare Bonaccorsi.
Nel dubbio la Commissione prende tempo
Non si tratta di retroscena: basta vedere quali sono state le ultime mosse della Commissione europea per capire che qualcosa a un certo punto si è inceppato. Se nel caso di foreste e bioenergia la parola utilizzata dalle Ong è “fallimento”, per altri temi si sta ancora litigando: non si è ancora deciso se il gas fossile, cioè il metano, e l’energia nucleare saranno riconosciuti come energie pulite o no. Una questione certo non marginale.
Dinanzi al tira e molla la soluzione individuata dalla Commissione è stata rinviare tutto a un Atto delegato da adottare il prossimo ottobre. Lo riconosce la stessa Simona Bonafè, eurodeputata eletta con il Partito democratico. È stata lei la relatrice al Parlamento europeo della legge sulla tassonomia green, che adesso spetta alla Commissione rendere applicabile individuando i criteri tecnici. “La scelta è stata fatta proprio per evitare di inficiare la credibilità dello strumento della tassonomia con decisioni affrettate”, chiarisce a EconomiaCircolare.com. Insomma, meglio fermarsi un attimo prima di vedere il progetto stravolto.
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Ogni Stato membro “difende” il proprio mix energetico
Il fatto è che le interferenze dei Paesi membri sono troppe, e a livello di Cancellerie. “I diversi Stati europei hanno mix energetici differenti e come stabilito dai Trattati conservano la prerogativa di definire come questi siano composti”, premette Bonafè. “Ci sono Paesi che vogliono raggiungere i loro obiettivi utilizzando l’energia nucleare o impiegando il gas come energia di transizione in un quadro ancora caratterizzato dal carbone”, spiega l’europarlamentare.
È risaputo, ad esempio, che la Francia fa pressioni per l’inserimento in tassonomia del nucleare. Mentre i Paesi dell’Est Europa, guidati da Polonia e Romania, vorrebbero che il gas fossile venisse riconosciuto come fonte di transizione. Con l’Italia in una posizione ‘attendista’, perché l’Eni avrebbe tutto l’interesse all’inclusione del gas naturale nella tassonomia, nonostante in base ai criteri individuati dagli scienziati non vi possa rientrare.
Il Wwf: “Il gas non è energia pulita”
Lo standard per considerare ‘verde’ una fonte di energia è stato fissato in 100 grammi di emissioni di CO2 per kWh. Una soglia più alta, di 270 grammi di CO2/kWh, individua il limite di emissioni per “non arrecare danno” all’ambiente. Il gas naturale, combustibile fossile costituito da un mix di idrocarburi, in gran parte metano, è sicuramente meno inquinante del carbone, ma sta comunque intorno ai 500 grammi di CO2/kWh. “Il gas è un combustibile fossile, sarebbe insensato classificarlo come sostenibile”, taglia corto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia: “La tassonomia serve a combattere il greenwashing, non a crearlo”.
Sostenibile o meno, il ministro italiano della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, fa un ragionamento molto semplice: la differenza tra la produzione energetica con le rinnovabili e il totale dei consumi si dovrà coprire con il ricorso al gas. Per Midulla però il gas non si può neppure considerare fonte di transizione, anche nel caso si investisse per renderlo meno inquinante: “Meglio utilizzare quei soldi per finanziare le energie pulite”, chiarisce Midulla: “Anzi, l’obiettivo dovrebbe essere ridurre la dipendenza da metano. E anche la corsa ai biocumbustibili a cui stiamo assistendo – aggiunge – non è positiva. Senza considerare l’inutilità di ipotesi come la cattura e lo stoccaggio del carbonio». «L’unica soluzione per una finanza davvero sostenibile – conclude la storica dirigente del Wwf – sarebbe in definitiva cambiare modello economico”.
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Tassonomia green, compromesso o fallimento?
La Commissione europea ha però lasciato intravedere una soluzione all’orizzonte: “Per risolvere il cortocircuito che si è creato pensa di sviluppare criteri della tassonomia dedicati ad attività di transizione, superando così l’attuale impostazione binaria”, spiega Bonafè. “Alla fine includeranno il gas fossile nella misura in cui sostituisce il carbone e solo per gli impianti di ultima generazione” azzarda un’ipotesi Bonaccorsi. E anche per l’inclusione del nucleare gli indizi ci sono. Ad esempio, uno studio del Joint Research Centre, il Centro comune di ricerca della Commissione europea, va in questa direzione. C’è però una variabile. A Berlino si andrà presto al voto e dai sondaggi emerge una rimonta dei Verdi. Potrebbe essere proprio la Germania post-elezioni, che ha già detto addio al nucleare con Angela Merkel, a mettere il veto.
“Invece scopriremo se le Ong saranno costrette a fare campagna contro una tassonomia inaccettabile che include gas, nucleare e non rispetta le foreste”, teme Bonaccorsi. Dal suo osservatorio, Simona Bonafè è invece più ottimista: “Nel tempo saranno coperti nuovi settori e attività economiche, mentre i criteri tecnici verranno rivisti anche in base agli sviluppi tecnologici. Certo – aggiunge – le implicazioni di gestione di rifiuti pericolosi non riciclabili vanno seriamente considerate. E al Parlamento europeo resterebbe sempre il potere di respingimento dell’Atto delegato”. Tra pochi mesi sapremo chi di loro avrà auto ragione. E soprattutto quali lobby e quali Paesi saranno riusciti a imporre la loro linea.
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