Doveva essere l’appuntamento politico, ecologico, sociale e culturale dell’anno. Ma la Cop26 di Glasgow si è rivelata una mezza delusione. Lo diciamo subito: per affrontare la crisi climatica in atto – insieme alla pandemia, il segno più tangibile dell’insostenibilità del modello di sviluppo che ci ha portati fin qui – dall’annuale Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ci si sarebbe aspettati risultati più netti.
Certo, mettere d’accordo 197 Paesi non è facile. Così come non ha giovato l’assenza annunciata di colossi come Cina e Russia. Dal 31 ottobre al 12 novembre 2021, sotto la presidenza del Regno Unito, nella capitale della Scozia si sono riversate migliaia di persone: diplomazie, rappresentanti governativi, delegazioni lobbystiche (la più numerosa, manco a dirlo, quella delle aziende fossili), organizzazioni non governative, movimenti ambientalisti e attivisti.
Ne è venuto fuori un racconto articolato e complesso. Con la consapevolezza che parlare di crisi climatica vuol dire affrontare i temi più urgenti e necessari del presente e del futuro del Pianeta e di chi lo abita. A diradare i dubbi, chiarire i concetti più complessi e fornire testimonianze dirette, ha contribuito la delegazione dell’associazione A Sud, che a Glasgow ha partecipato ad alcuni tavoli.
Troverete un’analisi puntuale degli aspetti che più stanno a cuore ad A Sud – la vicinanza alle popolazioni indigene che più di tutte subiscono gli effetti della crisi climatica, le ingiustizie e le disuguaglianze ambientali, il contrasto al greenwashing – insieme alla valutazione dell’importanza, ancora bassa, data all’economia circolare.
Come sempre, saremo lieti di accogliere il contributo alla discussione di lettori e addetti ai lavori. Buona lettura.
© Riproduzione riservata