Tra le migliaia di pubblicità e affermazioni green che troviamo tutti i giorni sulle etichette dei prodotti, è molto facile farsi fuorviare e comprare il bene che ci sembra più “amico” dell’ambiente. Che la sostenibilità sia diventata da qualche anno un vero e proprio business è un dato di fatto ma, come tale, deve essere regolamentato. Per stare al passo con i tempi la Commissione europea ha proposto delle sostanziali modifiche alle direttive sulle pratiche commerciali sleali, la Unfair Commercial Practices e sui diritti dei consumatori, la Consumer Rights. Economia circolare.com le ha analizzate con l’aiuto di Christian Wigand, portavoce del Dipartimento di giustizia della Commissione europea.
In primo luogo viene ampliato alla questione ambientale e sociale l’elenco delle caratteristiche del prodotto su cui è illegale fuorviare il consumatore. I cosiddetti green claim falsi, incompleti e relativi a prestazioni ambientali future poco chiare e verificabili sono riconosciuti quindi come pratica sleale che trae vantaggio sulla concorrenza. Nella lista nera di queste pratiche si aggiungono quella dell’obsolescenza programmata – quando il consumatore non viene informato sulle funzionalità che limitano la durabilità del prodotto (aggiornamenti software) – e fare affermazioni ambientali generiche e vaghe laddove non sia possibile dimostrare la reale prestazione ambientale del prodotto.
“Numerosi studi hanno dimostrato che molte affermazioni ambientali includono affermazioni vaghe (come “verde”, “amica della natura”, ecc.), che possono trarre in inganno i consumatori. – spiega Christian Wigand, portavoce della Commissione europea, a Economia Circolare.com – Per questo motivo, la proposta introduce nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali norme più specifiche per affrontare la questione. Le disposizioni proposte forniranno chiarezza agli operatori e faciliteranno l’applicazione da parte degli Stati membri”.
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Le responsabilità e le sanzioni per chi fa greenwashing
Più concretamente, affermazioni generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “ecocompatibile”, “rispettoso del clima”, “neutralità carbonica” o “biodegradabile” saranno vietate se la prestazione non è dimostrata e verificata da un ente indipendente, o se il claim non è specificato in termini chiari e evidenti.
“Per esempio, prendiamo il claim ‘biodegradabile’ – continua Wigand – sarebbe un’affermazione generica e vaga, mentre la frase ‘l’imballaggio è biodegradabile attraverso il compostaggio domestico in un mese’ non sarebbe contestabile. Le prestazioni ambientali possono essere certificate sia con l’Ecolabel UE, sia con altri sistemi di etichettatura ufficialmente riconosciuti dagli Stati membri”.
La proposta quindi mira a garantire un mercato equo e dare la possibilità ai consumatori di scegliere prodotti che sono davvero più sostenibili. Ciò incoraggerà la concorrenza verso prodotti più sostenibili dal punto di vista ambientale, riducendo così l’impatto negativo sull’ambiente. Fino a qui tutto bene, ma chi sarà l’ente supervisore a controllare questi claim?
“La responsabilità è dell’autorità di protezione dei consumatori che può sanzionare il colpevole sulla base di una valutazione caso per caso – ci risponde Wigand –. I consumatori possono anche chiedere il risarcimento del danno, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto con cause che possono essere portate dinanzi ai tribunali nazionali”.
Una volta che un’affermazione ingannevole è un fatto accertato, le autorità competenti possono anche richiedere un’azione correttiva da parte del venditore del prodotto in questione, come la rimozione dell’affermazione ingannevole dall’interfaccia del sito e-commerce.
Nel 2021 il network della Consumer Protection Cooperation ha pubblicato il suo annuale Sweep, una procedura per garantire l’applicazione delle leggi europee. Su 344 affermazioni a rischio greenwashing, si è scoperto che nel 42% dei casi le affermazioni erano esagerate, false o ingannevoli e potrebbero potenzialmente qualificarsi come pratiche commerciali sleali.
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Diritto all’informazione sulla durabilità e riparabilità dei prodotti
Nel pacchetto la Commissione propone di modificare anche la direttiva sui diritti dei consumatori (Consumer Right Directive) per obbligare le aziende a fornire ai consumatori informazioni sulla durabilità e riparabilità dei prodotti.
Innanzitutto i consumatori devono essere informati sulla durata garantita dei prodotti. Per i prodotti a consumo energetico, il consumatore deve essere informato quando non ci sono informazioni e garanzia commerciale sulla durabilità. Inoltre la Commissione europea richiede l’impegno comprovato del produttore a fornire informazioni sugli aggiornamenti software dei beni digitali.
“Una volta che le modifiche proposte diventano legge, si applica il consueto quadro di applicazione del diritto dei consumatori dell’Ue – spiega Christian Wigand – . Da una parte agiscono le autorità dei consumatori attraverso sanzioni pecuniarie, dall’altro ci sono le associazioni dei consumatori che per loro conto possono intentare azioni legali”.
Produttori e venditori dovranno decidere il modo più appropriato per fornire queste informazioni al consumatore, sia sulla confezione che nella descrizione del prodotto sul sito web. In ogni caso, deve essere fornito prima dell’acquisto e in modo chiaro e comprensibile.
Su queste due proposte la Commissione europea ha cercato di prevedere gli impatti sul mercato. “Secondo la nostra valutazione d’impatto – sottolinea Christian Wigand – ci saranno costi limitati per le aziende, che allo stesso beneficeranno di condizioni di equità. Non ci saranno più imbrogli e tutti dovranno giocare secondo le stesse regole. Ciò faciliterà anche l’espansione delle aziende in altri Stati membri dell’Unione Europea”.
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