Era il 2006 ed i Sigur Rós, la celebre band islandese, realizzava 15 concerti gratuiti e non preannunciati immersi nel paesaggio naturale dell’Islanda: i video dei live dall’innegabile fascino divennero un film, Heima, uscito l’anno seguente.
Qualcosa di simile, anche ispirato da quel film, avviene da sei anni nei luoghi più incontaminati e incantevoli d’Abruzzo. È il festival Paesaggi Sonori, che dal 2016 porta avanti un’idea semplice che ha alla base un sistema di valori complesso: dar vita ad un equilibrio tra musica e paesaggio, restituendo un’esperienza unica che vada oltre il concerto e permetta di creare una connessione tra luogo e persone, quasi intima. A raccontare come tutto è iniziato e come sia possibile realizzare dei concerti di musica dal vivo in luoghi di pregio naturalistico e culturale con un ridotto impatto ambientale è Massimo Stringini, co-fondatore del festival, insieme a Flavia Massimi.
Come nasce Paesaggi sonori
Entrambi abruzzesi – Stringini, originario di Bussi sul Tirino (Pescara) lavora nel settore culturale e turistico, Massimi è una violoncellista e sound designer aquilana – da bambini giocavano nella stessa piazza di Bussi sul Tirino ma poi, come spesso accade, si sono persi di vista per molti anni.
Rincontrati casualmente in età adulta, hanno deciso di dar vita ad un festival musicale che portasse nel loro Abruzzo la cultura e la pratica dell’ascolto, puntando ad una partecipazione diversa rispetto a quelli dei grandi festival in voga in quel momento.
“Erano festival molto caotici, – ricorda Massimo Stringini ad EconomiaCircolare.com – dove ti capitava di camminare su un prato di uno stadio ricoperto di bottiglie di vetro e plastica; oggi fortunatamente succede sempre meno. Avevamo voglia, quindi, di riuscire a fare musica dal vivo in un luogo inusuale, portandovi una dimensione umana e artistica, in grado di instaurare un equilibrio”.
A distanza di sei anni, Paesaggi Sonori vive ora la sua settima edizione, che coincide come consuetudine con l’arrivo dell’estate, quando cioè è possibile usufruire pienamente di luoghi all’aperto. I concerti toccano diversi ambienti tra i più suggestivi della regione, a carattere naturalistico o archeologico e culturale: come Rocca Calascio, che con i suoi 1520 metri sul livello del mare è il castello più alto degli Appennini e domina il versante sud del Gran Sasso o l’antica città di Peltuinum, fondata fra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., un sito archeologico a Prata d’Ansidonia (L’Aquila). La programmazione artistica, che spazia tra diverse tipologie di genere musicali, richiama personalità di provenienza internazionale che ben si connettono con le ambientazioni e con i valori del festival; nonostante la raffinatezza della scelta non si vuole arrivare, però, ad avere un festival di nicchia ma si tenta un approccio multiculturale e multigenerazionale.
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Un sistema semplice
Quello dei concerti in natura è un tema caldo di questi giorni. È da poco iniziato ufficialmente il Jova Beach Party, il tour per spiagge e luoghi naturali di Jovanotti che ha già portato ben 60mila persone sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro. La serie di live è osteggiata da molti ambientalisti – ma non da tutti vista la presenza del WWF nel pacchetto degli sponsor – con l’accusa di recare danni alla fauna e flora locale. Al netto di un evento dalla dichiarata vocazione green che genera tutte queste controversie, è lecito chiedersi come si può, se si può, organizzare eventi musicali in natura senza segnare l’ambiente con il proprio passaggio.
Paesaggi sonori, nel suo piccolo, ripete da sei anni un sistema molto semplice: per quel che attiene ai concerti in montagna, niente palco o pedane, luci, sedie o colonne sospese per l’amplificazione. Nessuna sovrastruttura, insomma, che sia anche d’intralcio al godimento del paesaggio da parte del pubblico, e dello spettatore: solo gli strumenti e un piccolo gruppo elettrogeno di nuova generazione silenziato (forse non la soluzione più innovativa in senso ambientale ma che viene utilizzato per sole due ore e a potenza ridotta). Una rinuncia al superfluo che però non coincide con un risultato meno appagante: complici le luci del tramonto, orario prediletto per i concerti, l’effetto è sorprendente e i confini tra artista, pubblico e paesaggio vengono meno per lasciare spazio ad una performance per sua natura irripetibile.
Nei luoghi dei concerti si arriva e si torna solo a piedi, spesso in notturna quando sono al tramonto, avvalendosi unicamente di torce. Prima dell’evento viene data la possibilità di raggiungere ed esplorare il territorio, seguendo dei percorsi di trekking con delle guide esperte del luogo. Non ci sono i tipici chioschi che servono birre o altre vivande: i partecipanti devono portare tutto l’occorrente nel proprio zaino. “Stai andando ad un concerto – sottolinea Stringini – ma anche in un delicato luogo di montagna, quindi quello che ti occorre è giusto portarlo nello zaino, proprio come fa chi frequenta la montagna e, una volta tornato a casa, gettare quel che serve nella differenziata; anche se in questo modo si può evitare di produrre rifiuti, portando ad esempio le proprie posate da casa. Ci è sembrata una buona consuetudine da promuovere”.
Il risultato sembra essere positivo: nei sopralluoghi effettuati a seguito dei concerti, riferiscono gli organizzatori, non vengono mai trovati rifiuti, se non “un paio di carte in sei anni”, segno che la cultura per la montagna viene compresa e rispettata dai partecipanti.
L’attenzione, inoltre, non è riservata solo alle modalità di svolgimento del concerto ma – e qui viene forse la parte più importante – anche alla località e al periodo dell’anno, facendo, se occorre, un passo indietro.
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Non sovraccaricare l’ambiente naturale
Nell’organizzazione di ogni singolo evento musicale del festival si tende a considerare, oltre alle atmosfere e alle suggestioni che la combinazione tra artista e ambientazione possono suggerire, anche il periodo e il ciclo naturale di flora e fauna.
“Ad esempio, a 1700 metri – spiega Stringini – possiamo andare ad agosto ma non di certo a giugno perché siamo in piena riproduzione, sia floreale che faunistica. Per portare un minimo di attrezzatura si deve andare con un mezzo, c’è il volume del concerto ed un seppur ristretto numero di partecipanti: queste caratteristiche ci impediscono di scegliere un luogo a 1700 metri per il mese di giugno. Se la disponibilità dell’artista è limitata a quel periodo magari scegliamo un altro posto dove non andiamo ad impattare a livello ecosistemico, come un’area archeologica o un’abbazia”.
Trattandosi per la maggior parte di luoghi compresi in Parchi naturali o aree protette, per lo più il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, i permessi devono includere, oltre ad una scheda tecnica con tutte le informazioni dell’evento, ovviamente anche la valutazione di incidenza ambientale (VINCA) da presentare al Parco e al comune di riferimento. Dunque, anche ci fosse un margine per proporre eventi a giugno, questa prevederebbe, aggiunge Stringini, una valutazione di incidenza ambientale approfondita e estremamente costosa, a quanto pare insostenibile per un festival quasi interamente finanziato dal pubblico pagante, come Paesaggi Sonori.
Dunque, per la maggior parte dei luoghi la scelta ricade sull’estate inoltrata ma, anche in questo periodo dell’anno, non tutti gli spazi sono adatti. Nelle edizioni passate, alcuni concerti si sono tenuti in un punto molto suggestivo della piana di Campo Imperatore, alle pendici del Gran Sasso. Nelle ultime edizioni si è invece scelto di non replicarli perché la zona è diventata sempre più frequentata dai turisti, soprattutto ad agosto: se da una parte si sarebbe rischiato di sovraccaricare troppo l’ambiente naturale, dall’altra di vedere rovinato il concerto, magari da una delle moto che sfrecciano sulla strada del Parco.
Il numero limitato di partecipanti è perciò un altro punto cardine dell’evento: si cerca di creare un equilibrio tra la sostenibilità ambientale e quella economica, mettendo su un evento popolare ma non di massa. Il concerto a Rocca Calascio, ad esempio, viene chiuso a 500 iscritti. Anche se il posto, a detta dell’organizzazione, potrebbe ospitarne molti di più, potrebbero esserci altre persone in visita ma non legate all’evento, e sarebbe un vero problema.
Per quel che riguarda l’inquinamento acustico, il limite dei volumi è frutto di uno studio redatto dall’ingegnere ambientale che si occupa della valutazione di incidenza ambientale: stabilito qual è il luogo esatto dove si sistemerà l’artista e l’amplificazione, suggerisce il limite massimo di decibel in rapporto alla distanza, per non andare a disturbare l’eventuale passaggio di animali, come cervi o caprioli.
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I benefici per il territorio
I concerti richiamano un pubblico eterogeneo: dal fan di un determinato artista, all’amante della fotografia, dagli habitué di mete culturali e artistiche, a chi semplicemente è attratto dall’esperienza, ma un dato interessante è che più della metà non sono residenti della zona.
“Si possono creare, – afferma Stringini – e in alcuni casi sono già in atto, prodotti di co-marketing tra i soggetti e gli operatori locali per il turismo culturale e artistico che possono portare soltanto benefici perché non parliamo di un turismo di massa. In futuro vorremmo avere una buona rete operativa tra comunità, residenti, operatori, enti pubblici e privati di ogni territorio: stiamo seminando per questo, anche se non è sempre semplice”.
Non tutte le amministrazioni si rivelano infatti disposte ad incoraggiare l’evento, e spesso la barriera più grande da abbattere è una sorta di immobilismo che fa della novità e dello straniero un elemento di minaccia. L’Abruzzo vanta un grande patrimonio naturalistico e culturale che dà casa a ben tre Parchi naturali ma, almeno per quel che attiene all’aquilano, si tratta di un territorio profondamente sconnesso. Una distanza fisica e spirituale acuita dal terremoto dell’Aquila e dagli eventi sismici degli anni successivi, in cui la pandemia ha segnato una ripresa e in molti casi una vera e propria nascita di un turismo estivo, ma ancora ad uno stato embrionale. Ecco perché un evento come questo, con una vocazione legata alla cura del paesaggio, del patrimonio culturale e della musica può essere un punto da cui partire per definire un’identità di turismo che vada oltre il tempo di un selfie.
“Vogliamo – conclude Stringini – generare nel pubblico la conoscenza del territorio e degli elementi valoriali associati, tramite le pratiche di turismo esperienziale e responsabile: migliorare l’immagine del territorio, sia fuori regione che all’estero, e la culturalizzazione dei partecipanti ma in primis dei residenti perché spesso non vediamo quello che ci circonda, non conosciamo i siti culturali e le montagne dei nostri stessi paesi”.
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