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domenica, Dicembre 22, 2024

Il 70% dell’irrigazione in Emilia Romagna può essere soddisfatto dai depuratori

Una sperimentazione coordinata da ENEA ha permesso di calcolare quanto le acque reflue dei depuratori potrebbero soddisfare i bisogni dell’irrigazione

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

In tempi di crisi idrica si torna a parlare di riutilizzare le acque trattate dai depuratori per l’irrigazione dei campi (ricordiamo che all’agricoltura dobbiamo circa il 6o% dei consumi nazionali di acqua). Una recente sperimentazione – condotte dal progetto VALUE CE IN coordinato da ENEA, al quale partecipano tra gli altri il gruppo Hera e l’Università di Bologna – ha stimato che utilizzare le acque reflue depurate per irrigare e fertilizzare i campi permetterebbe di soddisfare fino al 70% del fabbisogno idrico irriguo della Regione Emilia-Romagna, riducendo di circa il 30% anche i costi per i concimi.

Irrigazione intelligente con l’aqua dei depuratori

La sperimentazione – budget totale 1 milione e 100mila euro, di cui quasi 800mila euro finanziati dalla Regione Emilia-Romagna e cofinanziato dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) – è stata eseguita presso il depuratore di Cesena ed è durata circa due anni. Per condurre il test è stato realizzato un prototipo completamente automatizzato per il monitoraggio ed il controllo continuo delle acque in uscita del depuratore e avviate nei campi.

Si è trattato di una centralina di controllo “in grado di gestire e ottimizzare il riuso delle acque trattate in funzione delle relative caratteristiche qualitative e delle esigenze idriche e nutrizionali delle singole colture in campo”. La centralina riceve segnali relativi alla qualità delle acque (“generati rispettivamente da un sistema di monitoraggio on-line e real-time allestito dal laboratorio LEA dell’ENEA e dalla strumentazione di Hera”) e segnali dal campo irriguo sperimentale (“progettato e realizzato dall’Università di Bologna con la collaborazione di Irritec, partner industriale di progetto) dove sono stati posizionati sensori di umidità del suolo, temperatura e conducibilità. In base alla ‘sete’ delle piante e al bisogno irriguo dei campi si attivano o meno le pompe che alimentano sistemi di microirrigazione innovativi (messi a disposizione sempre da Irritec).

“La centralina – racconta ad EconomiaCircolare.com il coordinatore del progetto Luigi Petta, responsabile del Laboratorio ENEA di Tecnologie per l’uso e gestione efficiente di acqua e reflui – calcola anche il contenuto di elementi fertilizzanti (azoto e fosforo) che sono presenti nelle acque che diamo alle piante e calcola automaticamente la differenza da fornire in termini di concimi chimici. Quindi riduciamo la quota di fertilizzati chimici dati alle colture, con risparmio economico e riduzione dell’impatto ambientale per la produzione di questi fertilizzanti”.

Spiega Attilio Toscano, professore di idraulica agraria di UNIBO: “L’attività sperimentale, grazie al contributo di un gruppo multidisciplinare di ricercatori, ha consentito di progettare, implementare e testare un sistema di irrigazione e fertirrigazione di precisione in grado di sfruttare appieno le potenzialità del riuso a scopo irriguo delle acque reflue depurate, valutando al contempo gli effetti e la sicurezza dell’utilizzo di risorse idriche non convenzionali su colture destinate al consumo umano”.

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70% di acqua, più del 30% di concimi

II dati della sperimentazione, spiega ENEA in una nota, “particolarmente importanti in un momento di carenza della risorsa idrica come quello attuale, sono molto promettenti con la potenziale possibilità di soddisfare fino al 70% del fabbisogno idrico regionale”. Inoltre, grazie all’utilizzo delle acque reflue depurate che, a differenza dell’acqua di rete (come spiega Petta), contengono già alcune sostanze nutritive necessarie per la crescita delle piante, “si ottiene un risparmio del 32% di azoto e dell’8% di fosforo, ad esempio nella coltivazione dei peschi”.

Questo 70% di riutilizzo non è un dato che possiamo ritenere valido anche per altre Regioni, spiega ancora Petta. “Si tratta di una valutazione molto sito-specifica, che esprime un dato potenziale, frutto del confronto tra il potenziale totale di acque riutilizzabili e il fabbisogno delle colture. Potenziale perché non tiene conto dell’effettiva trasportabilità dello scarico dal depuratore al campo”. Tra il potenziale e il reale, dunque, c’è la dotazione infrastrutturale. “In Emilia Romagna si può tuttavia contare su una rete molto fitta di canali bonifica, quindi la percentuale di riutilizzabilità effettiva è molto elevata. Diverso il caso, ad esempio, della Sicilia, dove la rete di canali di bonifica non esiste”.

Una fonte sicura

Nelle piante irrigate con le acque trattate dal depuratore “è stata inoltre riscontrata la totale assenza di contaminazioni di Escherichia coli a livello sia di germogli sia di frutti. Infine, non è stato riscontrato alcun incremento significativo, a livello di suolo, in termini di coliformi totali e carica batterica totale”. Proprio il dato relativo ai batteri, ci racconta Petta, è oggetto dell’ulteriore sviluppo del progetto: “Stiamo mantenendo attiva la collaborazione con Hera – aggiunge il ricercatore ENEA – con l’intenzione di integrare il prototipo sperimentale di Cesena ad esempio con la misura in tempo reale della componente microbiologica: uno dei parametri fondamentali che vincola la possibilità del riutilizzo delle acque è la presenza o meno di Escherichia coli”. Mentre di solito questa presenza viene rilevata con analisi di laboratorio che richiedono colture, e quindi prevedono tempi di risposta non immediati, “si stanno sviluppando sistemi in grado di misurare questo parametro in tempo reale: l’intenzione è integrare questa misurazione nel prototipo”.

I risultati ottenuti, sottolinea ancora il ricercatore ENEA, “evidenziano l’applicabilità della filiera tecnologica, sviluppata in forma prototipale nell’ambito del progetto VALUE CE-IN, a tutti gli impianti di depurazione per garantire una fonte idrica non convenzionale che sia sicura, economicamente conveniente ed in grado di fornire elementi nutrienti alle colture, in linea con i nuovi indirizzi comunitari in vigore dal 2023”.

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