La tragedia che si è abbattuta sulle Marche è un dramma che sconvolge tutto il Paese. Mentre il nostro pensiero va alle vittime e ai loro familiari, nella certezza che gli italiani e le italiane sapranno mostrare il proprio sostegno e la vicinanza alle comunità colpite, l’attenzione collettiva va sin da ora rivolta alla messa in sicurezza del nostro territorio. Davanti a questi fenomeni bisogna mettere in campo forme e piani di adattamento: investire risorse per prevenirli evita innanzitutto i morti e i feriti, ma evita anche spese maggiori per riparare i danni.
Adattare i territori vuol dire riparare i danni che come genere umano abbiamo creato (e continuiamo a creare), convinti come siamo di essere la specie animale al centro del mondo: la cementificazione selvaggia, la sottrazione degli spazi alla natura, il disboscamento pervasivo sono tutti fenomeni che contribuiscono a creare i disastri di cui poi puntualmente ci doliamo, come se fossero calamità imprevedibili.
Dobbiamo fare i conti con lucidità e serietà su una condizione che ormai ha poco di eccezionale: spesso parliamo semplicisticamente di maltempo e di bombe d’acqua ma anche il nostro linguaggio deve prendere atto di un mutamento strutturale. Non è un’emergenza, l’ennesima emergenza, ma qualcosa di sistemico. Siamo davanti a una crisi climatica di origine antropica che con l’innalzarsi della temperatura fa aumentare anche la frequenza e l’intensità dei fenomeni meteorologici estremi, nel nostro Paese come nel resto del mondo.
Siamo nell’anno più fresco dei prossimi anni, ripetono con raggelante ironia gli scienziati. Se non fosse chiaro, la situazione peggiorerà. Alla vigilia della Marcia globale per il clima e di un voto molto importante anche per la causa climatica è il caso di prenderne atto e parlare chiaro. Non è più tempo di piccoli passi, perché dobbiamo sfuggire a una valanga. La riduzione delle emissioni, le strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, l’economia circolare non sono optional di una politica economica, energetica e ambientale che proceda come ha sempre fatto. Non servono gli impegni vaghi e non servono le promesse da campagna elettorale.
Prevenire, pianificare, agire subito e misurare. Serve una cultura nuova per costruire un mondo nuovo e salvare la specie che lo ha portato sull’orlo della catastrofe. Il nostro compito è raccontare analizzando, se serve denunciando, e per quanto ci è possibile misurando. Poi vogliamo contribuire a costruire il nuovo paradigma, ma soltanto con chi, come noi, è convinto che non basti correggere il tiro. Perché siamo già fuori strada e se non cambiamo completamente la rotta troveremo il baratro a pochi passi.
Leggi anche: Overshoot day, l’urgenza delle piccole rivoluzioni per ripianare il debito con il Pianeta
© Riproduzione riservata