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venerdì, Novembre 15, 2024

Cop27. La finestra di tempo per ridurre le emissioni si sta chiudendo e i dati dell’Unep lo dimostrano

Pochi giorni prima dell’inizio della Cop27 le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme sul riscaldamento globale: se gli Stati non accelerano la decarbonizzazione sarà impossibile rispettare gli Accordi di Parigi. Una serie di dati spiegano perché finora abbiamo sprecato il poco tempo a disposizione. E quali scenari abbiamo davanti

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

La Cop27, dal 6 al 18 novembre a Sharm el-Sheikh in Egitto, è iniziata sotto cattivi auspici: e non per le previsioni divinatorie di un chiaroveggente, ma per i dati che vengono dalla scienza. L’“Emissions gap report” messo a punto dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) già dal titolo cerca di comunicare il senso d’urgenza con cui la prossima conferenza sul clima dovrà affrontare l’emergenza climatica: The Closing Window.

“La finestra di tempo per agire e limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi si sta chiudendo rapidamente”, lanciano l’allarme le Nazioni Unite. Mentre i progressi fatti nell’ultimo anno dalla Cop26 di Glasgow sono stati “totalmente inadeguati”. Così, conclude l’Unep, per sperare di rispettare gli Accordi di Parigi la decarbonizzazione nei prossimi otto anni deve accelerare a un ritmo “senza precedenti”. E una serie di dati e stime contenuti nel rapporto che qui riassumiamo, spiegano perché.

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I numeri sulle emissioni

 58 gigatonnellate di CO2 equivalenti (GtCO2e):    il totale delle emissioni globali previste nel 2030. Secondo il report le nazioni sono fuori rotta per rispettare gli attuali NDC (l’impegno di ciascuna nazione a tagliare una quota di emissioni). Il gap tra emissioni e taglio necessario è tra 3 e 6 GtCO2e nel 2030;

0,5 GtCO2e:        la riduzione di emissioni di gas serra prevista dai Contributi determinati a livello nazionale (NDC) aggiornati nel 2022. È meno dell’1% delle emissioni globali stimate per il 2030. Un livello definito nel rapporto Unep “completamente inadeguato”;

15-23 GtCO2e:    le emissioni da tagliare entro il 2030 rispetto a quelle del 1990 per sperare di restare rispettivamente sotto 2°C e 1,5°C di innalzamento della temperatura (accordi di Parigi);

45%-30%: la percentuale delle emissioni globali da tagliare entro il 2030 (rispetto a quelle del 1990) necessaria per restare al di sotto di un aumento della temperatura globale rispettivamente di 1,5°C o 2°C;

4,7%:         il calo delle emissioni nel 2020. Tuttavia, si tratta di una riduzione legata alla pandemia di Covid-19. Nel 2021 le emissioni sono tornate ai livelli del 2019 e quelle da carbone sono persino aumentate.

1,1%:         l’aumento medio annuale delle emissioni tra il 2010 e il 2019. Nel decennio precedente la media era stata del 2,6%.

2025:         l’anno in cui, secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), le emissioni mondiali di gas serra raggiungeranno il picco.

18 GtCO2e: le emissioni medie annuali del settore agroalimentare. Rappresentano un terzo delle emissioni di gas serra totali. Il peso maggiore è ricoperto dall’agricoltura (39%) e dall’utilizzo del suolo (32%);

30 GtCO2e:         le emissioni del settore agroalimentare previste nel 2050. Con le dovute riforme, come miglioramenti nell’efficienza della produzione di cibo, decarbonizzazione dei processi produttivi, protezione degli ecosistemi e cambiamenti nella dieta, nello stesso anno le emissioni potrebbero essere ridotte fino a 24,7 GtCO2e.

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Le previsioni sul riscaldamento globale

2,8°C:        l’aumento della temperatura globale alla fine del secolo se si manterranno le politiche attuali;

2,4-2,6°C: l’aumento della temperatura globale entro il 2100 se le nazioni metteranno in pratica gli impegni concordati alla Cop26.

1,8°C:        l’aumento della temperatura nel migliore degli scenari possibili. Tuttavia, sottolinea il report, “non è attualmente credibile in base alla discrepanza tra le emissioni attuali, gli obiettivi NDC a breve termine e gli obiettivi emissioni zero a lungo termine”;

1,1°C:        l’attuale crescita media della temperatura globale, pericolosamente vicina alla soglia di sicurezza di 1,5°C individuata dall’Accordo di Parigi del 2015;

66%:  la probabilità di restare sotto la soglia dei 2°C di incremento della temperatura entro il 2100 con la completa implementazione degli attuali Contributi determinati a livello nazionale.

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Le nazioni della Cop27 in numeri

166:           le nazioni aderenti alla Cop27 a Sharm El-Sheikh, in Egitto, 14 in più rispetto a Glasgow. Sono responsabili del 91% delle emissioni globali di gas serra;

55%:                    la percentuale di emissioni globali riconducibili alle principali nazioni responsabili delle emissioni di gas serra nel 2020 (Cina, Ue, India, indonesia, Brasile, Russia, Stati Uniti). Le nazioni del G20 sono responsabili del 75% delle emissioni globali;

6,3 tonnellate di CO2e:        la media mondiale di emissioni pro capite nel 2020. Le differenze tra le nazioni sono enormi: gli Stati Uniti occupano il primo posto con 14 tCO2e pro capite, seguiti da Russia (13 tCO2e), Cina (9,7 tCO2e) e Unione europea (7,2 tCO2e). L’India è nettamente sotto alla media, con 2,4 tCO2e. La media tra i Paesi in via di sviluppo più poveri è di 2,3 tCO2e;

88:    le nazioni che hanno adottato gli obiettivi net-zero sulle emissioni (nella Cop26 erano 74). Sono responsabili del 79% delle emissioni globali. All’interno del G20 sono 19 le nazioni ad aver adottato gli obiettivi di emissioni nette zero.

17 milioni: le persone alle prese con l’insicurezza alimentare e il rischio siccità solo in Africa orientale.

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Il peso della finanza sostenibile

4000-6000 miliardi di dollari all’anno: è l’ammontare degli investimenti teoricamente necessari per arrivare a livello globale a un’economia a basse emissioni di carbonio. Rappresenterebbero solo l’1,5-2% del valore totale dei mercati finanziari;

20-28%:     il range di investimenti in più rispetto ai livelli attuali necessari per arrivare agli obiettivi di un’economia a basse emissioni di carbonio;

2000 miliardi di dollari:       gli investimenti globali in energia pulita previsti ogni anno fino al 2030. Una crescita del 50% rispetto a oggi, ma ugualmente insufficiente per l’obiettivo di zero emissioni nette nel 2050;

6:      le azioni chiave da intraprendere per riformare il settore finanziario. Rendere i mercati finanziari più efficienti attraverso la tassonomia e la trasparenza. Introdurre un prezzo al carbonio. Incoraggiare la finanza sostenibile. Creare mercati con una tecnologia a basse emissioni di carbonio, attraverso incentivi e interventi pubblici. Azioni dirette delle banche centrali per affrontare la crisi climatica. Creare “club” di nazioni per iniziative di cooperazione, anche normativa, allo scopo di dare vita a un sistema finanziario più favorevole all’ambiente.

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