La questione bolle in pentola da tempo: si chiama “bilancio di massa” ed è il metodo usato per calcolare la percentuale di materia da riciclo chimico (in particolare della plastica) presente all’interno dei prodotti. Come sappiamo, la direttiva Direttiva SUP sulla plastica monouso (Single use plastic), oltre a mettere al bando alcuni oggetti, fissa anche quote vincolanti di materia prima riciclata nei nuovi imballaggi. La scelta di come calcolare queste quote è evidentemente centrale per raggiungere i risultati della direttiva e, più in generale, quelli di riciclo e circolarità europee. La direttiva SUP delegata ad uno specifico atto d’esecuzione lo stabilire le norme per il calcolo di queste quote. Alcune associazioni europee (tra cui Zero Waste Europe, EEB-European Environmental Bureau, Greenpeace, Ecos, ChemSec, l’associazione di imprese Ecopreneur.eu) dopo aver avuto accesso alle bozze dell’atto, hanno scritto una dichiarazione congiunta alla Direzione generale dell’Ambiente della Commissione europea per chiedere di modificare il documento che, altrimenti, data la scarsa trasparenza sui metodi di calcolo, sdoganerebbe il greenwashing, minerebbe la fiducia dei consumatori e metterebbe a rischio gli stessi obiettivi di circolarità e di riduzione dell’impronta climatica europei.
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Riciclo chimico, bilancio di massa e consumatori
L’atto di esecuzione è necessario agli Stati membri per comunicare la quantità di contenuto riciclato nel loro territorio nazionale. Tuttavia, affermano i firmatari della lettera, “è rilevante anche per le indicazioni fornite ai consumatori a livello di prodotto, in quanto è molto probabile che l’industria sostenga che qualsiasi modello di catena di custodia è consentito per il calcolo nazionale sia consentito per supportare le dichiarazioni a livello di prodotto”. A preoccupare, spiegano, “è il fatto che, nella sua forma attuale, la bozza di atto d’esecuzione non specifichi chiaramente quali modelli di catena di custodia siano ammissibili per il calcolo del contenuto riciclato e lasci aperta la porta ad approcci al bilancio di massa diversi dall’allocazione proporzionale a livello di lotto nel caso del PET non riciclato meccanicamente”. Quando si parla di catena di custodia si intende la sequenza di attività e strumenti che servono a garantire l’origine certa (in questo caso il riciclo) per un materiale. Nel caso dei riciclo meccanico della plastica è relativamente facile (anche se non scontato) seguire il flusso della filiera che parte dai rifiuti urbani, seleziona la bottiglia in PET, ad esempio, la tritura e ne fa scaglie da fondere per produrre altre bottiglie. Diverso il caso del riciclo chimico, in cui con processi molto diversi tra di loro (dalla depolimerizzazione alla gassificazione alla pirolisi) si ottengono materie molto simili a quelle vergini da cui ricavare nuova plastica. Come distinguerle, per rispettare le prescrizioni della direttiva SUP, nella produzione di nuovi imballaggi con quote minime di riciclato? Per cavarsi dall’impaccio si usa il bilancio di massa (mass balance approach): denominazione che prende in prestito concetti economici (entrate, uscite, bilanci) per indicare una metodologia usata appunto anche per stimare il contenuto di materiale ‘seconda vita’.
Il rischio denunciato nella lettera inviata alla Commissione è “il fatto che l’atto di esecuzione lasci aperta la possibilità di utilizzare in futuro generici approcci di ‘bilancio di massa’“. Per limitare i danni, la richiesta delle associazioni è “che l’unico modello di catena di custodia ammesso per calcolare il contenuto riciclato prodotto da queste tecnologie sia l’allocazione proporzionale a livello di lotto […]: poiché questo è l’unico approccio in grado di garantire un percorso chimico e fisico comprovato tra la materia prima in ingresso e il prodotto finale”.
“Allocazione proporzionale a livello di lotto”
Proviamo ad immaginare il processo, e facciamolo, come chiede la lettera, “a livello di lotto”: in uno stabilimento che produce bottiglie entra un lotto (mettiamo una tonnellata) di plastica riciclata chimicamente e uno (sempre una tonnellata) di polimeri vergini. I due lotti vengono miscelati: le bottiglie che usciranno dallo stabilimento avranno un contento di riciclato del 50%. Se, invece (facciamo un altro esempio), ad entrare nello stabilimento sono un lotto da riciclo e due vergini, i prodotti frutto della miscelazione saranno riciclati al 33% (si parla per questo di ‘allocazione’, cioè attribuzione del riciclato, proporzionale: l’output è commisurato all’input). Fin qui tutto chiaro.
Le cose cambiano se cambiamo la scala dell’osservazione, smettendo di tracciare il cammino dei singoli lotti e guardando le cose a livello di stabilimenti (o imprese con più stabilimenti). Pur sapendo cosa entra, non è facile sapere esattamente cosa esce: un’impresa che acquista 1 lotto di materia da riciclo (mettiamo sempre 1 tonnellata) e 2 vergini (2 tonnellate) per poi mescelarli potrebbe vendere una tonnellata di prodotti come 100% riciclato, per giovarsi magari del maggiore margine legato al prezzo di prodotti ‘di fascia alta’. “L’autorizzazione di tali approcci consentirebbe alle aziende di assegnare liberamente il contenuto riciclato a materiali/prodotti di prezzo più elevato, consentendo la possibilità di generare reddito aggiuntivo che non è disponibile per quelle aziende (ad esempio, riciclatori meccanici) che sostengono le dichiarazioni utilizzando metodologie trasparenti, solide e tracciabili”. Non essendo distinguibili dopo la miscelazione di due tipi di materie prime, la tonnellata di materia da riciclo che entra nello stabilimento viene “allocata”, attribuita, tutta ai prodotti di maggiore valore aggiunto, anche se invece è diluita con i polimeri vergini (in ongi prodotto, anche quelli per i quali non viene dichiarato alcun contenuto da riciclo).
Secondo i firmatari, ai fini di una maggiore trasparenza, tracciabilità e verificabilità, le materie prime riciclate dovrebbero inoltre essere utilizzate nel sito in cui viene realizzato il prodotto finale e non essere trasferite o scambiate tra più siti (bilancio di massa “multi-sito” o “a livello di gruppo”).
“Consentire modelli di catena di custodia meno robusti, meno trasparenti e non proporzionali al bilancio di massa fornirà un vantaggio sleale alla pirolisi e alla gassificazione” rispetto al riciclo meccanico, afferma la lettera.
Questo rischio, avvertono le associazioni, vale a livello di prodotti e imprese come anche, se si considerano gli obiettivi europei di riciclo, a livello di Paese.
Fonte: Fonte: Zero Waste Europe (https://zerowasteeurope.eu/wp-content/uploads/2021/05/rpa_2021_mass_balance_booklet-2.pdf)Leggi anche: Che impatto ha il riciclo chimico? Il greenwashing si annida nei dettagli
Difendere i consumatori e gli obiettivi europei
Per questo motivo “non dovrebbero essere consentite dichiarazioni ai consumatori a livello di prodotto che utilizzino approcci al bilancio di massa diversi dall’allocazione proporzionale con una valutazione a livello di lotto, dalla segregazione e dalla miscelazione controllata”, leggiamo ancora nella lettera. Che, per spiegare le preoccupazioni dei firmatari, ricorda “un’indagine sulle aziende di abbigliamento H&M e Decathlon per dichiarazioni ecologiche ingannevoli che si è conclusa con l’accettazione da parte delle aziende di impegni vincolanti per modificare diverse pratiche commerciali: l’Autorità olandese per i consumatori e i mercati (ACM) – spiegano Zero Waste Europe, Greenpeace, EEB gli altri sostenitori dell’appello – ha sottolineato che uno dei problemi più importanti individuati era che le aziende davano l’impressione che i singoli prodotti fossero fabbricati con ‘cotone sostenibile’, mentre era ‘impossibile garantire che un singolo prodotto’ contenesse effettivamente cotone proveniente da fonti sostenibili”.
L’uso di regole di allocazione non proporzionali, secondo i firmatari dell’appello, “darà luogo a problemi equivalenti per quanto riguarda il contenuto riciclato nelle materie plastiche. Oltre a violare potenzialmente la legge sulla protezione dei consumatori, le dichiarazioni a livello di prodotto fatte sulla base di approcci flessibili al bilancio di massa rischiano di far perdere la fiducia nel riciclo e di compromettere la credibilità degli attori coinvolti”.
Non solo. La mancata definizione di regole adeguate per la catena di custodia “non consentirebbe di raggiungere gli obiettivi europei di neutralità del carbonio entro il 2050 e rallenterebbe i progressi verso la nuova normalità dell’economia circolare”.
Ha commentato Lauriane Veillard, di Zero Waste Europe: “Se le dichiarazioni ambientali che utilizzano il bilancio di massa si basano su approcci diversi dalla ripartizione proporzionale, le pratiche di greenwashing diventeranno la nuova norma nell’UE”. E chieda che l’atto di esecuzione “garantisca le stesse regole a sostegno di un approccio tecnologicamente neutrale, che sarà parte delle garanzie che porteranno all’utilizzo del sistema più efficiente e rispettoso dell’ambiente. Affinché il riciclo raggiunga il suo pieno potenziale, le indicazioni sul contenuto riciclato devono basarsi su modelli di catena di custodia trasparenti, equi e affidabili“.
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