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venerdì, Ottobre 4, 2024

Forum Disuguaglianze e Diversità: “Un futuro sostenibile è un futuro di pari opportunità”

La transizione ecologica muterà molti degli assetti lavorativi ed economici che conosciamo. Ma perché sia efficace le donne devono avere un ruolo centrale in questo cambiamento, a partire dal comprimere gli stereotipi di genere. Le riflessioni dell'evento del Forum Disuguaglianze e Diversità

Silvia Santucci
Silvia Santucci
Giornalista pubblicista, dal 2011 ha collaborato con diverse testate online della città dell’Aquila, seguendone le vicende post-sisma. Ha frequentato il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo ambientale “Laura Conti”. Ha lavorato come ufficio stampa e social media manager di diversi progetti, tra cui il progetto “Foresta Modello” dell’International Model Forest Network. Nel 2019 le viene assegnata una menzione speciale dalla giuria del premio giornalistico “Guido Polidoro”

Sradicare, per quanto possibile, gli stereotipi che permeano la nostra società è l’unico modo che abbiamo per portare avanti una transizione ecologica e digitale non solo equa e giusta ma anche efficace. È questa la linea su cui si è svolto l’evento “Alle radici delle disuguaglianze di genere: il ruolo degli stereotipi nelle transizioni”, organizzato dal gruppo di lavoro sui Goal 1 e 10 e dal Forum Disuguaglianze e Diversità con la collaborazione del Gruppo di lavoro sul Goal 5, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile di ASviS

Il convegno, tenutosi a Roma, ha intrecciato il tema degli stereotipi di genere con le diverse fasi di vita di una donna, e le transizioni digitale ed ecologica.

Di interconnessione tra questi temi, anche in merito agli obiettivi dell’agenda ONU, ha parlato Rosanna Oliva De Conciliis, Coordinatrice Goal 5. “Gli obiettivi – ha detto – hanno tutti bisogno di una visione di genere, senza cui non ci si rende conto di quella che è la realtà in tutti i campi: dalla pace alle disuguaglianze. Come gruppo di lavoro 5 ci rendiamo conto che un futuro sostenibile è un futuro di pari opportunità e anche in questo il ruolo delle donne è fondamentale, abbiamo approfondito queste questioni con i 41 aderenti del gruppo di lavoro che si riunisce quasi una volta ogni mese”.

Lasciare che, per questioni culturali, si perdano talenti e professionalità femminili non solo non permette alle donne di autodeterminarsi ma finisce per essere uno svantaggio per tutto il sistema.

Non utilizzare la competenza e la progettualità delle donne – sottolinea Oliva De Conciliis è un comportamento miope e dannoso perché priva la società di una leva di sviluppo economico e produce risultati non ottimali in quanto non rappresentativi della società e quindi non idonei a soddisfarne le diverse esigenze e le legittime aspettative”.

In Italia circa metà delle donne non lavorano 

D’altronde per quel che riguarda l’accesso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro la situazione è molto critica. L’obiettivo 8.5 dell’Agenda Onu 2030 ci chiede di “raggiungere la piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti (donne, uomini, giovani, disabili) e la parità di retribuzione per lavoro di pari valore” ma siamo ancora lontani da questo obiettivo. 

Come riportato da Linda Laura Sabbadini, direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica ISTAT nel corso dell’evento: “I numeri ci dicono che la situazione delle donne nel mondo del lavoro è particolarmente arretrata: metà delle donne non lavorano e l’obiettivo europeo era il 60% dell’occupazione femminile per il 2010 e neanche le regioni ricche del Paese (Trentino alto Adige o Emilia Romagna) hanno raggiunto quell’obiettivo nel 2010, lo stanno raggiungendo solo ora”. Si tratta dunque di un problema sistemico che, in misura diversa, riguarda tutto il Paese: secondo gli ultimi dati dell‘indice elaborato dall’agenzia europea per l’uguaglianza di genere EIGE l’Italia è l’ultimo paese europeo quando parliamo di lavoro delle donne.

Leggi anche: Sviluppo sostenibile e uguaglianza di genere: donne lontane dai traguardi in vista del 2030

Cosa sono gli stereotipi?

Ma cos’è uno stereotipo di genere? Come ha spiegato Lella Palladino, Fondatrice cooperativa E.V.A. e Assemblea ForumDD, “È quel meccanismo di categorizzazione al quale si ricorre per interpretare elaborare, decodificare, ristrutturare la rappresentazione di ciò che è maschile e femminile sorretto dall’idea diffusa che uomini e donne possiedono patrimoni di caratteristiche al di là del patrimonio biologico (alla nascita, ndr)”.

Inoltre, come sottolineato anche da Linda Laura Sabbadini, gli stereotipi sono dei processi cognitivi automatici ma in gran parte, secondo gli psicologi sociali, sono inconsapevoli. “È quindi impossibile eliminare gli stereotipi – ha detto Sabbadini – ma possiamo darci l’obiettivo di comprimere la parte involontaria e inconscia attraverso una crescita della consapevolezza e della presa di coscienza collettiva.

Portare avanti una serie di stereotipi legate alle questioni di genere è una pratica semplice ma funzionale ad un sistema patriarcale perché cristallizza la condizione delle donne e rende vano qualsiasi tentativo di cambiamento o fa sì che, anche a partire da condizioni di base differenti – come un maggior accesso delle donne al mondo del lavoro – le donne siano incasellate sempre negli stessi ruoli di cura o che la cura venga affidata ad altre donne, spesso migranti o provenienti da altri Paesi.

“Gli stereotipi – aggiunge Sabbadini – colpiscono di più le donne con basso titolo di studio, che vivono in situazioni più svantaggiate delle altre, che hanno anche meno strumenti per riscattarsi, liberarsi da questi stereotipi”. 

È necessario dunque dotarsi di una serie di strumenti per raggiungere questo obiettivo e, in questo senso, sarebbe utile formare adeguatamente insegnanti, psicologi e psicologhe e persone che lavorano nei media, per interrompere questo loop culturale che permette, di fatto, che si ripetano sempre gli stessi schemi oppressivi nei confronti delle donne.

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Giustizia climatica tra stereotipi di genere e lavoro di cura

All’interno dell’evento è stato dedicato un panel specifico alla giustizia ambientale in relazione agli stereotipi di genere.

Annalisa Corrado, ingegnera, ecologista e autrice, ha sottolineato la necessità di un approccio sistemico necessario per governare una crisi sistemica che non è solo ambientale ma anche sociale e geopolitica. “Le donne – ha affermato – storicamente sono state relegate a piccoli ruoli in piccoli nuclei, come la famiglia o al massimo la comunità territoriale, con la palla al piede del fatto che noi sappiamo fare bene la cura, che ci occupiamo delle fragilità, dei piccoli, degli anziani. Con questa storia ci hanno tenute lì: di un’abitudine innegabile abbiamo fatto un’attitudine. Quanto meno, però, questa capacità di tenere tutto insieme, di guardare la velocità che assumono nel camminare i più fragili l’abbiamo dovuta imparare obtorto collo. Quello che però i potenti hanno sbagliato è che questo tipo di atteggiamento è ciò che serve adesso come il pane per risolvere questa crisi sistemica. Cioè la cura che noi abbiamo interiorizzato è la stessa che si dovrebbe tenere alla guida di un’azienda, di un territorio o di un Paese o nelle decisioni internazionali.

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Green jobs e occupazione femminile

“Non si può parlare di una giustizia climatica – ha detto Simona Fabiani, Responsabile delle politiche per il clima, il territorio e l’ambiente, trasformazione green e giusta transizione Cgil nazionale – se contemporaneamente non vengono raggiunti quelli che sono gli altri obiettivi l’equità di genere, la pace, la piena occupazione. Il cambiamento che ci richiede la transizione ecologica anche dal punto di vista del mercato del lavoro è un cambiamento radicale, dove ci saranno molti lavori di cura che dovranno svilupparsi, che devono però essere lavori di tutti”. 

Le donne sono infatti maggiormente colpite dagli effetti negativi del lavoro precario, stagionale e irregolare. Basti pensare che secondo il Gender Policies Report dell’Inapp relativo a dicembre 2022, di tutte le trasformazioni di contratti femminili è a part time il 54% contro il 23% di quelli maschili

“Quando si parla di transizione ecologica – conclude Fabiani – è importante anche mettere in atto tutte quelle azioni di adattamento che puntano anche alla piena occupazione e alla parità di genere. Su questo si può anche fare tanto, è stato fatto un tentativo che è quello della trasversalità dell’occupazione e della parità di genere giovanile e per persone con disabilità in tutte le missioni. Il problema è che sono presenti due punti, a mio avviso, molto critici: il primo è quello che poi nelle linee guida nella creazione di questo impegno, sono previste delle deroghe che si applicano facilmente, basta dire ai giovani che non ci sono persone con sufficiente esperienza. L’altro punto critico è quello dei servizi sociali che non ci sono: il taglio continuo al welfare, il fatto che nello stesso PNRR uno degli obiettivi più difficili da raggiungere sia quello degli asili nido e dell’infanzia ci danno il segno di quanto poi quelli che sono stereotipi vengono rafforzati da uno stato sociale che non esiste, che è sempre più messo in discussione e quindi fatto impediscono sempre di più alle donne di avere un accesso anche continuativo al mercato del lavoro”.

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