Quante attività iscritte al bilancio degli istituti di credito sono coerenti con la tassonomia europea delle attività economiche sostenibili rispetto al totale delle operazioni? Una domanda che si fanno in tanti nell’era della crisi climatica e ambientale, perché il rischio che le banche mettano in vetrina le attività sostenibili e nascondano nel cassetto il sostegno alle fossili è alto.
Ora però possiamo contare su uno strumento che, a partire dal primo gennaio 2024, renderà più ingaggiante la corsa delle banche europee agli investimenti sostenibili. Gli istituti di credito, infatti, dovranno avere un GAR “alto” se vorranno attrarre clienti e investitori attenti alla sostenibilità. Ma cos’è il GAR? Sigla di “Green Asset Ratio”, sarà il principale indicatore che le banche dovranno utilizzare per comunicare l’allineamento delle loro attività alla tassonomia UE: non è altro che il rapporto tra le attività complessive della banca e quelle da ritenere sostenibili. Ma facciamo un passo indietro: perché le banche dovranno rendicontare quante e quali delle loro attività sono sostenibili?
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Misurare l’esposizione al rischio climatici e ambientale
Dal 2020, con l’approvazione della tassonomia europea da parte del Parlamento europeo come parte della strategia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030, le banche sono molto prudenti nell’erogare finanziamenti a imprese poco attente al loro impatto ambientale. Il “Regolamento Delegato” (n. 2021/2178), che ha integrato il regolamento sulla tassonomia, all’art. 8 specifica i contenuti e le modalità di comunicazione degli obblighi di rendicontazione che le imprese devono pubblicare in merito alla quota di attività economiche ecosostenibili. Il Regolamento Delegato ha definito degli indicatori di performance, detti KPI (Key Performance Indicators), variabili a seconda della tipologia di impresa su cui la rendicontazione deve basarsi.
Tra questi indicatori c’è il GAR, che si pone l’obiettivo di offrire una fotografia del livello di esposizione ai rischi climatici e ambientali della banca e quindi il livello di impegno che la banca mette per affrontare la crisi climatica e ambientale. In questo modo le banche saranno incoraggiate a offrire condizioni più convenienti alle aziende più sostenibili e investitori e clienti potranno valutare l’affidabilità di un istituto di credito anche prendendo in considerazione il suo impatto sull’ambiente.
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L’altra faccia dell’indicatore
In generale, la diffusione della misurazione delle performance di sostenibilità è vantaggiosa perché offre una terminologia comune che rende le informazioni fruibili, trasparenti e comparabili e riduce il rischio di greenwashing, in quanto si focalizza su una misurazione degli impatti tecnica e standardizzata. Quella del GAR però è una notizia incoraggiante solo a metà, perché diverse deroghe e via di fuga permettono di mostrarsi più sostenibili senza realmente esserlo. Infatti, l’esclusione di alcuni settori, la determinazione del perimetro e il necessario utilizzo di stime nella determinazione del GAR rischiano di minare l’efficacia dell’indicatore. Andiamo con ordine.
Il GAR si basa sulle attività sostenibili definite secondo la tassonomia UE che, di per sé, non copre ancora tutti i settori economici né tutti gli obiettivi ambientali. Inoltre, dal GAR sono al momento esclusi i titoli sovrani, gran parte delle esposizioni del settore pubblico, le esposizioni volatili e quelle a breve termine. Il grande assente saranno le esposizioni della banca verso le imprese che per legge non devono pubblicare la dichiarazione non finanziaria (DNF), ovvero la maggior parte delle imprese, dal momento che a redigere la DNF sono obbligati soltanto gli enti di interesse pubblico, come banche o assicurazioni, a prescindere dalla dimensione, e le aziende quotate con almeno 500 dipendenti e un bilancio consolidato con un attivo superiore a 20 milioni di euro o ricavi netti superiori a 40 milioni di euro. Questo, solo in parte, sarà arginato dall’applicazione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) che estende gli obblighi informativi a una platea più ampia di imprese.
Per giunta, poi, saranno anche le banche stesse, senza troppi sforzi, a decidere di non includere ciò che abbasserebbe il loro GAR: infatti potrebbe verosimilmente accadere che le banche scelgano di “spostare” attività meno sostenibili al di fuori del perimetro di rendicontazione, riuscendo così ad alzare il proprio GAR senza realmente finanziare imprese e attività con un minore impatto sull’ambiente.
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Il dilemma dell’affidabilità dei dati
Altro punto certamente critico e difficilmente arginabile è quello relativo all’affidabilità dei dati e al loro reperimento. Le banche si affideranno ai loro clienti per ricevere dati che saranno in buona parte frutto di stime e approssimazione: se infatti la normativa non impone effettivamente a tutte le imprese, a prescindere da dimensione e fatturato, di monitorare e comunicare il proprio impatto ambientale, ovvero redigere la DNF, queste potrebbero fornire dati approssimativi o peggio non essere più finanziate, non per un reale maggiore impatto sull’ambiente ma per la sola mancanza di monitoraggio dei dati a riguardo. E qui vale la pena sottolineare che il contributo delle banche alle politiche ambientali deve essere quello di finanziare non solo un’economia sostenibile, ma il processo stesso di transizione verso un’economia green. Il tema dell’approssimazione, poi, diventa tanto più nevralgico quanto la banca intrattiene relazioni con imprese al di fuori dell’Unione Europea.
Il GAR, dunque, è un modello in astratto adeguato a dare centralità alla lotta alla crisi ambientale e climatica, ma la sua applicazione nel concreto non potrà essere realmente efficace se banche e imprese non metteranno in campo un atteggiamento realmente coerente e responsabile. E per raggiungere questo risultato sarà fondamentale accompagnare le imprese nell’adozione delle nuove condotte promosse dai cambiamenti normativi.
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