[di Paola Ferrara]
Una casa si può costruire o ristrutturare in modo circolare: fa bene alla salute, all’ambiente e all’umore, per riscoprire un sapere che abbiamo dentro ma che abbiamo coperto di detriti
Sinossi
Perché alla casa, rifugio dei nostri affetti e luogo di benessere primario, non dedichiamo l’attenzione che diamo al nostro corpo? Forse perché non siamo consapevoli che sia i materiali usati per costruirla o ristrutturarla sia l’arredo possono portare beneficio o danno alla nostra salute. E così, anche nell’affrontare una spesa importante come la casa, siamo abituati a cercare il costo minore, ad usare il materiale meno performante – nella durata e nell’impatto su ambiente e salute – che però garantiscono un capitolato competitivo. L’automaticità di alcuni gesti, dall’usa e getta all’acquisto compulsivo online e la visione di breve periodo guidano, sempre più spesso, il nostro stile di vita, dove il risparmio rischia di essere l’unico valore considerato. Ecosmorzo svela alcuni punti oscuri dell’evoluzione dei materiali usati in edilizia, aiuta a riscoprire un gusto antico nell’immaginarsi una casa, quasi uno slow build&renovate, portando in cantiere elementi concreti quali l’uso di materiali ecologici e non tossici per la salute di chi ci lavora e di chi ci abita, la cultura del riuso e del vintage, il piacere di circondarsi di natura anche in casa.
Ecosmorzo è un progetto culturale prima di essere commerciale, la vendita dei prodotti è lo strumento per riscoprire un sapere che abbiamo dentro ma che abbiamo coperto di detriti.
Cosa fosse lo smorzo l’ho dovuto chiedere al vocabolario: “dall’uso di smorzare come atto di spegnimento della calce”. E poi, per fortuna aggiunge, per i non romani come me che “a Roma è così chiamato il luogo dove si vendono i materiali edilizi più comuni – calce, mattoni, cemento, vernici”.
Arrivo a Ecosmorzo con un’idea più precisa.
Sembra di entrare in un laboratorio teatrale: sulla parete opposta alla porta d’ingresso, domina il disegno di centinaia di case di ogni colore; a ridosso, un tavolo con matite, fogli, strisce di carta da parati. A sinistra ci sono scaffali pieni di prodotti etichettati; a destra file di barattoli trasparenti con polveri rosse, verdi, gialle, blu. In un lavandino di marmo beige incrostato di tinte, come le scodelle dei bambini a scuola nell’ora di arte, si vedono dei bastoncini, intrisi di vernice fino a metà. Un altro paio di tavoli, altrettanto artisticamente disordinati, riempiono la grande stanza.
Mi aspetto che da un momento all’altro entrino i personaggi. Invece Paola e Carla si affrettano a spiegare che si sono trasferite lì da poco, c’è il disordine del nuovo corso. Leggo le etichette dei prodotti che stanno sistemando: vernici naturali, biosmalti, calci traspiranti ma anche ecoprodotti per l’igiene personale e della casa.
Paola e Carla sono architetti, si sono laureate all’inizio del 2000 a Roma. Gli studi li avevano scelti già con quella passione dentro, volevano usare buon senso e rispetto, per le persone e l’ambiente. In barba a tutti quelli che dicevano (e ancora dicono) che l’architetto non si fa così. “Non siamo noi ad essere strane; in ogni professione occorre farsi domande, avere dubbi. Nel nostro mestiere è necessario saper leggere con lenti diverse, capire il ciclo di vita per poterlo preservare. Noi abbiamo sempre in mente che svolgiamo un servizio per il cliente ma anche per il mondo intero”, dice Carla. La tesi di laurea è stata, per entrambe, sperimentale: hanno simulato la costruzione di un quartiere, con case e servizi, usando tecniche di bioarchitettura.
Tenacia, sensibilità e intraprendenza le hanno portate ad aprire nel 2006 questo smorzo, dove l’economia circolare è di casa.
“Ecosmorzo è l’unico spaccio di questo tipo a Roma, forse qualche esperienza simile si trova nel Nord; sicuramente si tratta di una pratica più diffusa oltre le frontiere italiane. Noi siamo convinte che costruire o ristrutturare una casa possa essere circolare. L’uso di materiali e prodotti, di tecniche e soluzioni d’arredo fino all’impiantistica sono pezzi di un percorso che, pensato con armonia e rispetto per ambiente e persone, si compone in modo virtuoso. Offriamo soluzioni chiavi in mano, garantendo la salubrità della casa, l’utilizzo di materiali naturali, il riuso intelligente di quello che troppo spesso viene buttato via”.
“Niente di nuovo, così vivevano i nostri nonni, prima non si buttava via niente. Anche chi produceva manufatti, lo faceva pensando alla resistenza nel tempo non alla discarica”.
Parlano a staffetta Paola e Carla, l’intesa è evidente.
“È l’economia del buon senso, dell’attenzione e del risparmio. È un modo di vivere le cose, di pensarle, di usarle e non considerarle rifiuto non appena perdono lo smalto della novità. Oggi prevale la cultura dell’usa e getta, una cultura figlia del benessere raggiunto con tanta fatica e che stiamo consumando troppo in fretta”.
L’inizio
“Dopo la laurea abbiamo lavorato in diversi cantieri. Ambienti difficili per le donne: le maestranze sono poco illuminate, spesso non conoscono il mestiere (vince il prezzo più basso non la competenza), il linguaggio è volgare oppure si parlano altre lingue e non ci si capisce. Negli anni poi è aumentata l’aggressività di segno maschilista, c’è prepotenza”.
“La bioarchitettura è sempre stata la nostra stella cometa. Ci è venuto in mente di provare a promuoverla partendo dalla vendita dei prodotti solo certificati ed ecocompatibili. Andiamo di persona presso i produttori, perché per noi la filiera è importante. Studiamo le schede tecniche e poi verifichiamo compatibilità e veridicità delle informazioni. Facciamo un’analisi di mercato e della catena di fornitura molto seria. Ma non siamo opinionisti. Visitiamo anche le aziende che producono i materiali che escludiamo, perché bisogna conoscerli per giustificare la scelta di non usarli. Tante volte costatiamo che viene cambiato il colore dei sacchetti – dietro input del settore marketing – per poter rimettere sul mercato lo stesso prodotto come fosse nuovo e più ecologico. I nostri fornitori sono piccole imprese italiane, di solito a conduzione familiare. Si tratta a volte d’imprese che, figlie dell’avvento della petrolchimica, si sono poi convertite all’uso di materie prime e seconde naturali; si tratta di realtà molto competenti e resilienti – il mercato dei prodotti naturali non è ancora redditizio”.
Guarire dalla petrolchimica
“Il mercato dell’edilizia è un mercato enorme, fonte di cospicui fatturati. Le grandi aziende da più di vent’anni spendono milioni nella ricerca di nuovi prodotti e dominano il mercato con materiali economici, costruiti in laboratorio, tutti provenienti dal petrolio e da derivati chimici. Un bisogno puramente indotto perché si è costruito per millenni molto bene senza!” “Quello che hanno edificato i Romani, in calce idraulica, è ancora in piedi mentre ci tocca testimoniare, non di rado, che le costruzioni moderne sono molto più fragili”.
“Mancano le maestranze nate con la calce, quelle che sapevano fare la pittura con le uova e la caseina. Oggi il cemento viene usato dovunque e alimenta un mercato poco chiaro perché è un materiale che brucia a oltre 1500° e per questo negli inceneritori ci finiscono tante altre cose (rifiuti in primis). La calce invece brucia a soli 900°, non permettendo quindi la promiscuità di materiali; fino agli anni ’70 era l’unico materiale usato in edilizia”.
Come la differenza che c’è tra un ciambellone fatto in casa e le merendine con i conservanti.
“L’avvento della petrolchimica ha inquinato il settore. L’ingresso di questo materiale nelle case (e nella testa) delle persone è stato irreversibile. Naturalmente si tratta di un materiale importante, ha permesso progressi in tanti settori – penso all’uso per protesi oppure per interventi chirurgici salvavita. Come tutte le invenzioni però servirebbe maggior senso critico, lungimiranza e attenzione prima di trasformare in soluzione universale un prodotto di cui non sono state affrontate tutte le criticità”.
Condannati a smaltire
“Gli esempi da fare sono infiniti: noi usiamo la lana di pecora per l’isolamento invece della lana di vetro, che è molto pericolosa per chi lavora ed è molto energivora; e consigliamo il sughero. Per non parlare degli infissi di legno che da qualche anno vengono sostituiti con PVC. Nei cantieri viene incentivata la sostituzione del legno: siamo disposti a barattare il fastidio di una semplice manutenzione – da fare semplicemente con una vernice per proteggerlo dall’erosione del sole – con l’invasione di plastica che promette anni di resistenza senza bisogno di cure. Poi si butta. E si ricomincia. Oggi non ci pensiamo ma smaltire le tonnellate di PVC di cui stiamo riempiendo le nostre case, sarà presto una nuova emergenza ambientale. E avremo un problema di smaltimento anche con la resina, un prodotto presentato come indistruttibile, bello ed economico e per il quale noi intravediamo un rischio come per l’amianto. L’eternit era un materiale di cui non si poteva fare a meno e oggi ne paghiamo le conseguenze, sulla salute e sull’ambiente. Anche la resina è pericolosa per chi la posa e, nel tempo, rilascia tossicità”.
“Stesso discorso si può fare sui pavimenti. Noi consigliamo il recupero dei materiali e di coprire le maioliche se il gusto è cambiato”. Che poi un giorno, si sa, riscopriamo il passato: lo chiamiamo vintage, quel sapore di antico di cui si nutre la nostra memoria.
“Oltre a cemento, resina e PVC, non usiamo smalti all’acqua, per esempio. Per questi ultimi è una fatica far capire il perché. Come spiegare che un prodotto all’acqua non è naturale? Eppure questi smalti sono pieni di additivi chimici perché l’acqua ferma marcisce e occorre uccidere i batteri (soprattutto l’alga) che vi si formano”.
Si dice che la bioarchitettura replicherà la curva crescente dell’alimentazione biologica; ma forse non sarà proprio così perché il cibo è da tutti associato alla salute mentre come arrediamo e costruiamo la casa no.
A proposito di salute
Negli ultimi anni sono aumentate le patologie dovute alla sindrome da sensibilità chimica multipla. Le persone hanno malesseri difficilmente riconducibili ad una diagnosi certa ma si è riscontrato che migliorano se portate fuori dall’ambiente in cui vivono. Si tratta di un’ipersensibilità che affligge già il 4% della popolazione mondiale.
“Al Policlinico di Roma, qualche anno fa, affidarono a un medico, che ne studiava l’insorgenza, un reparto per curare questa sindrome; lui ci chiamò per ristrutturare e arredare gli ambienti senza materiali tossici. Poi gli tagliarono i fondi e ha lasciato l’Italia. Ora fa ricerca in Germania”.
“Sempre più spesso arrivano persone a informarsi su come rendere più sano l’ambiente casalingo; sono soprattutto privati che s’informano autonomamente e poi cercano i professionisti che possano lavorare in modo diverso; pochi gli architetti, perché diffidenti o forse pigri o disattenti”.
Smorzare la disattenzione
A Ecosmorzo entri per capire; ti prendi il tempo di conversare e di riflettere. Una rarità di questi tempi.
Il vocabolario dice anche che lo smorzatore è il dispositivo del pianoforte per attutire i suoni: “armeggiava colle belle manine sui tasti d’avorio, mettendo lo smorzatore intanto che ricamava dei gorgheggi”.
Andando via penso che Paola e Carla stanno smorzando gli effetti negativi, sulla salute delle persone e su quella del pianeta, della nostra superficialità e per questo ti fanno venir voglia di avere una casa da mettere a posto.