Nel “general approach”, la posizione negoziale del Consiglio dell’Unione europea sulla proposta di revisione della direttiva rifiuti, i ministri dell’ambiente europei fanno un passo indietro rispetto agli obiettivi più ambiziosi proposti dall’Europarlamento. Nel testo approvato lunedì scorso, 17 giugno, si allineano infatti a quanto stabilito nella proposta della Commissione, con in più un pizzico di flessibilità.
Per Alain Maron, ministro dell’ambiente del governo belga (presidente di turno del Consiglio), “l’accordo rappresenta un passo fondamentale verso un’economia europea più sostenibile e circolare”. Il testo approvato, secondo il Commissario all’ambiente Virginijus Sinkevičius, “è ben bilanciato e conserva in gran parte lo spirito della proposta della Commissione”.
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Il contesto
Ogni anno nell’UE vengono generati oltre 58 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (131 kg per abitante), che rappresentano una perdita stimata di 132 miliardi di euro. E che valgono circa il 16% delle emissioni totali di gas serra prodotte dal sistema alimentare dell’UE.
Con il lancio del Green Deal per l’Europa nel dicembre 2019, l’UE ha ribadito la propria determinazione a dimezzare la quantità di rifiuti alimentari pro capite, sia a livello di distribuzione che di consumo, entro il 2030, in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite.
L’UE genera anche 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili all’anno. L’abbigliamento e le calzature da soli rappresentano 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti, pari a 12 kg di rifiuti per persona ogni anno. Attualmente, solo il 22% di questi rifiuti viene raccolto separatamente per essere riutilizzato o riciclato, mentre il resto viene spesso incenerito o messo in discarica.
Il 5 luglio 2023 la Commissione europea ha presentato una proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti, rivolta in particolare ai settori alimentare e tessile. L’obiettivo generale della proposta è ridurre gli impatti ambientali e climatici associati alla produzione e alla gestione dei rifiuti tessili e alimentari.
Riduzione degli scarti alimentari
L’Europarlamento, nel voto della plenaria di marzo, aveva provato a rendere più ambizioso il testo presentato dalla Commissione del luglio 2023: almeno il 20% di riduzione dei rifiuti da raggiungere a livello nazionale entro il 31 dicembre 2030 nella trasformazione e produzione alimentare (invece del 10% proposto dalla Commissione) e il 40% pro capite nella vendita al dettaglio, nei ristoranti, nei servizi alimentari e nelle famiglie (invece del 30%). I ministri europei dell’ambiente tornano invece agli obiettivi proposti dall’esecutivo: 10% nella trasformazione e produzione e 30% nel retail e nelle famiglie.
“L’approccio generale concorda con gli obiettivi proposti dalla Commissione e – aggiunge la nota stampa del Consiglio – prevede la possibilità di fissare obiettivi per gli alimenti commestibili entro il 31 dicembre 2027, quando la Commissione riesaminerà gli obiettivi per il 2030”.
I ministri europei, come accennato, propongono di aggiungere maggiore flessibilità. Se la Commissione fissava il 2020 come anno di riferimento a partire dal quale misurare la revisione (perché solo da allora sono disponibili dati europei affidabili) il Consiglio chiede che agli Stati membri sia consentito utilizzare “un anno di riferimento precedente al 2020, se a livello nazionale sono stati adottati metodi di raccolta dati adeguati”. Ma si potrà fa riferimento anche ad anni successivi (“il 2021, il 2022 o il 2023 poiché i dati del 2020 potrebbero in alcuni casi non essere rappresentativi a causa della pandemia COVID-19”. E poi ci sono anche i fattori correttivi: “I ministri hanno inoltre concordato sulla necessità di sviluppare fattori di correzione per tenere conto delle fluttuazioni del turismo e dei livelli di produzione nella lavorazione e nella produzione alimentare rispetto all’anno di riferimento”.
Non tutti i rappresentati dei Paesi sono d’accordo con la mediazione raggiunta .”Avremmo preferito qualcosa di più ambizioso”, ha dichiarato Steffi Lemke, ministro dell’Ambiente tedesco, come riporta Euractive. In Germania, la legge prevede una riduzione dei rifiuti del 35% per tutti i settori entro il 2025.
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Rifiuti tessili
La proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti prevede schemi armonizzati di responsabilità estesa del produttore (EPR) che impongono ai marchi di moda e ai produttori tessili di pagare tasse per contribuire a finanziare i costi di raccolta e trattamento dei rifiuti tessili. Questi schemi saranno istituiti fino a 30 mesi (il Parlamento ha proposto 18) dopo l’entrata in vigore della direttiva. I ministri hanno deciso di includere le microimprese nel loro campo di applicazione dell’EPR.
“Il livello di tali tasse – spiega il Consiglio – sarà basato (come da testo della Commissione, ndr) sulla circolarità e sulle prestazioni ambientali dei prodotti tessili (la cosiddetta eco-modulazione). Poiché la prevenzione dei rifiuti è l’opzione migliore, l’approccio generale prevede che gli Stati membri possano richiedere tasse più elevate per le aziende che seguono pratiche industriali e commerciali fast fashion”.
L’approccio generale contiene anche disposizioni specifiche per gli Stati membri in cui è forte l’economia del riutilizzo dei prodotti tessili. Come già la Commissione, l’approccio generale “riconosce il ruolo chiave degli enti dell’economia sociale (compresi enti di beneficenza, imprese sociali e fondazioni) nei sistemi di raccolta dei tessili esistenti”. Secondo la posizione del Consiglio, gli Stati membri possono esentarli da alcuni obblighi di rendicontazione per evitare oneri amministrativi sproporzionati. Tuttavia, questi Stati membri “possono chiedere agli operatori commerciali del riutilizzo di pagare una tassa (più bassa) quando rendono disponibili questi prodotti sul loro mercato per la prima volta”.
Le reazioni
“Sarà più facile responsabilizzare i giganti dell’abbigliamento e lavorare per ottenere modelli commerciali più adeguati – sottolinea Theresa Mörsen, Responsabile delle politiche in materia di rifiuti e risorse di Zero Waste Europe (ZWE)– ma è inaccettabile che la Presidenza abbia proposto di estendere il periodo di recepimento da 18 a 24 mesi. Questa proroga fa perdere tempo prezioso, dando di fatto via libera agli inquinatori”. Mentre Janek Vähk, Responsabile delle politiche per l’inquinamento zero di ZWE ricorda che di recente il JRC ha pubblicato uno studio che dimostra che il 78% dei rifiuti tessili post-consumo non viene raccolto separatamente e finisce incenerito o messo in discarica: “I costi associati all’estrazione dei prodotti tessili dai rifiuti misti e al loro riciclaggio devono essere coperti dalle tasse EPR in tutti gli Stati. Si tratta di un aspetto cruciale”. La cattiva gestione di questi rifiuti “danneggia l’ambiente, provoca eccessive emissioni di gas serra, l’utilizzo di acqua, l’inquinamento e l’inutile utilizzo del suolo. Il Consiglio non ha affrontato questo problema, mentre la posizione del Parlamento è molto più forte a questo proposito, in quanto sollecita gli Stati membri a implementare sistemi di selezione dei rifiuti per tutti i rifiuti urbani misti”.
La decisione del Consiglio di mantenere tutte le disposizioni specifiche relative all’economia sociale contenute nella proposta originale della Commissione europea è “estremamente positiva”, secondo RREUSE, la più grande rete di imprese sociali attive nel settore del riuso, della riparazione e del riciclo. L’Approccio generale del Consiglio “prende anche una posizione più forte contro il fast faschio. Le pratiche di produzione – compresa la quantità di abiti immessi sul mercato o la frequenza di rinnovo delle collezioni tessili – sono previste come criterio per l’ecomodulazione della tassa sulla responsabilità estesa del produttore (EPR). Questo potrebbe servire da potente incentivo economico per ridurre la sovrapproduzione e promuovere pratiche più sostenibili nell’industria tessile”. Ma c’è un problema: “Siamo molto preoccupati per una disposizione che consente agli Stati membri di imporre tasse EPR agli attori dell’economia sociale impegnati nel riutilizzo dei tessuti. Sebbene la disposizione sia volontaria e il contributo sia inferiore a quello richiesto ai produttori, essa contraddice i principi di copertura dei costi e ‘chi inquina paga’ che dovrebbero essere alla base di tutti i sistemi EPR. Invece di ricevere un sostegno finanziario per le loro attività di riutilizzo, le imprese sociali sarebbero costrette a pagare contributi per abiti che non hanno prodotto”.
Quanto alla questione sprechi alimentari, Mörsen di ZWE invece non nasconde la delusione: “Devo sinceramente interrogarmi sull’impegno di molti Stati membri ad agire con decisione sul cambiamento climatico. Non agire sulla riduzione degli sprechi alimentari è in contraddizione con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”.
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I prossimi passi
L’orientamento generale del Consiglio consente alla Presidenza di turno di avviare i colloqui con il Parlamento europeo sul testo finale, che si svolgeranno nell’ambito del nuovo ciclo legislativo. Il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione nel marzo 2024.
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