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sabato, Dicembre 21, 2024

Cemento riciclato e a basse emissioni: l’università di Cambridge è riuscita nell’impresa

Le ricercatrici e i ricercatori dell’università britannica hanno trovato un modo per integrare i processi di riciclo di cemento e acciaio per produrre nuovo cemento con un ridotto impatto ambientale. Un esempio avanzato di economia circolare che potrebbe rivoluzionare il settore dell’edilizia. Ecco come funziona

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Mettere insieme due processi industriali con un impatto ambientale molto elevato come la produzione del cemento e dell’acciaio, utilizzando materiali riciclati per ridurre le emissioni: dal Regno Unito arriva un innovativo e sofisticato esempio di economia circolare, che le ricercatrici e  i ricercatori dell’università di Cambridge definiscono “miracoloso”. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature e hanno sollevato l’interesse in tutto il pianeta.

Avere a disposizione un cemento a basso livello di carbonio incorporato, riciclato, ottenuto usando solo energie pulite, adottabile su scala industriale e con costi ridotti può essere in effetti la killer application, la tecnologia rivoluzionaria, per decarbonizzare l’edilizia e valorizzare cemento ed acciaio riciclato. Il metodo di produzione del cemento proposto dalle ricercatrici e dai ricercatori di Cambridge, infatti, si inserisce nel processo di produzione dell’acciaio riciclato e usa i tipici forni elettrici ad arco impiegati in questa industria.

Naturalmente, però, il riciclo per avere un effetto positivo sull’ambiente deve essere affiancato alla riduzione dei consumi. “Produrre cemento a emissioni zero è un miracolo assoluto, ma dobbiamo anche ridurre la quantità di cemento e di calcestruzzo che utilizziamo”, riconosce Julian Allwood, uno degli autori dello studio. “Il calcestruzzo è economico, resistente e può essere prodotto quasi ovunque, ma ne usiamo davvero troppo. Potremmo ridurne drasticamente la quantità che utilizziamo senza diminuire la sicurezza, ma è necessaria la volontà politica di farlo”.

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Perché il cemento genera tante emissioni: tutta colpa del clinker

Secondo le stime citate dalla ricerca dell’università di Cambridge, circa il 7,5% delle attuali emissioni antropiche di anidride carbonica deriva dalla produzione di cemento, mentre la produzione di acciaio contribuisce di almeno il 6%. Il calcestruzzo è composto da sabbia, ghiaia, acqua e cemento, che funge da legante. Sebbene rappresenti una piccola parte di questo mix, il cemento è responsabile di quasi il 90% delle emissioni di calcestruzzo.

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Intorno al 40% delle emissioni di anidride carbonica del cemento è generato durante la combustione necessaria per riscaldare il calcare e l’argilla a 1.450 °C, allo scopo di ottenere il clinker, componente essenziale del cemento Portland. Il restante 60% proviene dalla reazione chimica di decarbonatazione del calcare, anch’essa destinata alla produzione di clinker. Entrambe le fonti di emissione risultano assai complesse da ridurre: elettrificare questi processi ad altissima temperatura non è semplice e in natura non esiste una fonte naturale di calcio non carbonato disponibile in quantità sufficienti.

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I problemi nel ridurre le emissioni e la soluzione di Cambridge

Finora le due principali strategie per ridurre le emissioni nella produzione di cemento Portland hanno incluso l’impiego di combustibili alternativi al coke e petcoke, come i rifiuti urbani e i biocarburanti, e la sostituzione del clinker con materiali come le scorie di altoforno e le ceneri volanti. Tuttavia queste soluzioni non sono sufficienti per raggiungere le emissioni zero. Inoltre i due materiali sostitutivi più utilizzati, le scorie di altoforno granulate e le ceneri volanti, sono sottoprodotti della produzione di acciaio e delle centrali elettriche a carbone. Si tratta di due settori ad elevate emissioni incompatibili con la transizione energetica, dunque anche l’approvvigionamento di questi materiali sarà destinato a diminuire in futuro.

Ecco perché la soluzione delle ricercatrici e dei ricercatori britannici appare con un elevato potenziale. Per abbattere la prima causa di emissioni del cemento, legate alla fase di riscaldamento di calcare e argilla a 1.450 °C, si utilizza un forno elettrico ad arco. Di per sé richiederebbe temperature ancora più elevate, ma è possibile ricavare l’elettricità da fonti di energia rinnovabili e dunque l’impatto è molto inferiore rispetto ai tradizionali forni da cemento. Le emissioni prodotte durante la decarbonatazione del calcare sono invece eliminate utilizzando cemento riciclato perché questo processo chimico è già avvenuto per realizzare il cemento originario e non c’è bisogno di replicarlo.

Nel nuovo processo la polvere di cemento viene estratta dal calcestruzzo dismesso, meccanicamente o tramite riscaldamento. La polvere è successivamente utilizzata nel processo di riciclo dei rottami d’acciaio, che utilizza un forno elettrico ad arco per fondere il materiale. Il cemento svolge la funzione di materiale fluidificante per eliminare le impurità (fosforo, zolfo, silicio) dal metallo fuso e forma una scoria galleggiante sulla superficie dell’acciaio liquido. Una volta rimosso l’acciaio fuso, le scorie si raffreddano rapidamente all’aria e vengono ridotte in una polvere praticamente identica al clinker, che viene utilizzata per produrre nuovo cemento.

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Gli ostacoli al cemento “green”: costi e scala industriale

I tentativi di avere un cemento più sostenibile sono quasi sempre falliti perché non è stato possibile abbattere gli alti costi di produzione della versione “green” e non si è riusciti ad adottare la tecnologia su scala industriale. Poiché il calcestruzzo è un materiale economico, i costruttori non sono disposti a spendere cifre elevate per un’alternativa con minori emissioni. Le ricercatrici e i ricercatori di Cambridge hanno limitato notevolmente i costi utilizzando materie prime seconde e mettendo insieme due distinti processi produttivi in modo da ridurre i consumi energetici e perciò sono convinti che sia un metodo conveniente dal punto di vista economico.

Per arrivare a una produzione industriale di “cemento elettrico”, come lo chiamano le autrici e gli autori, ci sono però una serie di barriere. Gli impianti di produzione del cemento esistenti non sono compatibili con questa tecnologia, quindi serviranno forni elettrici ad arco dedicati allo scopo. Dovendo alimentarli con elettricità proveniente da fonti rinnovabili, potrebbero inoltre esserci dei rallentamenti se le nazioni non procederanno spedite nella decarbonizzazione del settore dell’energia. Anche l’approvvigionamento di materie prime seconde non è scontato. Da un lato non c’è molto calcestruzzo dismesso da riciclare, mentre i rottami d’acciaio ci sono in abbondanza, ma costano di più rispetto al cemento, quindi le due industrie potrebbero avere difficoltà a collaborare per differenti valutazioni sull’economicità dei progetti.

Nonostante tutto, le autrici e gli autori dello studio sono convinti che entro il 2050 questa tecnologia coprirà fino al 25% della domanda globale di cemento, riducendo addirittura dell’80% le emissioni totali del settore. Il primo obiettivo della startup fondata dalle ingegnere e dagli ingegneri di Cambridge è scalare l’esperimento per produrre 60 tonnellate di cemento riciclato in due ore. L’installazione di nuovi forni elettrici dedicati esclusivamente alla produzione del nuovo cemento, mantenendo costante il volume di acciaio, potrebbe portare la produzione globale a 2,4 miliardi di tonnellate, con una riduzione delle emissioni di 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.

Sicuramente il mercato andrà nella direzione di chiedere più cemento e calcestruzzo green perché si tratta di un materiale altamente incompatibile con la transizione energetica e gli obiettivi di decarbonizzazione: dunque investire già da adesso su questa tecnologia potrebbe essere una scelta lungimirante. Molti dei problemi produttivi, inoltre, potrebbero essere attenuati dal fatto che si diminuirà in futuro l’utilizzo del calcestruzzo. E qui entrano in gioco tutta un’altra serie di fattori, dall’investimento nelle città circolari e nel riadattamento degli edifici dismessi all’urban mining, fino all’auspicabile cambiamento dei modelli economici, finora fondati sull’iper produzione, anche nel campo edilizio.

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