Sei italiani su dieci sono contrari alle estrazioni minerarie in acque profonde e favorevoli a un divieto temporaneo per questo nuovo settore. Sono questi i risultati emersi da una ricerca rappresentativa condotta da Ipsos e commissionata da WWF Italia, The Deep Sea Conservation Coalition, Seas at Risk e il movimento dei cittadini WeMove Europe.
Un risultato che emerge in un momento cruciale per il fenomeno noto come Deep Sea Mining (DSM): proprio in questi giorni i governi di tutto il mondo si sono dati appuntamento a Kingston, in Giamaica, presso la sede dell’International Seabed Authority (ISA), vale a dire l’organizzazione intergovernativa autonoma incaricata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di gestire le risorse minerarie dei fondali marini oltre la giurisdizione nazionale a beneficio condiviso dell’umanità.
Dal 10 luglio si tiene la 29esima sessione dell’ISA che dovrebbe, entro il 2 agosto, nominare anche la nuova figura del segretario o della segretaria generale, nonché definire un primo testo del cosiddetto “codice minerario” che possa fungere da regolamento internazionale, valido sulle acque profonde – tipicamente quelle degli oceani – e da modello per le regolamentazioni nazionali sulle acque territoriali.
Il WWF Italia, la Deep Sea Conservation Coalition, Seas at Risk e il movimento dei cittadini WeMove Europe chiedono all’Italia, prima che sia troppo tardi, di supportare una moratoria o una sospensione temporanea delle estrazioni minerarie in acque profonde all’appuntamento dell’International Seabed Authority. Sulla richiesta di moratoria è impegnata da tempo anche l’ong Greenpeace, che sul tema ha recentemente promosso una raccolta firme (qui), una campagna di sensibilizzazione nel Mar Mediterraneo con la nave Arctic Sunrise e un dossier che ha visto la collaborazione del “nostro” Andrea Turco, che per EconomiaCircolare.com monitora da tempo il tema.
Leggi anche: L’Italia punta al sovranismo delle estrazioni in mare? Musumeci: “Se compatibile coi fondali”
Aspettando il regolamento sulle estrazioni in acque profonde
Come ricorda in un comunicato stampa il WWF Italia, “le estrazioni minerarie in acque profonde sono una pratica di estrazione di metalli e minerali presenti nei fondali marini. Gli scienziati mettono in guardia la comunità, affermando che conosciamo ancora molto poco la vita presente nelle profondità degli oceani, ma che di sicuro questa attività provocherebbe impatti permanenti e irreversibili su specie ed ecosistemi dei fondali, metterebbe a rischio la capacità degli oceani di sequestrare e immagazzinare carbonio, oltre ad altri effetti dannosi di vasta portata sulla colonna d’acqua”.
Al momento le estrazioni minerarie in acque profonde internazionali a fini commerciali non sono ancora iniziate. Ma i segnali di un rinnovato interesse da parte di aziende e governi sono molteplici. Come ripetiamo da tempo la sete di materie prime critiche, necessarie per la doppia transizione ecologica e digitale, è sempre più avida: litio, cobalto, manganese, nichel, ferro e terre rare sono minerali e metalli fondamentali per la produzione di batterie per automobili, telefoni, computer e perfino per le armi.
“Per estrarli – scrive Greenpeace – le aziende vogliono inviare veri e propri caterpillar sul fondo dell’Oceano per sollevare tonnellate di detriti, impattando sui fondali e uccidendo migliaia di specie nel processo, asfissiandole con le nuvole di sedimenti che sollevano o stordendole con l’inquinamento acustico e luminoso generato da tutte queste attività. A gennaio 2024 la Norvegia è stata la prima nazione ad autorizzare le estrazioni minerarie nei fondali dell’Artico, in un’area grande quasi quanto l’Italia. Ma non è detta l’ultima parola: per le prime licenze servirà un nuovo voto del Parlamento norvegese”.
In questo scenario, dunque, il dibattito all’ISA è cruciale. E che sia complesso lo conferma il fatto che la definizione di un regolamento internazionale sulle acque profonde viene rinviata almeno dal 2020. Secondo molti osservatori, inoltre, non è detto che si rispetti l’ultima scadenza in ordine di tempo per l’eventuale avvio delle estrazioni, definita in teoria per il 2025. Al contempo, tuttavia, singoli Stati e singole aziende stanno già posizionandosi per anticipare quello che promette di essere un business promettente, specie per le grandi aziende estrattive che in questo modo, con l’enorme capacità economica e il proprio know how, potrebbero arrivare per prime, supportate da governi la cui vera ambizione geopolitica è affrancarsi dalla dipendenza della Cina.
Leggi anche: Materie prime critiche, il governo punta (quasi) tutto sulle estrazioni. E l’economia circolare?
Il Deep Sea Mining, questo sconosciuto
Nel periodo compreso tra il 3 il 7 luglio, dunque, è stata condotta un’indagine per sondare le opinioni degli italiani sulle estrazioni in acque profonde: ne è emerso che il 60% delle persone in Italia vogliono che il Deep Sea Mining sia proibito, il 29% di loro è favorevole ad autorizzarlo se i danni fossero limitati, mentre il 5% afferma di non avere un’opinione formata e soltanto il 6% vuole autorizzare questa pratica senza riserve. I timori di natura ecologica sono la principale motivazione per le persone contrarie alle estrazioni nei fondali oceanici
Il sondaggio commissionato da WWF Italia, The Deep Sea Conservation Coalition, Seas at Risk e WeMove Europe dimostra quindi che almeno in Italia il DSM è un fenomeno relativamente sconosciuto. Soltanto il 13% delle persone intervistate all’interno del campione rappresentativo (composto da 1026 persone adulte) conosce con precisione le conseguenze delle estrazioni minerarie di profondità. Dopo una breve descrizione dell’attività e dei potenziali vantaggi e svantaggi soltanto il 28% si è dichiarato a favore. I timori principali delle persone intervistate ruotano attorno ai rischi e alle conseguenze ecologiche. Ben il 72% di chi si è dichiarato contrario alle estrazioni nei fondali ritiene convincente l’idea che questa attività potrebbe causare danni gravi e irreversibili all’oceano, oltre a una perdita di flora e fauna marine, fra cui alcune specie come le balene.
“L’ecosistema dei fondali marini è complesso e in gran parte ancora sconosciuto, perciò anche delle piccole alterazioni potrebbero avere effetti pesanti e imprevedibili sulla biodiversità e sui processi biologici. Per questo motivo, i ricercatori mettono in guardia dalle estrazioni nei fondali, avvertendo che potrebbero causare danni gravi e irreversibili all’ecosistema marino. Ora i legislatori devono soltanto ascoltare questi segnali e agire di conseguenza” ha affermato Simon Holmström di Seas At Risk.
Oltre le ong e le singole persone, a portare la richiesta di una moratoria o di una pausa precauzionale sul DSM sui tavoli dell’ISA sono 27 Paesi, incluse 12 nazioni europee. L’Italia non si è ufficialmente espressa sul tema ma come emerge dal lavoro del nostro Andrea Turco la posizione appare chiara: a livello internazionale si intende lavorare per un regolamento che consenta le estrazioni, a patto di garantire un’adeguata sostenibilità delle attività, e anche a livello nazionale si intende procedere in tal senso, puntando più che sulle acque territoriali sull’istituzione di Zone Economiche Esclusive, che estenderebbero l’influenza governativa fino al limite delle 200 miglia nautiche.
Leggi anche: Sfide e opportunità per il riciclo delle materie prime critiche in Italia
© Riproduzione riservata