Entro il 2050 a livello mondiale si produrranno circa 80 milioni di tonnellate di rifiuti da pannelli fotovoltaici dismessi. La rapida diffusione delle ecoenergie porta con sé la necessità di gestire correttamente il fine vita dei moduli, che rientrano nell’ampio e variegato mondo dei rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE). Si tratta peraltro di strutture che contengono materie prime critiche e un rilevante quantitativo di metalli preziosi: reimmettere questi elementi nel sistema produttivo attraverso il riciclo può contribuire a ridurre la dipendenza dell’Italia dalle importazioni.
EconomiaCircolare.com ha chiesto a Danilo Bonato, direttore Sviluppo Strategico e Relazioni Istituzionali del Sistema Erion, di fare un approfondimento sulle regole per la gestione di questa particolare tipologia di RAEE nel nostro Paese, tra opportunità da cogliere e criticità da superare. Inauguriamo così uno spazio di confronto sul tema che coinvolgerà diversi stakeholder della filiera.
Ingegner Bonato, per i non addetti ai lavori il modello di gestione dei rifiuti dei pannelli non è semplicissimo: ce lo può descrivere in sintesi?
Oggi esistono due differenti sistemi, quello per il fine vita dei moduli incentivati con i conti energia del GSE e quello dei moduli non incentivati. Per i primi il soggetto responsabile (il proprietario dell’impianto) può decidere se accettare che il GSE trattenga una cauzione di 20 euro, che verrà restituita una volta che i moduli saranno correttamente smaltiti, o se versare un importo a garanzia in un “trust” di un consorzio. Per i secondi invece chi paga è il soggetto che immette i moduli sul mercato nazionale (definito dalla norma “produttore”), che deve essere iscritto ad un consorzio e, in linea teorica, versare un doppio contributo.
Sta dicendo che il contributo in questo secondo caso si paga due volte?
Sì, i moduli che il cosiddetto produttore immette sul mercato fanno parte del Raggruppamento RAEE R4, dunque quest’ultimo paga l’eco-contributo per l’immissione sul mercato di nuove apparecchiature. La norma poi prevede che lo stesso “produttore” versi un importo a garanzia dello smaltimento futuro dei moduli in un trust del consorzio a cui ha aderito.
Le posso chiedere per quali ragioni si è instaurato questo doppio regime?
Il sistema dei trust è stato istituito dal GSE nel 2011, associato agli incentivi del Quarto Conto Energia, quando i pannelli fotovoltaici non rientravano ancora nel campo di applicazione della Direttiva RAEE. Quando nel 2016 ciò è avvenuto, i moduli non più incentivati dal GSE sono stati assoggettati al regime di gestione e di finanziamento delle apparecchiature elettriche ed elettroniche o, almeno, avrebbero dovuto esserlo.
Torniamo al primo caso, quello della gestione dei moduli fotovoltaici che godono degli incentivi del conto energia. Ci aiuta a capire punti di forza e di debolezza, partendo dalla gestione dei moduli incentivati?
Per i moduli incentivati ormai il sistema è avviato. I soggetti responsabili hanno delle “finestre” entro le quali possono esercitare l’opzione di uscire dalla gestione GSE per il fine vita dei propri moduli e scegliersi un consorzio, a cui versare un importo oggi indicato dal GSE in 10 euro/modulo. Occorre considerare che, se tutti i soggetti responsabili si dovessero rivolgere ai consorzi, questi ultimi potrebbero arrivare a gestire circa 80 milioni di pannelli, incassando nei propri “trust” quasi un miliardo di euro. Oltre all’entità stratosferica di questa cifra, la norma consente ai consorzi di trattenere fino al 20% di tale importo per coprire i propri costi generali, quindi potenzialmente 160 milioni di euro: un importo che a nostro avviso sembra davvero esagerato.
Sta dicendo che i costi generali per la gestione di 80 milioni di pannelli potrebbero essere di gran lunga inferiori ai 160 milioni che in astratto potrebbero essere a disposizione dei consorzi?
Mi occupo di consorzi per la responsabilità estesa del produttore dal 2006 e non credo che i costi, inclusi gli ammortamenti, per gestire i processi amministrativi e logistici legati alla gestione del fine vita dei pannelli potranno mai avvicinarsi a tali grandezze. Occorre dunque considerare l’eventualità che alcuni consorzi potrebbero usare tali risorse per coprire altri costi, fare cross-financing tra diverse tipologie di rifiuti o generare avanzi di gestione.
Soffermiamoci sullo strumento del trust: lei diceva che i proprietari degli impianti incentivati possono uscire dalla gestione del GSE e scegliere se versare 20 euro di cauzione o se versare i soldi a un trust. Sono in entrambi i casi si tratta di soldi che saranno usati dopo una ventina d’anni, giusto? Chi garantisce che quei fondi siano poi effettivamente destinati alla gestione del fine vita?
Il trust è un negozio giuridico la cui costituzione proviene da un atto unilaterale. In assenza di un modello tipo dell’atto costitutivo, senza criteri standard che ne assicurino la serietà e solidità, e in mancanza di controlli efficaci, date le somme di denaro in gioco si possono correre rischi molto seri. Oltre a ciò, i consorzi che incamerano i contributi sono sì riconosciuti dal MASE, ma si tratta di un mero controllo formale dello statuto. Sono invece assenti controlli di merito sulla solidità finanziaria, sulla compagine sociale dei consorzi e sull’atto costitutivo dei loro trust.
In alcuni casi i soggetti responsabili possono rateizzare i contributi da versare a garanzia. Qual è la ratio di questa scelta e che scenari apre?
Per poter convincere i soggetti responsabili ad entrare nel proprio sistema di gestione, alcuni consorzi propongono una rateizzazione pluriennale dell’importo da versare. Viene da chiedersi cosa succede se il soggetto responsabile va in default e non completa il versamento dell’intero importo dovuto. Sicuramente mancherebbero le quote di alcune rate e quindi il contributo di smaltimento effettivamente versato non sarebbe sufficiente a coprire i costi. In questo caso il consorzio verrebbe rimborsato dal GSE, che dovrebbe applicare una trattenuta sugli incentivi per ristorare i costi per cui il consorzio non ha copertura economica. Un meccanismo complicato, ambiguo e costoso, interamente sulle spalle del GSE. In ogni caso, questo sistema fondato sui trust dei consorzi e sui contributi a garanzia versati dai soggetti responsabili potrebbe funzionare, se solo lo si rendesse più robusto ed equilibrato.
Veniamo ora alla gestione dei fine vita dei moduli non incentivati, quelli immessi sul mercato da qualche anno ma anche quelli venduti e installati di recente e che verranno immessi in futuro. Qui la situazione è migliore o peggiore?
Peggiore, purtroppo. Dopo una serie di norme stratificate e contraddittorie, ci troviamo oggi con un obbligo per i produttori, intesi qui come i soggetti che per primi immettono sul mercato nazionale i pannelli fotovoltaici, di versare un contributo a garanzia dello “smaltimento” di ciascun modulo venduto, quando questo concluderà il proprio ciclo di vita e diventerà un rifiuto. Però, a differenza di quanto accade per i moduli incentivati, l’entità del contributo non è indicata dal GSE ma è totalmente libera.
È facile comprendere come i soggetti commercialmente più aggressivi offrano contributi estremamente bassi pur di portare a bordo clienti. Pensate che lo stesso modulo garantito con 10 euro in un trust costituito per i “moduli incentivati” lo possiamo trovare garantito a 1 euro nel caso di un trust dedicato ai moduli non incentivati.
Come può un consorzio gestire il fine vita dello stesso rifiuto che richiede 10 euro per il suo smaltimento con un decimo di questo importo?
Una risposta certa non riesco a darla. Propensione al rischio? Convinzione che tra vent’anni i pannelli da smaltire non arriveranno e che quindi i soldi saranno sufficienti? Ingegneria finanziaria? Diversamente, dovremmo ritenere che i 10 euro richiesti per i moduli incentivati sono del tutto eccessivi.
E le conseguenze di questo sistema quali possono essere?
Intanto ricordiamoci che anche in questo caso parliamo di grosse cifre. Stimando oltre 100 milioni di pannelli fotovoltaici non incentivati immessi tra il 2014 e il 2030, qualunque importo unitario chiedano oggi i consorzi o chiederanno domani per i loro trust, i flussi di denaro saranno rilevanti e scarsamente controllati. Nonostante ciò, se i consorzi faranno gara al ribasso – come sta già avvenendo – e chiederanno contributi troppo bassi, tra vent’anni i soldi accantonati per far fronte al corretto smaltimento dei rifiuti potrebbero essere largamente insufficienti. Così, la “bolla” potrebbe scoppiare ma, tanto, tra vent’anni…
Capisco. Altre criticità?
Un’ulteriore distorsione di questo modello di gestione è quella del doppio pagamento. Come dicevamo, i produttori non solo devono versare un contributo al proprio consorzio – non importa se insufficiente a coprire i costi – ma sono tenuti a finanziare, ai sensi del D.lgs. 49/2014, i propri prodotti nell’ambito della dichiarazione al registro dei produttori all’interno del raggruppamento RAEE R4. Si paga due volte il consorzio, l’importo a garanzia e il contributo generazionale RAEE, cioè quello calcolato in base ai prodotti immessi sul mercato che “generano” questa tipologia di rifiuto. Poi qualche consorzio non fa pagare questo secondo contributo, facendo però violare la norma ai propri associati.
Alcuni consorzi però difendono il sistema dei trust.
Il sistema delle garanzie in sé non è negativo ma, secondo noi, il sistema “generazionale” è comunque preferibile, perché più trasparente e equo. So che ci sono consorzi che sostengono il modello del fondo di garanzia in buona fede, ma dovrebbero pretendere standard di qualità e livelli di controllo che oggi sono totalmente assenti. Altri soggetti invece spingono sul sistema delle garanzie semplicemente perché i flussi di denaro che sono entrati in gioco sono un business molto appetibile.
Quali sarebbero a suo avviso le soluzioni possibili?
La nostra proposta normativa intende superare l’attuale modello di finanziamento dei moduli non incentivati, basato sull’obbligo di versamento ai consorzi di un contributo solo apparentemente idoneo a coprire i costi di smaltimento futuri, che però congela per diversi anni ingenti risorse economiche senza comunque assicurare che tali riserve saranno effettivamente sufficienti a coprire i costi. Il modello di finanziamento ideale per la gestione del fine vita dei moduli non incentivati immessi sul mercato nazionale dai produttori di fotovoltaico è quello in cui l’immesso sul mercato in un dato anno di riferimento finanzia i RAEE generati in tale anno.
Si tratta del modello utilizzato per tutte le altre tipologie di RAEE: lineare, trasparente, collaudato, efficiente ed efficace. Tale modello evita l’accumulo di ingenti risorse economiche, scongiura il rischio di default futuro da parte dei consorzi, fa sostenere ai produttori presenti sul mercato (e quindi capaci di sostenere i costi) i costi di gestione dei rifiuti da pannelli fotovoltaici. Passando a questo sistema di finanziamento, si potrebbe istituire un nuovo raggruppamento dedicato ai moduli fotovoltaici e impiegare le risorse già versate nei trust dei consorzi per ridurre i costi di gestione del fine vita.
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