giovedì, Novembre 6, 2025

Chezzi (Confindustria Moda): “Decreto EPR tessili? Servono alcuni correttivi”

A colloquio con Mauro Chezzi, vicedirettore Confindustria Moda e referente associativo retex.green: “Dall’UE avremmo voluto regole più stringenti per l’e-commerce. Preoccupati anche per la possibile concorrenza sleale dei consorzi pubblici rispetto ai privati”

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

Dai limiti della direttiva europea che introduce la responsabilità estesa del produttore per i prodotti tessili al decreto proposto dal Ministero dell’ambiente che dovrebbe introdurne i principi nell’ordinamento italiano, dal fast fashion alle piatteforme di e-commerce all’ecodesign fino al ruolo problematico che potrebbero avere i consorzi pubblici. Ne parliamo con Mauro Chezzi, vicedirettore di Confindustria Moda e referente associativo retex.green.

 

Dottor Chezzi, partiamo dalla revisione della direttiva europea che introduce il regime EPR per i tessili. Vi convince la definizione del perimetro dei prodotti?

Per noi il perimetro è sempre stato più ampio, includendo anche gli articoli in pelletteria, perché di fatto per il consumatore fanno parte integrante dell’ambito di interesse che potremmo definire “total look”. Nel come un individuo si vuole presentare, comunicare ed esprimere la sua personalità da sempre gli accessori in pelle (e similari) hanno una grande importanza. A questo non può non corrispondere un’attività di selezione e preparazione al riutilizzo che completi l’offerta di un second hand di abbigliamento.

Inoltre, i materiali con cui sono realizzati tali prodotti sono del tutto analoghi a quelli utilizzati per i capi di vestiario e le calzature e la raccolta e la gestione a fine vita avvengono congiuntamente nella medesima filiera.

E che ne pensate dell’esclusione di tappeti e materassi?

La riteniamo quanto mai opportuna. I materassi presentano caratteristiche peculiari, sono raccolti e gestiti nell’ambito di diverse filiere (segnatamente, quella dei rifiuti ingombranti) e porrebbero, qualora inseriti nella filiera tessile, problematiche operative rilevanti. Essi dovrebbero pertanto essere oggetto di un regime EPR specifico, unitamente agli altri arredi imbottiti (poltrone, divani e simili), coerentemente con quanto previsto, peraltro, con le previsioni della modifica della Direttiva Quadro Rifiuti (nuova WFD) in dirittura d’arrivo.

All’interno della categoria dei tappeti, abbiamo proposto di eliminare le moquette e gli altri rivestimenti tessili di pavimenti, in quanto i relativi rifiuti presentano criticità dal punto di vista ecotossicologico (es. colle e solventi) e vengono generalmente raccolti e gestiti nell’ambito della diversa filiera dei rifiuti di costruzione e demolizione o dei rifiuti ingombranti.

Sul punto, si consideri che la nuova WFD non contempla tali materiali e prevede che siano esclusi dall’EPR i prodotti che possono comportare rischi per la sicurezza, la salute e l’igiene o sollevare problemi di sicurezza.

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Commissione, Parlamento e Consiglio hanno deciso che “i prodotti tessili usati raccolti separatamente sono considerati rifiuti al momento della raccolta, a meno che non siano consegnati direttamente dagli utenti finali e valutati professionalmente come idonei al riutilizzo nel punto di raccolta”. Condividete la scelta?

Siamo d’accordo e avremmo anzi preferito una scelta più rigorosa rispetto al pericolo di gestione scorretta dei rifiuti, rimandando la definizione di “valutazione professionale” a criteri precisi e stringenti, come è stato ad esempio fatto relativamente alle apparecchiature elettriche ed elettroniche usate.

Non sono previste esenzioni per le microimprese: che ne pensate?

L’inclusione delle microimprese nell’ambito della disciplina di cui stiamo discutendo, sia pur con tempistiche differite e modalità specifiche, ci ha sempre visti convintamente favorevoli, non soltanto in ragione delle peculiarità del settore tessile italiano, ma soprattutto per assicurare l’integrità del regime EPR e la prevenzione del free riding. Peraltro, è stato previsto che siano adottate delle semplificazioni per tali aziende, che consentiranno di limitare al massimo i carichi burocratico/amministrativi.

A differenza di altri schemi EPR, l’Europa non prevede in questo caso la possibilità per i produttori di adempiere agli obblighi singolarmente, ma impone l’adesione ad una Producer Responsibility Organization. Condividete la scelta? Perché?

In verità, il fatto di demandare a una organizzazione la gestione degli adempimenti EPR non esclude l’istituzione di “sistemi di gestione individuali”, cioè sistemi costituiti e finanziati da un solo soggetto giuridico. Questo è corretto perché gli obblighi del regime EPR non possono essere assolti direttamente da una società commerciale (profit), ma richiedono regole e garanzie particolari, sul cui rispetto il MASE dovrà vigilare direttamente.

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Foto: Canva

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Non sono indicati obiettivi vincolanti: questo può essere un limite secondo voi?

Non direi. Anzi, il fatto di non quantificare ora gli obiettivi vuol dire essere coscienti che, allo stato attuale, non si dispone dei dati affidabili su cui calcolare in modo ragionevole tali obiettivi. Pensiamo solo alle differenti stime che i vari soggetti hanno fatto sull’immesso sul mercato annuo in Italia, che variano anche del 40% l’una dall’altra. Meglio un prudente periodo di sperimentazione e costruzione della base dati affidabile, piuttosto che un “tirate i pugni nell’aria”.

Vi soddisfano le norme sul coinvolgimento delle piattaforme di e-commerce?

Siamo parzialmente soddisfatti: ci sono delle garanzie, ma avremmo preferito regole più stringenti. Avevamo proposto l’introduzione per tali operatori della responsabilità solidale per il versamento del contributo, unitamente ai produttori che si servono della loro infrastruttura, o in subordine dell’obbligo del pay-on-behalf, perché siamo molto preoccupati che il commercio online, così diffuso nel nostro settore (l’abbigliamento è la prima categoria merceologica venduta in rete!) e tutt’ora in rapida crescita, possa rappresentare un ambito di free riding. Ciò anche considerando che ingenti flussi di prodotti provengono da Paesi terzi e sono venduti direttamente ai consumatori finali.

E le norme che riguardano il fast fashion?

Il testo disponibile apre a misure di contrasto sugli impatti negativi del fast fashion, ma non esiste una definizione legale di cosa sia la fast fashion. Tale incertezza giuridica non solo pregiudica l’applicazione pratica della regola, ma introduce incertezza operativa per i sistemi EPR.

È opportuno che la Commissione UE colmi velocemente il vuoto normativo.

L’eco-contributo andrà versato “per i prodotti che il produttore mette a disposizione nel territorio di uno Stato membro in cui tali prodotti possono diventare rifiuti”. Come giudicate questa scelta?

Ci sembra coerente con quanto avviene per gli altri regimi EPR e, analogamente, dovrà essere definita una procedura a livello europeo per evitare la doppia imposizione dell’ecocontributo, tramite un meccanismo di “rimborso” se un prodotto viene prima destinato ad un mercato e poi viene immesso in un altro.

Che ne pensate dell’attenzione riservata dalla nuova direttiva alle imprese sociali?

Si tratta di una serie di riferimenti che concretizzano il concetto che la sostenibilità non ha solo una dimensione ambientale, ma altre, tra cui quella sociale, che è per lo meno altrettanto importante.

Nel testo europeo si prevede la possibilità di ‘consorzi’ (Product Responsibility Organization) pubblici. Vi convince questa possibilità?

Siamo molto scettici della scelta operata dalla Commissione e preoccupati che in alcuni Paesi membri l’operatore pubblico possa fare concorrenza (sleale) a quelli privati. Certamente la previsione deriva dal fatto che l’Ungheria ha fatto una scelta di questo tipo, ma ci sembra improprio stabilire che tale scelta possa essere un modello di riferimento nel Mercato Unico, costruito come insieme di economie ispirate all’iniziativa privata e aperte alla concorrenza leale.

Che ruolo avrà la raccolta nei punti vendita?

Tali raccolte noi le chiamiamo “raccolte aggiuntive”, perché arricchiscono i canali di raccolta e sono quindi uno strumento privilegiato per il raggiungimento degli obiettivi di raccolta a cui i sistemi dei produttori dovranno ottemperare. Naturalmente il canale della raccolta differenziata della frazione tessile dei rifiuti urbani gestito dai Comuni o dalle municipalizzate rimarrà di gran lunga quello principale, rispetto a cui la nostra collaborazione sarà sempre garantita. Anche i Comuni e i gestori pubblici, peraltro, avranno la possibilità di organizzare questa tipologia di raccolte, che non riguardano soltanto i punti vendita, ma anche altri luoghi a elevata pedonalità.

Rappresentano inoltre, nella nostra strategia di Consorzio espressione del mondo associativo della filiera Tessile/Moda, la modalità più diretta per accompagnare i soci nelle iniziative con cui possono parlare direttamente ai propri consumatori, ingaggiandoli in progetti di circolarità.

Infine, sono un canale di raccolta funzionale allo sviluppo del riciclaggio, oltre che al mantenimento del valore della raccolta finalizzata alla preparazione per il riutilizzo, che rimarrà la priorità e continuerà ad alimentare e sostenere il terzo settore, rendendo possibile il superamento di alcune significative problematiche concernenti il tessile storico, che non corrisponde ai requisiti chimici sopravvenuti.

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Lo strumento legislativo scelto in Europa per introdurre la responsabilità estesa del produttore per i tessili è la direttiva: secondo voi verrà garantita una sufficiente omogeneità tra i Paesi?

Come succede di solito in questi casi, l’armonizzazione non è un dato di fatto, ma un processo evolutivo che richiederà l’impegno futuro del legislatore europeo, per esempio sul fronte del registro unico dei produttori a livello europeo.

Detto questo, vorrei specificare che sul fronte dell’armonizzazione, che riteniamo strategico per il più efficiente funzionamento dei singoli EPR nazionali, ma anche per l’efficace implementazione del Ecodesign tessile, ci stiamo già muovendo come Retex.green su due livelli.

Il primo è “dal basso”, partecipando ad un organismo (per ora informale, chiamato “Textile PRO Forum”) di coordinamento dei sistemi EPR già attivi a livello europeo, sia a carattere obbligatorio che volontario, per definire standard da utilizzare per le procedure di funzionamento dei Consorzi (modalità di iscrizione, di dichiarazione dell’immesso sul mercato, di ecomodulazione…).

Il secondo livello su cui ci siamo attivati è la promozione del progetto CirculaTEX, finanziato dall’UE con € 5 mln, proprio per fornire alla Commissione delle Linee Guida per l’armonizzazione dei regimi di EPR tessile nazionali e delle best practice idonee a stimolarne la convergenza.

Secondo voi cosa potrebbe essere migliorato nella direttiva?

Oltre a quanto già menzionato in merito alle piattaforme di e-commerce, ai Pro pubblici, al fast fashion ecc., accenno solo a due temi.

I tempi per la trasposizione della Direttiva ed implementazione del regime EPR tessile (in totale 30 mesi) sembrano davvero troppo lunghi.

La previsione che gli Stati membri possono decidere che i fondi EPR coprano anche i costi dei prodotti che finiscono nei rifiuti urbani misti rischia di creare pesanti distorsioni, deresponsabilizzando gli operatori della raccolta municipale rispetto alla ricerca della massima efficienza della raccolta differenziata della frazione tessile.

 A quali condizioni il combinato disposto e regolamento Ecodesign ed EPR potrà essere efficace dal punto di vista ambientale ed industriale?

È assolutamente necessario che le due normative vengano lette ed applicate coerentemente, in modo da garantire l’armonizzazione dell’ecomodulazione, evitando iniziative “creative” da parte di PRO più a rischio di “cattura” da parte di interessi di singole categorie di operatori. Questo faciliterà la diffusione di un Ecodesign veramente europeo ed eviterà sleali free-riding.

Il testo per l’EPR predisposto dal ministero dell’Ambiente è, secondo voi, in linea con le previsioni della direttiva?

Riteniamo che lo sia, a patto che nel testo vengano introdotti alcuni correttivi. In particolare, è fondamentale che i sistemi consortili non si limitino a un ruolo puramente finanziario, ma assumano una responsabilità diretta e operativa in tutte le fasi del processo, dalla raccolta al riciclo e al recupero dei rifiuti tessili.

Sarebbe inoltre opportuno che venisse sancito in modo più chiaro il principio cardine della disciplina europea della neutralità economica e finanziaria dell’eco contributo per i soggetti che precedono il produttore nella catena del valore della filiera tessile, al fine di evitare una duplicazione di costi.

A differenza della direttiva, il legislatore italiano fissa obiettivi per la raccolta differenziata. Immagino non condividiate la scelta?

Avremmo preferito avere un periodo di assestamento del sistema, in cui le procedure di rendicontazione dei PRO avessero potuto fornire un quadro di riferimento coerente sullo stato dell’arte e le quantità di rifiuti in gioco. Comprendendo l’esigenza del policy maker di garantire un sistema efficiente sin dall’inizio, ci siamo limitati a consigliare che non ci siano obiettivi sul riutilizzo e riciclo, che avrebbero veramente rischiato di essere completamente starati rispetto alla situazione di partenza, in cui peraltro la raccolta differenziata del tessile deve ancora essere implementata in molte zone del territorio nazionale.

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Il testo del decreto fissa anche una disciplina per le PRO. È, secondo voi, una scelta corretta?

Per evitare pericolosi conflitti di interesse e distorsioni concorrenziali, va sancito il diritto alla partecipazione ai sistemi di gestione dei produttori dei fabbricanti di materia prima o semilavorati destinati a prodotti tessili e la mera facoltà di partecipazione degli altri attori della filiera a valle del prodotto. La governance dei PRO deve rimanere in capo ai produttori, coerentemente con il principio di responsabilità estesa del produttore. Non può esistere una responsabilità senza pieno governo.

Nel decreto è sufficientemente chiara la distinzione tra prodotti per il second hand e prodotti per il riciclo/smaltimento?

Non abbiamo rilevato particolari criticità.

Il ministero chiarisce sufficientemente come dovrà avvenire il coordinamento tra le raccolte previste e gestite dagli schemi collettivi e la raccolta da parte dei gestori del servizio urbano?

Secondo noi, il testo fornisce le regole per definire compiutamente gli Accordi utili ad assicurare il coordinamento delle raccolte. È presente, peraltro, anche l’individuazione degli Enti che partecipano alla definizione di tali Accordi. Sono infine stabilite diverse norme in tema di tracciabilità, che consentiranno la rendicontazione di tutti i flussi e, auspicabilmente, contribuiranno all’emersione del sommerso e alla legalità della filiera di gestione dei rifiuti tessili.

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