«Dietro a un trapano condiviso c’è un’idea di società diversa». Chissà se quando si è trasferito da Milano a Palermo, qualche anno fa, Michelangelo Pavia pensava che avrebbe pronunciato frasi del genere. E invece, dopo aver fondato nel 2012 il coworking Neu [nòi] – spazio al lavoro, Pavia si trova da poco coinvolto in una nuova avventura. Si tratta di Zero, la biblioteca delle cose, dove al posto dei libri è possibile prendere in prestito oggetti d’uso comune, dal trapano (appunto) all’aspirapolvere, dal martello ai chiodi. Tutti oggetti che giacciono a lungo inutilizzati nelle nostre case e che invece potrebbero soddisfare il bisogno di un condominio o addirittura di un intero quartiere.
Ecco perché tre realtà sociali – oltre a Neu [nòi] spazio al lavoro, anche le associazioni Booq e Alab – hanno deciso di aprire, lo scorso 2 febbraio, la prima sede siciliana di Zero. Fondamentale è stata la vittoria del bando “B circular, fight climate change!“ finanziato da punto.sud, Fondazione Cariplo e Fondazione con il Sud, che ha promosso l’iniziativa palermitana proprio nell’ambito dell’economia circolare. Con l’arrivo dei primi finanziamenti è stato possibile allestire un database, organizzare la gestione dei primi attrezzi, occuparsi della comunicazione attraverso la creazione di un sito e di un logo. Tutto perfetto, se non fosse che poco dopo l’inaugurazione del primo spazio – il 2 febbraio scorso, all’interno del coworking di via Alloro – è sopraggiunta la quarantena nazionale in seguito alla diffusione del Covid-19.
«La pandemia ci ha abbattuto molto, anche perché per questo tipo di esperienza servono energia ed entusiasmo – osserva Pavia – Il progetto aveva infatti avuto una risposta incredibile, sia a livello di partecipazione che di racconto della stampa. Anche noi abbiamo dovuto chiudere il coworking, quindi pure la biblioteca delle cose, che ha riaperto a settembre e sta già riprendendo piede». Anzi, i partecipanti hanno rilanciato e hanno aperto da poco un secondo spazio, nel quartiere storico della Kalsa. Ma come funziona esattamente Zero? Proprio come in una biblioteca, per poter fruire di un qualsiasi oggetto basta un tesseramento. In più chi vuole può sostenere ulteriormente il progetto mettendo a disposizione tempo (da volontario per sostenere il funzionamento di Zero), altri oggetti da mettere in condivisione oppure competenze (corsi pratici o supporto nelle manutenzioni).
«Il confronto con il nucleo bolognese della biblioteca delle cose, che lì si chiama Leila, ci ha fatto assumere il concetto che si tratta di un processo lento, con dinamiche nuove e la necessità del caro e vecchio passaparola – dice ancora Pavia -. A Bologna ad esempio sono arrivati alla piena operatività dopo tre anni. Sappiamo che stiamo proponendo un processo culturale, e che come tutti i processi culturali anche questo sarà lento. Ma già possiamo vantare un aumento apprezzabile di tesserati e, soprattutto, il fatto che altre associazioni di quartiere stanno chiedendo di aderire». Dalla periferia bistrattata dello Zen fino al centrale corso Calatafimi, la biblioteca delle cose potrebbe dunque estendersi a breve. Coltivando relazioni, all’insegna dell’economia collaborativa.
«Vogliamo andare in netto contrasto col principio del consumo, quindi sappiamo già che sarà difficile scardinare quell’approccio economico per cui l’attrezzo che ti serve lo compri, pure se poi lo usi una volta all’anno – continua Pavia -. Per questo parliamo di economia collaborativa e circolare, e in questo modo tra l’altro non si producono più rifiuti». Insomma: la biblioteca delle cose conviene, sia singolarmente che collettivamente. E fa bene all’ambiente. «Credo che il principio del possesso avrà col tempo sempre meno adepti e parallelamente ci saranno sempre più persone interessate ad avere più spazio in casa. Una sorta di ecologia dello spazio, insomma. L’altro aspetto importante è quello della comunità: il nostro intento è creare spazi dove non solo hai a disposizione un attrezzo gratuitamente, ma entri in una sorta di circolo culturale, dove si parla di economia circolare, di scambio di competenze, di ecologia».
Per avere tutto a regime – dai corsi gratuiti di ciclofficina alla produzione e costruzione artigiana, già previsti da Booq e Alab – bisognerà attendere la fine dell’emergenza sanitaria. Intanto gli spazi sono aperti in sicurezza e i tesserati possono fare le loro richieste anche via telefono o tramite il sito. La consegna e la restituzione di oggetti e attrezzi avviene con guanti e mascherine, e al ritorno in biblioteca ogni cosa viene sanificata. Finora Zero è attiva nel centro storico. Una scelta precisa? E cosa comporta ciò?
«Nulla di programmato – sorride Pavia – Più che la zona geografica, secondo me influisce di più la rete che ogni promotore ha. Per esempio la nostra partnership, che mette insieme un coworking, uno spazio culturale e uno sociale, varia e consente più cose. Noi come coworking abbiamo un’anima meno popolare, visto che parliamo di lavoro innovativo, e perciò c’è un ramo più tecnologico. Da Booq invece, che opera soprattutto coi bambini, è più importante il lavoro di educazione, in maniera tale da promuovere l’ecologia diretta. Quel che serve, ribadisco, è avere più punti sparsi in città: se ti serve una chiave inglese perché ti si è rotto un tubo, è necessario che la biblioteca condivisa sia vicina a te».
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