L’arte è espressione dei tempi, catalizzatrice delle nostre vite e del nostro modo di pensare: influenza il nostro sguardo e gusto, dunque auspichiamo possa frenare anche i comportamenti autodistruttivi dell’uomo legati al cambiamento climatico.
Sebbene per anni il senso comune non sia riuscito a mettere a fuoco l’entità e l’imminenza della crisi ambientale, negli ultimi tempi giovani movimenti ambientalisti ci hanno condotti verso una nuova consapevolezza collettiva. Ma la presa di coscienza passa anche e soprattutto dalle arti visive, spesso utilizzate dagli stessi movimenti per dare visibilità ai loro messaggi, perché in grado di cogliere il punto, indignare ed ispirare il cambiamento in modo incisivo.
L’arte che ha a che fare con la natura è ampia e sfaccettata e non sarà questa la sede per approfondirla. Ciò che oggi vogliamo andare ad esplorare è un’arte che potremmo definire popolare, destinata, attraverso i social e le manifestazioni di piazza, al grande pubblico, e per questo capace di mettere in luce i problemi e le possibili soluzioni della crisi climatica.
I cortometraggi animati e le illustrazioni di Steve Cutts
Se pensiamo a delle immagini forti legati all’attività umana sul nostro Pianeta non possiamo non citare Steve Cutts, illustratore e animatore londinese. La sua rappresentazione cruda e grigia dell’umanità è infatti nota per essere un’aspra critica alla società dei consumi e allo sfruttamento da parte dell’uomo degli altri esseri viventi e di tutte le risorse naturali. MAN, uno dei suoi corti più celebri uscito 9 anni fa, su YouTube ha raggiunto più di 53 milioni di visualizzazioni: in poco più di tre minuti Cutts riesce a condensare uno dopo l’altro molti dei soprusi che l’uomo ha inflitto alla natura fin dalla sua comparsa sulla Terra, un circolo vizioso che finisce col distruggere l’uomo stesso e tutto il suo mondo.
Nel 2020 al video è stato aggiunto MAN 2020, un altro corto che mostra il cambiamento della natura mentre l’uomo è costretto al lockdown a causa del Covid-19; anche qui il video ha raggiunto 10 milioni di visualizzazioni, dati che diventano rilevanti nell’ottica di sensibilizzare il maggior numero di persone.
Nell’ultimo corto dal titolo The Turning Point, Cutts inverte il ruolo tra uomo e animale, dando a quest’ultimo il potere di infliggere alla specie umana sofferenze e morte, causando inquinamento, incendi e disboscamenti. La fine è prevedibile, ma non ve la anticipiamo.
Oltre ai corti animati, Cutts realizza brillanti illustrazioni che disegnano con altrettanta efficacia la miseria umana. L’ultima creazione, condivisa dallo stesso anche sulla sua stessa pagina Facebook, in occasione del Black Friday, calca ancora la mano sui bisogni indotti della società dei consumi e su cosa resterà di tutti questi oggetti in una clessidra in cui il tempo scandisce l’effimero valore di telefoni, tv o nuove scarpe.
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L’arte in mano agli attivisti
E se le parole, gli appelli e gli slogan non bastano più, i movimenti ambientalisti hanno saputo, lo dicevamo, utilizzare i linguaggi visivi, le performance e l’arte come mezzi per divulgare messaggi forti e, purtroppo, drammatici. Basti pensare al carro Alta marea che ha sfilato, insieme ai volontari di Greenpeace, al Carnevale di Viareggio nel 2019. L’opera, realizzata dall’artista Roberto Vannucci, rappresentava un’enorme balena morente di oltre 20 metri immersa nella plastica, e il suo scopo era proprio denunciare l’inquinamento da plastica usa e getta nei nostri mari.
Greenpeace è nota, tra le altre cose, per i suoi enormi striscioni di denuncia su edifici e ponti, come il banner di dodici metri di lunghezza e sei di larghezza che due attivisti hanno portato, lo scorso marzo, sulla sede della Banca centrale europea dopo essere planati in parapendio sul tetto per chiedere “Basta finanziare chi uccide il clima”.
Anche altre associazioni ambientaliste fanno spesso di gesti plateali e del linguaggio visuale la loro arma più forte per denunciare speculazioni e indifferenza della classe politica sul futuro del Pianeta. Tra queste, sicuramente una delle più originali è Extinction Rebellion (XR) che rende i suoi flash-mob delle vere e proprie performance artistiche. Come le scenografiche proteste in cui viene utilizzata della tempera nera per simboleggiare l’inquinamento che uomini in giacca e cravatta versano su una donna con la bocca cucita, che personifica la Terra e tutti suoi esseri viventi, o come le Red Rebels Brigade, cortei di figure vestite di rosso a rappresentare il sangue di tutte le specie viventi.
Il movimento ambientalista ha inoltre organizzato lo scorso ottobre a Milano, in occasione delle conferenze YouthCOP e PreCOP26, una mostra dal titolo Come comunicare la crisi eco-climatica, con le opere selezionate dalla curatrice e critica contemporanea Gabi Scardi tra i 53 artisti internazionali che hanno risposto alla call di XR Italia; a dimostrazione che c’è la volontà da parte di tanti artisti di farsi vettori del cambiamento. Tra le opere selezionate, che è possibile consultare sul sito di XR, ve ne proponiamo un paio che, a nostro parere, esprimono in modo efficace la difficoltà delle persone nel percepire l’entità del pericolo della crisi climatica.
La prima opera dal titolo “Dissonanza cognitiva” è di Rebecca Agnes ed è realizzata attraverso un collage digitale di foto di foreste e di incendi.
La seconda, “This Is Fine” di Carmel Horowitz, esprime tutta la cecità dell’uomo nei confronti dell’attuale situazione climatica: la Terra, la nostra casa va a fuoco e noi continuiamo ad ignorarlo.
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La street art in difesa dell’ambiente
Non si può parlare di arte popolare senza citare la street art che è ormai diventata parte essenziale di molte delle nostre città. Una delle opere più iconiche sui cambiamenti climatici è di Banksy, l’artista inglese che non ha bisogno di presentazioni, la cui identità resta segreta. Parliamo della scritta che ha realizzato sulle sponde del Regent’s Canal a Camden, nel nord di Londra, dopo il fallimento della conferenza sul clima di Copenaghen nel 2009. L’efficacia dell’opera è nella sua semplicità: una scritta rossa realizzata a pelo d’acqua, come a smentire il suo stesso messaggio “I don’t belive in global warming”, cioè ‘non credo al riscaldamento globale’.
Un’altra opera di Banksy a tema ambiente vede un bambino giocare con la neve, mangiandone i fiocchi ma basta girare l’angolo per rendersi conto che non si tratta di una romantica nevicata ma di cenere proveniente da un cassonetto in fiamme. Anche se ormai il suo stile è inconfondibile, Banksy spesso conferma la paternità di un’opera postandola sul suo account Instagram, seguito da più di 11 milioni di follower.
Un altro artista che si dedica da sempre alle questioni legate all’uomo e alla natura è l’italiano Blu, anche di questo street artist è ignota l’identità ed è ugualmente apprezzato a livello internazionale. Una delle sue opere più evocative è senz’altro Sete insaziabile, comparsa su un palazzo di Lisbona all’indomani del disastro della marea nera nel Golfo del Messico nel 2015. Un uomo in giacca e cravatta indossa una corona con i loghi delle maggiori compagnie petrolifere del mondo e con una cannuccia succhia via le risorse del Pianeta che stringe tra le mani.
La passività dei politici in un’installazione
Da grandi opere che troneggiano sugli edifici, passiamo ad altre così piccole che bisogna chinarsi per ammirarle. Sono le geniali sculture di Isaac Cordal, artista spagnolo che nella sua serie Waiting for Climate Change, ha realizzato diverse installazioni posizionando piccoli uomini in contesti urbani e sommergendoli nell’acqua.
La sua installazione più famosa è stata eseguita a Berlino nel 2011, e faceva parte della serie Follow the leader ma è rimasta nella memoria come Politicians Discussing Global Warming, cioè ‘I politici discutono di riscaldamento globale’. Nelle minuscole sculture immerse in una pozzanghera, è evidente la passività e l’immobilismo dei potenti di fronte ai cambiamenti climatici in atto e, nello specifico, all’innalzamento del livello del mare: quello che in seguito Greta Thunberg ha definito il bla bla bla dei leader per indicare “bellissime parole che non portano all’azione”, undici anni fa Cordal lo aveva espresso così.
L’orso polare del New Yorker
Anche la stampa fa dell’arte un prezioso alleato. Il New Yorker che con le sue copertine ha dato da sempre spazio a molti illustratori, è uscito lo scorso marzo con un’amara illustrazione di John Cuneo: un orso polare che, in un paesaggio desolato senza ormai più neve, fa rifornimento di ghiaccio da un distributore. Un ritratto tristemente ironico di una realtà sempre più vicina.
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