[Intervista di Daniele Di Stefano e Tiziano Rugi]
“«Economia circolare», in particolare per il nostro Paese, stante l’attuale contesto, vuol dire e non può prescindere da «un’adeguata struttura impiantistica correlata al differenziato fabbisogno territoriale», viste le carenze e strozzature presenti” scriveva FISE Assoambiente (che rappresenta le imprese private che gestiscono servizi ambientali) nel report “Per una strategia nazionale dei rifiuti” (2019). Impianti che includono gli inceneritori: “Mancano – leggiamo nello stesso report – circa 15 impianti di recupero energetico (da 250.000 ton/anno) o ampliamento capacità rispetto agli impianti di già presenti”. Ne parliamo con Chicco Testa, presidente FISE Assoambiente.
Dottor Testa, nelle stime FISE Assoambiente avete tenuto conto dell’aumento della raccolta differenziata e del riciclo nei prossimi anni? I miglioramenti prescritti dalle direttive europee non dovrebbero contribuire a ridurre il fabbisogno di impianti di termovalorizzazione?
La gestione dei rifiuti in Europa e quindi in Italia, è chiamata a seguire prima di tutto la “gerarchia” definita nella direttiva europea in materia: prima si ricicla, quel che non si ricicla si recupera come energia, quel che resta va in discarica. La nuova direttiva dice che si deve riciclare almeno il 65% dei rifiuti urbani, che in discarica non ci può andare più del 10% dei rifiuti urbani prodotti, quindi il recupero di energia dovrebbe essere circa il 25%.
Ma nessuno vieta di superare il 65% di riciclo. Anzi, secondo la gerarchia che lei giustamente cita, sarebbe auspicabile riciclare ancora di più.
È vero che l’obiettivo di riciclaggio (65%) è un obiettivo minimo e si può far meglio (70/75%?), ma è anche vero che l’obiettivo di discarica (10%) si può migliorare e si può fare meglio (5/0%). Resta sempre un gap tra i due valori, alimentato anche dal quantitativo di rifiuti ad oggi non riciclabili e dagli scarti del riciclo, che invece del conferimento in discarica deve poter essere valorizzato, per quanto possibile, con il recupero di energia.
Lo ha detto con estrema chiarezza Mattia Pellegrini, il Capo Unità economia circolare della DG Ambiente della Commissione europea che ha affermato che anche gli inceneritori svolgono un ruolo complementare rispetto al riciclo, perché ciò che non può essere riciclato è meglio che venga trasformato in energia, piuttosto che smaltito in discarica.
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La Commissione esclude che i fondi del Pnrr possano andare alla termovalorizzazione. Questo non influisce sulle vostre stime?
Gli impianti di termovalorizzazione (finanziati direttamente dalle imprese e sostenuti dalle tariffe e dagli incentivi) servono in un’equilibrata gestione dei rifiuti in ogni Paese UE, nel rispetto della gerarchia e degli obiettivi di riciclo e discarica. E nessuna norma europea li proibisce. Non finanziare un tipo di impianti non significa non prevederne la realizzazione.
Nelle stime sul fabbisogno di impianti di termovalorizzazione, FISE considera il fatto che il coincenerimento (agevolato tra l’altro dall’ultimo decreto Semplificazioni) potrebbe ridurne il numero?
I report presentati annualmente da ISPRA forniscono informazioni anche per quanto riguarda il coincenerimento. Per i rifiuti urbani ISPRA riporta che nel 2019 il “18% dei rifiuti urbani prodotti è incenerito, mentre l’1% viene inviato ad impianti produttivi, quali i cementifici, centrali termoelettriche, ecc., per essere utilizzato all’interno del ciclo produttivo per produrre energia” mentre per i rifiuti speciali, sempre nel 2019, la valorizzazione energetica risulta residuale “rispettivamente con l’1,2% e con lo 0,7%, le quantità avviate al coincenerimento (R1, 2 milioni di tonnellate) e all’incenerimento (D10/R1, 1,2 milioni di tonnellate)”.
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Avete dati sull’impatto ambientale del coincenerimento?
Ricordiamo che l’uso del combustibile da rifiuti (CSSc) nei cementifici o centrali termoelettriche deve oggi rispettare limiti di emissioni previsti per l’incenerimento con valori emissivi quindi più bassi rispetto a qualsiasi altra attività produttiva.
Secondo FISE Assoambiente, il coincenerimento può essere una soluzione per i rifiuti?
Fin dal Decreto n. 22 del 1997 si era ipotizzato l’uso del combustibile derivato dai rifiuti anche in cementifici e centrali elettriche, ad integrazione dell’attività degli inceneritori di rifiuti, in una logica di simbiosi industriale.
I due impianti rispondono però a logiche diverse: il termovalorizzatore nasce per la gestione dei rifiuti ed entra nella pianificazione della gestione territoriale con vocazione specifica su questo tema; il coincenerimento avviene in impianti che hanno altre finalità (ad esempio produzione di cemento) e rispondono a esigenze produttive legate all’andamento dello specifico mercato (non certo alla pianificazione territoriale). Quindi sì, ritengo che possa essere una soluzione a supporto del sistema ma non so fino a che punto possa essere incluso nella pianificazione del territorio per quanto riguarda la gestione dei rifiuti.
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Ritenete sia strategico utilizzare più impianti di piccola scala diffusi sul territorio o c’è necessità di grandi impianti con un alto potenziale di trattamento?
I costi e le performance ambientali ed energetiche negli impianti di incenerimento sono funzione della loro dimensione. Siamo quindi favorevoli ad impianti di dimensioni medio grandi.
Nel documento “Osservazioni e proposte sul Pnrr” di febbraio 2021 avete scritto di “clima negativo di sfiducia e sospetto intorno alla gestione dei rifiuti”, sia tra i cittadini sia tra gli amministratori: secondo voi da cosa è determinato?
C’è stata una forte ideologizzazione sul tema rifiuti, che poi nella realtà sono prodotti da tutti noi e dovremmo tutti assumerci la responsabilità di gestirli. In alcuni territori gli amministratori e i decisori politici tendono a cavalcare le paure dei cittadini per acquisire consensi elettorali a breve, piuttosto che risolvere i problemi nel medio lungo periodo.
Sempre nello stesso documento sostenete che il governo sia stato poco concreto sul tema rifiuti: quali ostacoli pensate ci siano, anche in vista del Pnrr?
Nel Pnrr le risorse destinate al superamento del gap impiantistico nazionale nella gestione dei rifiuti, sono scarse e assegnate in buona parte ad impianti pubblici, mentre secondo noi sarebbe stato meglio finanziare strumenti economici di mercato in grado di premiare aziende efficienti e innovative.
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Cosa non vi convince negli impianti pubblici?
Le attività di riciclo e di recupero energetico sono ormai prerogative del mercato, di operatori in concorrenza fra di loro su scala nazione e a volte europea. Finanziare con risorse pubbliche impianti in questo settore della gestione dei rifiuti rischia di alterare il mercato e introdurre posizioni di vantaggio a scapito della concorrenza, dell’innovazione e di prezzi competitivi. Anche ARERA ha capito questa situazione specifica nella gestione dei rifiuti, introducendo una differenziazione fra impianti pubblici regolati ed impianti che operano sul mercato (non regolati). Le previsioni del PNRR italiano vanno nel senso di voler usare le risorse europee per superare i gap infrastrutturali esistenti (specie nel mezzogiorno), ma usano lo strumento sbagliato di finanziamenti a fondo perduto intermediati dalle autorità di ambito dei rifiuti e dai Comuni. Cosa diversa invece la linea di finanziamento per le imprese (ma poco finanziata). Avremmo preferito usare il PNRR per strumenti di mercato aperti a tutti gli operatori.
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Durante l’elaborazione del disegno di legge sulla Concorrenza, erano comparsi incentivi ai territori che avessero ospitato impianti di termovalorizzazione, poi espunti nella versione approvata e inviata al Senato. Pensate sarebbe adeguata e sufficiente a superare l’opposizione delle comunità?
Nei Paesi del nord Europa gli impianti di termovalorizzazione sono accettati dalla popolazione perché teleriscaldano le case a costi bassi. Anche in Italia si dovrebbe fornire questo tipo di incentivo piuttosto che distribuire risorse ai territori senza vincolarne l’uso a progetti realmente a vantaggio dei cittadini. I termovalorizzatori di ultima generazione non sono pericolosi e le loro emissioni sono molto basse, come dimostrano anche i recenti report dell’Agenzia per l’Ambiente europea e dell’ISPRA-SNPA.
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