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lunedì, Luglio 8, 2024

Claudio Feltrin (Arper): “Impegnarsi per essere più sostenibili è diventata una priorità”

Il settore dell’arredamento in Italia ha abbracciato con convinzione l’economia circolare. Ne è un esempio Arper, l’azienda del Trevigiano che già da qualche anno ha intrapreso un percorso ambientale responsabile. Ce ne parla il suo presidente e Ad Claudio Feltrin, che è anche presidente di FederlegnoArredo

Antonio Carnevale
Antonio Carnevale
Nato a Roma, giornalista pubblicista dal 2012, autore radiofonico ed esperto di comunicazione e new media. Appassionato di sport, in particolare tennis e calcio, ama la musica, il cinema e le nuove tecnologie. Da qui nasce il suo impegno su StartupItalia! e Wired Italia, dove negli anni - spaziando tra startup, web, social network, piattaforme di intrattenimento digitale, robotica, nuove forme di mobilità, fintech ed economia circolare - si è occupato di analizzare i cambiamenti che le nuove tecnologie stanno portando nella nostra società e nella vita di tutti i giorni.

Da qualche anno, anche il settore dell’arredamento ha deciso di fare dell’economia circolare il proprio modello di sviluppo per il futuro. E le aziende italiane dimostrano di aver abbracciato in pieno questa nuova sfida.

Accanto alla tradizione, il design e la qualità dei prodotti, adesso il Made in Italy può vantare anche delle prestazioni ambientali da primato in Europa. Almeno questo ci dicono i numeri: il report “L’Italia in 10 selfie 2021” realizzato da Fondazione Symbola in collaborazione con Unioncamere e Assocamerestero, ci dice che l’Italia è prima in Europa in economia circolare, con il 93% dei pannelli truciolari prodotti fatto di legno riciclato. Seguono Belgio con l’84%, Danimarca (60%), Germania (59%) e Francia (50%).

Come sosteneva il designer Philippe Starck, fino ad oggi le aziende dell’arredamento “hanno usato bellissimi materiali naturali, forgiati per finire nella spazzatura”. Adesso è tutto cambiato.

Partiamo dal presupposto che ritengo che le aziende vadano considerate parte integrante del tessuto sociale”, ci spiega Claudio Feltrin, presidente e Ad di Arper, azienda con sede a Treviso che fa della sostenibilità uno dei punti chiave del suo approccio al design, nonché presidente di FederlegnoArredo che raggruppa le imprese della filiera.

“Persone e organizzazioni compiono scelte che hanno un impatto su quello che le circonda, ecco perché le aziende, anche le più piccole, oggi sono chiamate ad un atteggiamento di maggiore responsabilità verso l’ambiente e le risorse.”.

Come è cambiato il panorama italiano in questi anni?

“Impegnarsi per essere più sostenibili è diventata una priorità. L’industria italiana del legno arredo si sta impegnando molto e i numeri sono incoraggianti. L’Italia produce meno emissioni climalteranti degli altri grandi Paesi Ue: 26 kg di CO2 equivalenti ogni mille euro di produzione, a fronte dei 43 della Germania, dei 49 francesi, degli 79 britannici e degli oltre 200 spagnoli. Questi risultati sono stati ottenuti nell’ambito di un’industria profittevole: la filiera legno/arredo produce circa 39 mld di euro l’anno (dati consuntivi FederlegnoArredo 2020), cui il 39% destinato all’esportazione e ha una bilancia commerciale con un saldo positivo pari a 7.5 milioni di euro.

Qual è l’impegno, in termini ambientali, di Arper?

In Arper abbiamo mosso i primi passi nel mondo della sostenibilità diversi anni fa. Nel 2005 abbiamo creato un team dedicato a queste tematiche, il Dipartimento Ambientale Arper. Per noi è stato il primo passo di un percorso che non si è mai arrestato.

Siamo un’azienda produttrice, che opera nel mercato internazionale, quindi ci siamo concentrati soprattutto sull’ottenimento delle principali certificazioni ambientali e di qualità, ricercando materiali e tecniche sempre più sostenibili. Questo è stato anche fondamentale per accedere a mercati “evoluti”, le cui normative interne rendevano necessario rispondere a determinati requisiti ambientali e qualitativi.

Come si è modificato, negli anni, il vostro approccio al prodotto?

Nel tempo abbiamo integrato progressivamente ricerca di materiali e processi produttivi più compatibili con il rispetto dell’ambiente e quello che impariamo cerchiamo di applicarlo direttamente ai nostri prodotti. Usiamo plastica proveniente da scarti post industriali, filati realizzati con plastiche post consumo e progettiamo i prodotti affinché siano facilmente disassemblabili a fine vita, in modo da essere smaltiti con facilità.

Vogliamo anche contribuire a diffondere la cultura del riuso, stimolandola con la creazione di prodotti dal design essenziale e che durano nel tempo. Se un prodotto conserva intatte le sue qualità funzionali ed estetiche può passare di mano, essere recuperato e riutilizzato.

Come questo nuovo modello di sviluppo si riflette sui consumatori?

 C’è una crescente attenzione nei confronti dei prodotti con caratteristiche di sostenibilità. Si diffonde un concetto di “bello e ben fatto” che include anche il rispetto per il pianeta, tra i criteri di valutazione del prodotto, da parte dei consumatori, ma anche da parte delle organizzazioni, con le quali noi dialoghiamo essendo un’azienda contract.

I designer hanno un ruolo determinante nel proporre un design che contribuisca alla sedimentazione di una cultura di sostenibilità condivisa. La stessa responsabilità appartiene alle aziende produttrici, che devono dare spazio a queste istanze e investire nella ricerca e nell’applicazione, proponendo soluzioni che incontrino i bisogni degli utilizzatori e li anticipino, quando possibile.

Dalla vostra esperienza, in Italia qual è la sensibilità dei consumatori rispetto ai temi ambientali?

Le generazioni più giovani mostrano un grande interesse verso questo tema. Sono sensibili e adottano comportamenti sostenibili, agiscono concretamente per attuare un cambiamento: sempre più spesso scelgono il riuso, il riciclo, lo scambio.

Atteggiamenti sconosciuti alle generazioni precedenti, figlie di atteggiamenti e abitudini di sovraconsumo, generati dal fenomeno del consumismo. Per molti anni, il possesso è stato un simbolo di affermazione sociale. Oggi questo sta cambiando. Assistiamo a fenomeni di mobilitazione, di protesta, di richiesta di attenzione, da parte di giovani che reclamano il loro diritto ad un pianeta vivibile. Abbiamo preso consapevolezza del fatto che la sostenibilità non è più rimandabile.

E questo si riflette nei vostri prodotti?

 In particolar modo a partire dalle collezioni del 2020, la sostenibilità è stata un vero driver progettuale. Ovvero uno dei requisiti fondamentali in fase di stesura del brief insieme ai designer con i quali collaboriamo. In particolare, abbiamo lavorato molto sulle caratteristiche di disassemblabilità dei prodotti e di riciclabilità dei materiali.

 Ci fa qualche esempio?

 Adell, ad esempio, è una poltroncina lounge realizzata nel 2020 e nata dalla collaborazione con lo studio di Barcellona Lievore+Altherr, Désile, Park. La scocca di Adell è realizzata in plastica da riciclo post industriale. Nella sua versione rivestita, il rivestimento è completamente separabile dalla seduta, quindi semplice da smaltire o sostituire. Le componenti in legno sono certificate FSC, le vernici utilizzate sono a base acqua e abbiamo ridotto al minimo l’uso di colle per l’assemblaggio dei componenti.

Le stesse caratteristiche si applicano a Aston Club, progettata lo scorso anno da Jean Marie Massaud. Qui la disassemblabilità e la separabilità dei componenti assumono particolare valore perché la seduta è dimensionalmente importante e non era scontato trovare soluzioni adeguate per applicare principi di sostenibilità su questo tipo di struttura, mantenendone inalterato il comfort, la sua caratteristica principale.

Che risultati avete ottenuto finora?

 Abbiamo integrato progressivamente strumenti che vanno nella direzione di rendere la nostra produzione più sostenibile, quindi ci è difficile individuare un “prima” e un “dopo”. Lavoriamo piuttosto perché questo percorso sia sempre più incorporato nell’azienda e nei suoi processi, fino a diventare “scontato”, una risorsa strutturale.

Una delle sfide del design sostenibile consiste soprattutto nel riuscire a garantire le caratteristiche tecniche ed estetiche dei prodotti, pur facendo delle scelte produttive più responsabili. Questo tema è particolarmente vero per il contract, il nostro settore principale. In un aeroporto, in una sala riunioni o in una sala conferenze gli arredi sono sottoposti a sollecitazioni e ad usura in modo diverso rispetto a quanto accade in ambito domestico. Qui, requisiti di resistenza e sicurezza sono particolarmente stringenti. Molta attenzione quindi, nella progettazione di un prodotto sostenibile, va posta nell’usare materiali e processi che assicurino elevate performance, senza compromettere il cuore sostenibile della progettazione. Crediamo di essere nella direzione corretta affinché questo avvenga.

Avete altri progetti in cantiere?

Con le collezioni 2021 abbiamo sperimentato ulteriormente: Kata, disegnata dallo studio Altherr, Désile, Park è la prima seduta lounge Arper in legno massello. Evoca la tradizione, ma è attualissima nell’impiego delle tecnologie: qui abbiamo lavorato ad una scocca realizzata in un filato che proviene dalla plastica post consumo, lavorata in due tipi di trame 3d, che danno spessore e comodità. Imbottiture, cuscini, componenti strutturali: è tutto separabile, con l’obiettivo di agevolarne lo smaltimento.

E infine Mixu, sviluppata in collaborazione con Gensler (studio di architettura internazionale) è un esempio di come si possa coniugare personalizzazione del prodotto e sostenibilità. Qui abbiamo combinato tre parti, seduta, schienale e base, per dare vita a innumerevoli soluzioni diverse, in cui gli accoppiamenti tra i materiali sono realizzati con il mimino uso possibile di colle. La plastica del sedile proviene da riciclo post industriale e l’acciaio (riciclato fino al 70%) è verniciato a polveri prive di emissioni VOC (composti organici volatici).

© Riproduzione riservata

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