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venerdì, Novembre 15, 2024

Coca Cola apre al riuso: “Entro il 2030 avremo il 25% di contenitori riutilizzabili”

L’annuncio fatto dal colosso di bevande sul riuso lo scorso 10 febbraio ha fatto velocemente il giro del mondo sollevando, come di consueto, opposte reazioni e a seconda dei portatori di interesse. Per le organizzazioni ambientaliste è comunque un primo passo. Ma serve puntare sui sistemi di deposito su cauzione

Silvia Ricci
Silvia Ricci
Collabora dal 2009 con l’Associazione Comuni Virtuosi come referente Economia Circolare nella realizzazione di iniziative attinenti alla prevenzione dei rifiuti da imballaggio rivolti ai diversi pubblici. Scrive per il sito Comuni Virtuosi e altre testate su tematiche attinenti alla progettazione e gestione circolare dei manufatti monouso. Dal 2022 coordina la campagna nazionale “A Buon Rendere - molto più di un vuoto”, per una veloce introduzione di un Sistema Cauzionale per imballaggi monouso per bevande

L’annuncio fatto da Coca Cola sul riuso lo scorso 10 febbraio ha fatto velocemente il giro del mondo sollevando, come di consueto, opposte reazioni e a seconda dei portatori di interesse. Tutto prevedibile d’altronde quando si tratta del maggior produttore di bevande analcoliche del Pianeta, che opera in oltre 200 Paesi. Il colosso delle bevande si è pubblicamente impegnato a commercializzare in contenitori riutilizzabili/ricaricabili almeno il 25% di tutte le bevande del suo portafoglio globale di marchi entro il 2030. Parliamo quindi di bottiglie di vetro o plastica ricaricabili e di bevande che si possono vendere alla spina e da distributori automatizzati con utilizzo di bicchieri  riutilizzabili.

“Continuiamo a mettere i consumatori al centro di tutto ciò che facciamo”, afferma Elaine Bowers Coventry, responsabile commerciale del servizio clienti di Coca Cola Company. “Un modo per farlo è offrire diversi tipi di imballaggi sostenibili. L’accelerazione nell’uso di imballaggi riutilizzabili offre un valore aggiunto a consumatori e clienti, sostenendo al contempo gli obiettivi del nostro programma per un mondo senza rifiuti”.

L’iniziativa World Without Waste lanciata nel 2018 dalla multinazionale si può riassumere in tre principali obiettivi: rendere tutti gli imballaggi primari riciclabili entro il 2025; utilizzare bottiglie in PET con un 50% di contenuto riciclato entro il 2030; raccogliere entro il 2030 una quantità di imballaggi per bevande equivalente all’immesso al consumo. Nel suo comunicato stampa la Coca Cola spiega che il piano si basa su tre pilastri fondamentali: progettazione, raccolta e partnership, ovvero “mettere insieme le persone per sostenere un ambiente sano e privo di rifiuti”.

Leggi anche: lo Speciale sui Sistemi di riuso

Coca Cola spiega le ragioni della sua scelta

Coca Cola spiega inoltre di voler promuovere un’economia circolare attraverso l’aumento della quota di riuso dei contenitori di bevande, poiché i contenitori ricaricabili hanno una minore impronta di carbonio e bassi tassi di dispersione. Questo perché – aggiunge l’azienda –  questi modelli di commercializzazione sono progettati per garantire il ritorno degli imballaggi.

La multinazionale snocciola infine nel comunicato alcuni numeri e dati di attualità che offrono uno spaccato su questo segmento di mercato insieme ad un elenco delle iniziative in corso.

Tra i dati si legge che le vendite di bevande in bottiglie di vetro a in PET riutilizzabili rappresentano attualmente più del 50% delle vendite di prodotti in più di 20 mercati, e più del 25% delle vendite in altri 20 mercati. Nel 2020 gli imballaggi ricaricabili hanno rappresentato complessivamente circa il 16% del volume totale delle vendite. L’uso dei contenitori ricaricabili sta crescendo in diversi mercati, superando la quota dei contenitori monouso come in Germania, e in alcune parti dell’America Latina, dove le bottiglie riutilizzabili rappresentano il 27% delle transazioni nel 2020.

Tra le iniziative in corso figurano nell’elenco: l’adozione in nuovi mercati della “bottiglia universale” in PET con design standardizzato introdotta nel 2018 da Coca Cola Brasile e utilizzata ora in altri paesi come Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Messico, Guatemala e Panama; il lancio anche in SudAfrica di bottiglie in plastica ricaricabili/refillable da 2 e 1,5 litri (RefPET); la collaborazione con Carrefour in Francia nel programma Loop che prevede l’utilizzo esclusivo di imballaggi riutilizzabili; la collaborazione con Burger King negli Stati Uniti in programmi pilota che offrono contenitori riutilizzabili e l’introduzione di bicchieri riutilizzabili con microchip per i distributori alla spina Coca Cola Freestyle nei parchi tematici, campus universitari e navi da crociera.

Questi impegni – conclude la multinazionale – hanno contribuito a spianare la strada al raggiungimento dell’obiettivo globale sul riuso che annunciamo oggi. Un obiettivo che richiederà investimenti significativi e in particolare in quei mercati con limitate infrastrutture dedicate ai processi di ricarica e di restituzione.

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Per gli ambientalisti un primo passo: “Ma resta tanto da fare”

Inutile dire che la decisione di Coca Cola ha provocato un’onda di soddisfazione nel mondo ambientalista e soprattutto tra le organizzazioni che fanno parte della coalizione Break Free from Plastic (BFFP): un movimento che rappresenta una vera spina nel fianco dei grandi marchi e soprattutto per le iniziative di brand audit globali condotte da migliaia di volontari ogni anno.

Nell’ultimo brand audit del 2021 sono stati raccolti quasi 20mila imballaggi a marchio Coca Cola, una quantità che complessivamente quella degli imballaggi appartenenti al secondo e terzo marchio della classifica.

“L’annuncio della Coca Cola è sicuramente un passo in avanti nella giusta direzione – ha dichiarato Emma Priestland, coordinatrice delle campagne corporate di BFFP –. Tuttavia la lunga serie di ripetute promesse non mantenute in passato da parte di Coca Cola, ci costringe ad accogliere questo annuncio con riserva. Date le risorse a disposizione e il suo enorme contributo all’inquinamento da plastica globale, riteniamo che l’azienda possa proporre obiettivi più aggressivi ed essere più trasparente sul come perseguire questi impegni. Speriamo tuttavia che anche altre aziende del settore seguano l’esempio della Coca Cola fissando degli obiettivi di riuso”

L’ong Upstream per voce del suo direttore esecutivo Matt Prindiville commenta dal sito che la Coca Cola può raggiungere il suo obiettivo attraverso due modalità. Espandendo in primis l’offerta di contenitori ricaricabili e contribuendo a costruire la necessaria infrastruttura di raccolta, lavaggio e riempimento. In questo scenario, le bottiglie ricaricabili possono diventare la nuova normalità sugli scaffali dei negozi e nei minimarket.
In seconda battuta la multinazionale potrebbe, collaborando con i partner della filiera, incrementare l’uso di bicchieri riutilizzabili nella vendita di bevande alla spina in ambienti chiusi come campus universitari o aziendali, fast food, parchi a tema, stadi, sia per il consumo sul posto che come asporto.

Peccato – afferma Prindeville –  che mentre la Coca Cola apre alle bottiglie ricaricabili in altri paesi abbia abbandonato questa opzione (negli Stati Uniti decenni fa) e si debba ora ricostruire da zero. Tuttavia, permangono grandi opportunità per poter ripartire, e a cominciare dagli stati e regioni che hanno approvato i sistemi di deposito cauzionale per le bevande. Inoltre –  conclude Prendiville – vogliamo vedere la Coca Cola sostenere apertamente le politiche che possono contribuire ad aumentare la quota di contenitori ricaricabili immessa al consumo a cominciare dai sistemi cauzionali.

Leggi anche: Inquinamento da plastica, il rapporto che inchioda le “solite” multinazionali

Le reazioni in Italia: “Le altre aziende seguano l’esempio”

Dall’Italia si uniscono al plauso per la decisione di Coca Cola sia l’associazione Comuni Virtuosi sia Greenpeace Italia. Quest’ultima scrive sul proprio sito: “L’Italia è uno dei Paesi che consumano più bottiglie di plastica al mondo e, secondo i nostri dati, dei circa 11 miliardi di bottiglie immesse al commercio ogni anno nel nostro Paese 7 miliardi non vengono riciclate. Se Coca Cola ha assunto un impegno importante verso il crescente ricorso a packaging riutilizzabile, ora anche altre aziende come San Benedetto, Nestlé-San Pellegrino e Sant’Anna devono fare la loro parte e seguire l’esempio!”.

L’impegno di aumentare la quota dei contenitori riutilizzabili non è in realtà una “nuova strategia” quanto una strategia di “ritorno sui propri passi” da parte dei produttori di bevande. Quanto ha commentato Prindiville di Upstream sulla dismissione dei sistemi di vuoto a rendere finalizzati al riciclo negli Usa e in Canada è un fenomeno che ha interessato tutti i paesi.

Il mercato dei contenitori riutilizzabili è in declino da decenni

Da elaborazioni ottenute dal dashboard della piattaforma Reloop  (di cui siamo membri come associazione comuni virtuosi ) per il rapporto What we waste è stato possibile ricavare alcuni dati riferiti alla percentuale di riuso del 1999 e di 19 anni dopo nel 2018. Eccoli riassunti di seguito:

1) L’ 85% delle vendite di bevande in contenitori ricaricabili avviene solamente in 20 Paesi, mentre Coca Cola è presente in 200 mercati.

2) La Germania, che ha la quota più alta di vendite (bottiglie riutilizzabili in vetro e PET), registra in realtà un calo del 18%, dal 73% del 1999 al 55% del 2018;

3) Tra i paesi dell’America Latina che hanno ancora una quota importante di riuso ci sono la Colombia (dal 91% al 59%), il Venezuela (dal 75% al 68%). In altri Paesi i numeri sono più bassi, con l’Argentina (dal 51% al 34%), Brasile (dal 40% al 26%) e Perù (dal 77% al 31%).

Un servizio del programma Panorama della BBC trasmesso nello scorso ottobre, intitolato “Coca-Cola’s 100 Billion Bottle Problem” ha indagato proprio sullo stato dell’arte delle tre promesse del piano World without waste. Il documentario è girato a Samoa nelle Filippine e in Uganda, Paesi privi di sistemi di raccolta e riciclo, e riflette le condizioni tipiche di tanti mercati in cui la multinazionale è presente. A Samoa è stato chiuso proprio lo scorso anno un concessionario della Coca Cola che produceva, imbottigliava e commercializzava le bevande in bottiglie di vetro a rendere.

Bottiglie che venivano poi recuperate dopo l’uso in un sistema a ciclo chiuso, che sosteneva l’occupazione locale e preveniva la produzione di rifiuti.

Leggi anche: Come l’usa e getta favorisce le aziende fossili, il rapporto di Greenpeace

Una soluzione che garantisce il ritorno dei contenitori esiste già

Infine Coca Cola, come gli altri produttori di bevande, ha davanti a sé altre sfide da affrontare per quanto riguarda gli imballaggi, ben fotografate dal terzo rapporto sullo stato di avanzamento degli impegni intrapresi dai grandi marchi internazionali dei beni di largo consumo all’interno del Global Commitment.

Come analizzato qui, per quanto riguarda le bottiglie di plastica – oltre ad arrivare a raccoglierne il 90% rispetto all’immesso entro il 2029 – c’è l’obiettivo di contenuto riciclato minimo da raggiungere entro il 2025 e 2030. La multinazionale è passata dal 9% di contenuto riciclato del 2018 all’11,5% del 2020.

Arrivare al 25% entro il 2025 significa andare ben oltre il raddoppio in cinque anni. Un traguardo impossibile, a meno che Coca Cola non sciolga le riserve nei confronti dei sistemi cauzionali e contribuisca a farli diventare una realtà in tutti i Paesi dove ancora mancano. Non soltanto, quindi, nei 35 mercati globali citati dal rapporto, che in realtà sono caratterizzati da una bassa disponibilità di PET post consumo.

Leggi anche: lo Speciale sul Deposito su cauzione

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