Colorare i tessuti con cui produciamo capi di abbigliamento sta riducendo drasticamente una delle risorse naturali più importanti, se non la più importante, del nostra pianeta: l’acqua. Gli attuali processi di tinteggiatura utilizzano circa 200 tonnellate di acqua per la colorazione di 1 tonnellata di tessuto, e secondo il World Bank Group circa il 20% dell’inquinamento delle acque deriva da trattamenti di colorazione dei tessuti. Se pensiamo che si stima una produzione di circa 80 miliardi di capi di abbigliamento ogni anno, di cui una grandissima parte è alla fine destinata a discarica o incenerimento, parlare di disastro ambientale non è poi così eccessivo. Inquiniamo acqua con sostanze chimiche per prodotti che non verranno mai utilizzati, ma che al contrario producono ulteriori impatti sull’ambiente.
Batteri per la lotta all’inquinamento
C’è chi, investendo in ricerca e sviluppo, è riuscito a trovato l’alternativa alle tinture chimiche nel mondo dei batteri. Una realtà ancora poco esplorata con cui però Faber Futures, azienda di progettazione che si occupa di tecnologia, design e natura, si è messa in gioco con il progetto Coelicolor. La fondatrice e bio-designer Natsai Audrey Chieza ha negli anni sviluppato con i suoi collaboratori dei metodi di tintura tramite pigmenti prodotti dal batterio Streptomyces coelicolor, capace di generare molecole di pigmento sulle fibre se fatto sviluppare direttamente sul tessuto. Questa caratteristica peculiare fa si che il processo di colorazione non sia solo più veloce e privo di sostanze chimiche, ma anche adattabile alle esigenze di stile poiché il pigmento cambia colore in base all’acidità delle condizioni di sviluppo del batterio. Si parla quindi di un processo con importanti benefici per l’ambiente: oltre alla mancanza di scarti nocivi e inquinanti, si ha un utilizzo di acqua 500 volte più basso dei normali processi di colorazione attualmente in uso. Faber Futures ha nelle sue mani l’opportunità di avviare una vera e propria rivoluzione nel settore tessile, conciliando efficienza, sostenibilità e estetica. Progetti come Coelicolor permettono di sostituire processi convenzionali con strategie di fabbricazione tramite biomateriali e microrganismi e andare incontro alle esigenze di quei designer e marchi di moda che si stanno lanciando nella sfida alla sostenibilità e circolarità.
Potenzialità naturali
Dietro a tutto il lavoro di Faber Futures c’è l’obiettivo di sviluppare dei processi di biologia sintetica pensati per un futuro post-petrolio per cui, tramite ricerca e tecnologia, si portino a galle le capacità innate del sistema naturale o si migliorino le qualità già esistenti negli organismi viventi. E chi si siede al tavolo di progettazione nei vari settori comincia a cogliere questa opportunità. In un dibattito sul futuro delle plastiche organizzato dalla rivista Dezeen, specializzata in architettura e design, Chieza spiega il fulcro dei progetti di Faber Futures: “Lavoriamo in un framework di ricerca e sviluppo che mette l’ecologia la primo posto, quindi questo diventa l’elemento portante nei nostri progetti, riconoscendo che per riuscire a farlo dobbiamo cambiare mentalità”. Sperimentando la produzione di batteri sui tessuti, Faber Futures, ha capito di poter pensare a potenziali processi per impiegare questo pigmento naturale. Fine ultimo dell’azienda è creare delle procedure che possano essere replicabili, e nel caso dei pigmenti naturali, permettere la scalabilità di processi di colorazione tramite biologia sintetica.
C’è bisogno di collaborazione
Ulteriore obiettivo per Chieza e i suoi collaboratori è spingere verso una progettazione a rifiuti zero, quindi mettere in pratica il principio designing out waste. Per supportare una progettazione attenta all’intero ciclo di vita del prodotto, Chieza sottolinea come la creazione di un sistema di nuovi materiali debba necessariamente dipendere dal coinvolgimento attivo dei designer (non solo quelli dell’industria tessile), determinanti nel definire le modalità per estendere il loro utilizzo. Ma un problema ormai chiaro quando si parla di implementare nuovi processi produttivi è il divario tra teoria e reale volontà di applicazione da parte degli attori coinvolti. “Stiamo lavorando nei vari settori per applicare i nostri processi e abbiamo una lista di partnership e partner molto entusiasti che capiscono veramente che si parla di lungo termine. Se vuoi essere competitivo tra 10 anni è meglio che inizi ora”, commenta Chieza. C’è infatti chi ancora è in attesa di segnali normativi dall’altro per cambiare passo invece di anticipare i tempi.
Lotta al petrolio
Per quanto riguarda superare la visione petrolio-centrica, pensare a un mondo senza plastica sembra ancora un miraggio. Seppur sia ben chiaro che bisognerebbe liberarsi dall’utilizzo di combustibili fossili, continuiamo ad esempio a alimentare e spingere l’industria della plastica. Ricercare e sviluppare nuovi materiali alternativi sembra essere l’unica soluzione per accelerare questa transizione verso un sistema zero plastica: “Ciò che sta facendo riflettere veramente i designer è come ripensare a dove ‘vivono’ i materiali visto che la biologia lo fa in maniera spontanea…..penso che cambiare la mentalità permette alla natura di mostrarci di cosa è capace per farci poi tornare sul tavolo di progettazione e domandarci come possiamo approcciare il dislocamento della materia”.
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