La Francia prosegue nel percorso per incentivare il riutilizzo di contenitori alimentari in plastica, vetro o acciaio inossidabile, considerandolo una parte essenziale della strategia per eliminare la plastica monouso entro il 2040, come stabilisce la legge del 2020. Accanto al supporto legislativo, all’impegno dei consumatori e della filiera alimentare, un pilastro indispensabile è avere una catena logistica adeguata e capillare per sostenere il sistema del riutilizzo.
In poche parole servono centri di lavaggio per le stoviglie e i contenitori alimentari riutilizzabili perché possano essere nuovamente riempiti. E questi centri di lavaggio non devono essere nemmeno troppo distanti dai luoghi di distribuzione e consumo, altrimenti le emissioni per il trasporto diminuiscono nettamente i benefici ambientali del riutilizzo, oltre che contribuire a far lievitare i costi e, dunque, rendere il riutilizzo meno attraente per molte attività della ristorazione.
Perciò Uzaje, una delle aziende francesi in prima linea nel “fornire soluzioni facili e accessibili ai consumatori, ai produttori e alle autorità locali per aiutarci ad abbandonare gli imballaggi usa e getta e a partecipare attivamente alla transizione ecologica”, come si legge sul sito dell’azienda, ha investito 3,5 milioni di euro per realizzare un terzo centro di lavaggio a Strasburgo da affiancare a quelli di Neuilly-Sur-Marne e Avignone, in grado di servire la domanda dei consumatori non solo in Francia, ma nei Paesi limitrofi, a partire da Germania e Lussemburgo fino alla Svizzera.
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I progressi della logistica francese
Dalla sua nascita, nel 2018, Uzaje ha lavato oltre 8,5 milioni di contenitori per alimenti. Dalle 70 tonnellate di contenitori riutilizzati trattati nel 2021, Uzaje prevede di passare a 28.000 tonnellate nel 2027. Da qui la necessità di un nuovo centro di lavaggio, in grado di pulire diverse decine di migliaia di contenitori provenienti dai settori della ristorazione (collettiva e commerciale) e dall’industria agroalimentare. Si tratta di un impianto all’avanguardia, progettato per trattare cento milioni di contenitori all’anno e dotato delle più recenti tecnologie di pulizia industriale.
L’impianto sarà dotato di un tunnel di lavaggio a immersione di ventitré metri per le bottiglie e di un tunnel di lavaggio a spruzzo per barattoli e vaschette. A monte del processo di pulizia, una macchina brevettata rimuove le etichette dai contenitori da riutilizzare. Tra i primi clienti di Uzaje ci sono noti nomi della ristorazione francese come L’Alsacienne de Restauration, API e Zerooo. Nel centro lavoreranno quaranta persone, più quelle impiegate per costruirlo in una zona industriale dismessa su un’area di 4000 metri quadrati: l’ulteriore dimostrazione di come l’economia circolare e la sostenibilità creino posti di lavoro e non li eliminino.
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Va bene il riciclo ma non basta: i benefici del riutilizzo
Le istituzioni e l’industria hanno investito molto nel riciclo dei rifiuti negli ultimi anni e continuano a farlo. Tuttavia, nel 2018 l’Environmental Audit Committee aveva stimato che meno dell’1% delle tazze monouso viene riciclato anche se conferito in un cassonetto per la raccolta differenziata. Questo perché molte tazze sono realizzate con materiali misti, il che le rende più difficili da riciclare. La maggior parte dei contenitori monouso non riciclati finisce perciò in discarica dove impiegherà centinaia di anni prima di decomporsi.
Non bisogna inoltre dimenticare la gerarchia dei rifiuti, in cui il riutilizzo è l’opzione da preferire (dopo ovviamente l’assenza di rifiuti) in termini di economia circolare, in quanto è più economico dal punto di vista del consumo di risorse non solo rispetto alla produzione di nuovi oggetti ma anche del riciclo, perché le tazze e i contenitori riutilizzabili hanno una durata maggiore rispetto a quelli usa e getta, indipendentemente se la plastica è riciclata o meno: ad esempio una bottiglia riutilizzabile evita la produzione di almeno venti nuove bottiglie. La pulizia industriale dei contenitori alimentari, infine, consente di prolungarne ulteriormente il ciclo di vita dei contenitori prima della successiva fase di riciclo e perciò riduce il ricorso all’incenerimento o al conferimento in discarica.
I vantaggi ambientali sono notevoli. Secondo le stime degli operatori del settore, il riutilizzo degli imballaggi può far risparmiare fino al 50% di acqua sul ciclo di vita totale del prodotto e taglia le emissioni di CO2 dell’85% e il consumo di energia del 75% rispetto agli imballaggi monouso. La produzione di dodici tazze monouso richiede la stessa quantità di energia e quindi di carbonio di quella necessaria per produrre una tazza riutilizzabile, quindi basta superare questa soglia per avere una soluzione più sostenibile. Una tazza riutilizzata cento volte necessita l’88% di energia in meno e la relative emissioni di CO2 nella produzione e comporta una riduzione dei rifiuti fino al 92% rispetto a cento tazze monouso.
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La pulizia è un’operazione delicata e servono centri specializzati
Se però un contenitore non è igienicamente pulito e sicuro da usare, non è naturalmente riutilizzabile. I microrganismi presenti nelle acque stagnanti possono causare problemi di ogni tipo se ingeriti, tra cui problemi respiratori, nausea, crampi, diarrea e infezioni. La pulizia degli articoli riutilizzabili è dunque un fattore tanto importante quanto metterli a disposizione dei consumatori. I rischi per la sicurezza alimentare potrebbero associarsi a esperienze negative per i cittadini, con conseguente perdita di fiducia nel sistema del riuso e dunque nella sua diffusione. Non a caso varie ricerche hanno dimostrato come i timori sulla pulizia delle stoviglie siano uno dei principali ostacoli percepiti dalle persone nei confronti del riutilizzo.
La pulizia degli articoli riutilizzabili, peraltro, comporta difficoltà aggiuntive rispetto a quella delle stoviglie tradizionali. L’asciugatura delle materie plastiche dopo il lavaggio è più difficile e può richiedere più tempo, per cui è necessaria una soluzione specifica per contrastare l’umidità residua che potrebbe successivamente portare alla ri-germinazione. Inoltre è necessario assicurarsi di usare i prodotti per la pulizia e le attrezzature giusti rispetto al materiale con cui sono realizzati gli articoli riutilizzabili. Ad esempio, le plastiche in acrilonitrile butadiene stirene (ABS) sono sensibili agli alcali e non possono sopportare le condizioni create dalla pulizia profonda con prodotti altamente alcalini. Il calore e le procedure non corrette possono non solo ostacolare la pulizia e l’igiene, ma anche compromettere l’aspetto, creare crepe e causare danni alla superficie di alcuni articoli riutilizzabili.
Tutti elementi che tendono a scoraggiare i consumatori a riutilizzare un contenitore. Oltre, naturalmente, ad accorciare la durata di vita utile delle stoviglie e la conseguente necessità di acquistarne di nuove, limitando i benefici ambientali. È evidente, perciò, quanto siano necessari operatori specializzati per gestire la mole crescente di stoviglie e contenitori riutilizzabili e le loro specificità. E torniamo al tema iniziale: senza una riorganizzazione logistica della catena del riuso diventa tutto più complicato.
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