[di Cristina Ghetti]
La dimostrazione di come anche una sfilata di moda – uno degli eventi spesso considerati fra i più frivoli in assoluto – possa trasformarsi in un esempio virtuoso di riuso e circolarità
Sinossi
In una strada del centro storico di Faenza, nel 2016 ha aperto i battenti un negozio di abbigliamento e accessori usati che coniuga, al suo interno, un’anima profondamente sociale con l’impegno ambientale legato al tema del riuso consapevole. Dress Again – il cui nome vuole forse fare l’occhiolino ai famosi charity shops inglesi – mette a disposizione dei clienti una vasta scelta di abbigliamento usato di qualità, proveniente principalmente da donazioni fatte da privati all’organizzazione di volontariato Farsi Prossimo, che gestisce anche un Centro di ascolto e prima accoglienza per persone in difficoltà socio-economica presenti sul territorio. I proventi del negozio vengono reinvestiti nelle attività del Centro (mensa, posti letti per senza fissa dimora, distribuzione gratuita di alimenti ecc.), ma alla finalità più propriamente benefica si affianca il desiderio di contribuire alla diffusione della cultura del riuso – non solo di indumenti – come mezzo per combattere lo spreco e ridurre la produzione di rifiuti. L’intera filiera di recupero – dalla selezione alla vendita in negozio – è gestita da volontarie, che si occupano anche dell’organizzazione di eventi collaterali, con l’intento di pubblicizzare le buone pratiche di economia circolare che il negozio porta avanti. Fra gli eventi più riusciti e d’impatto, c’è l’annuale Sfilata di moda etica, che porta in passerella i migliori capi usati in vendita al Dress Again.
Sfilare di nuovo, dopo essere stato rinchiuso per anni in un armadio, soffocato all’interno di un cellophane da lavanderia. Non lo avrei mai immaginato! Una sfilata vera, morbidamente appeso alle spalle di una bella ragazza, con i capelli raccolti e bijou di gusto a incorniciarne il sorriso, che incede con un minimo di emozione tra due ali di spettatori. Gli applausi si susseguono a ondate successive, punteggiati qua e là dai flash di giovanissimi fotografi. La passerella scompare, inghiottita da un muro di spettatori e fotografi, e l’indossatrice lascia scivolare lungo le braccia la stola di pizzo che le copre le spalle. Poi si esibisce in una piroetta decisa, che solleva il lembo della gonna, e affronta il ritorno. Resterò appeso alle sue spalle fino al gran finale, poi aspetterò sulla gruccia i compratori, che arriveranno numerosi e si contenderanno il piacere di acquistarmi. Vivrò di nuovo, assaporando il profumo di una festa in una notte d’estate.
“Partecipare come modello a una sfilata” penso sorridendo, mentre attendo il mio turno per percorrere il lungo tappeto bianco che funge da passerella, “è uno di quegli scherzi”, scherzo piacevole, lo ammetto, “che mai mi sarei aspettato dalla vita”. Mi hanno detto che ci sono 5/600 spettatori in sala e gli applausi entusiasti arrivano fino alla stanza dove noi modelli ci cambiamo. Io ho appena indossato un completo gessato e occhiali da sole. Poi mi toccheranno un lungo cappotto color cammello, jeans e maglione a collo alto e, forse, anche un cappello a tesa. Non so, deciderà all’ultimo la sarta volontaria che mi aiuta a cambiare velocemente d’abito. Mi chiamo Assane e vengo dal Senegal. No, non sono sbarcato da poco da un gommone come il ragazzo nigeriano, anche lui modello alla sfilata, che si cambia d’abito all’altro lato della stanza. Lui è giovane e ha delle cicatrici sulla faccia – una spiegazione dei perché o un ricordo del suo viaggio? – io ho la cittadinanza italiana, sono un migrante economico qui ormai da molti anni. Ciò che ci unisce è l’aver cercato entrambi aiuto, in un momento di estrema difficoltà, al Centro di ascolto e accoglienza gestito dall’organizzazione di volontariato “Farsi Prossimo”. Al Centro sono stato ospitato, quando per tanti motivi ero rimasto senza lavoro e senza casa, e ho avuto la possibilità di ricominciare, ripartendo quasi da zero, una nuova vita. In questo somiglio agli abiti usati che sfilano oggi: anche a loro è concessa la possibilità di una seconda vita. Alla “Farsi Prossimo” ho molti amici e, quando capita, mi fa piacere dare una mano. Mi hanno chiesto di sfilare perché, a detta di Maddalena, ho il fisico giusto: sono alto, magro, mediamente muscoloso. Insomma, una taglia standard che si adatta magnificamente a molti degli abiti da uomo da indossare. Perché, trattandosi di una sfilata di abiti usati, «con le taglie», spiega Maddalena, «bisogna accontentarsi» e sono gli abiti, nel nostro caso, a scegliere modelli e compratori, non il contrario!
Dalla seconda edizione della “Sfilata di Moda Etica” al “Dress Again”: una storia che parte da lontano
Il negozio Dress Again apre a Faenza nel 2016. Nasce da un progetto finanziato con i fondi dell’8xmille della chiesa cattolica, grazie alla collaborazione tra la Caritas diocesana e l’organizzazione di volontariato “Farsi Prossimo”, che lo gestisce. Quel again – di nuovo, nuovamente, ancora una volta – che accompagna dress – un’abito da indossare – scelto come nome per il negozio, dice molto della filosofia che ne ha sostenuto l’apertura. Again come seconda opportunità per gli abiti usati che vi vengono rivenduti, ma anche per molte delle persone che, a vario titolo, con il negozio interagiscono.
L’attività di recupero e riutilizzo di abiti usati – ma anche di cibo, giocattoli, mobili e stoviglie – accompagna l’organizzazione dalla sua nascita, nell’ormai lontano 1991. Infatti, attraverso un capillare lavoro di sensibilizzazione all’etica del dono – l’offerta gratuita di beni, da parte di chi non li usa più, a persone che si trovano in difficoltà economica e, spesso, anche sociale – i volontari hanno iniziato fin da subito a raccogliere, grazie soprattutto a donazioni di privati, abiti, scarpe, coperte e biancheria, da ridistribuire a chi si rivolge al Centro di ascolto e prima accoglienza che l’organizzazione gestisce. Si tratta di singoli e famiglie in situazioni di grave disagio, spesso senza casa o in condizioni di povertà estrema.
Patrizia è una volontaria che ormai da anni si occupa del magazzino dove vengono stoccati, per essere selezionati, gli abiti raccolti – destinando quelli sporchi o rovinati, e dunque non più utilizzabili, al riciclaggio come scarti tessili. «Aprire un negozio di abiti e accessori usati» racconta Patrizia «ha avuto senso nel momento in cui ci siamo trovati, nel corso degli anni, a ricevere donazioni di abiti troppo eleganti o impegnativi – come abiti da sera o cerimonia – che agli utenti del Centro di ascolto non interessavano, mentre potevano aspirare a ritornare sul mercato come usato di qualità. Eravamo ancora nella sede di Via Minardi (N.d.A. la precedente sede dell’organizzazione) e io e un’altra volontaria abbiamo iniziato a riempire scatoloni con abiti e accessori, a volte bellissimi e di grandi marche, ma francamente inutili nella vita di ogni giorno», borse poco resistenti o capienti, scarpe con tacchi altissimi e abiti certo eleganti, ma scomodi per essere indossati ogni giorno, «mettendoli poi da parte in un angolo di magazzino.»
Nel frattempo, le iniziative di sensibilizzazione di “Farsi Prossimo” verso modelli di riutilizzo lontani dalle logiche consumistiche, più vicini a stili di vita sobri, sostenibili e attenti alle relazioni con il mondo, si moltiplicano. Per coinvolgere anche bambini e ragazzi nasce, nel 2011, la Fiera del baratto e del riuso. La logica che si vuole far sperimentare è essenziale nella sua semplicità e immediatezza. “Possediamo degli oggetti che per noi non hanno più valore? Magari possono averlo per qualcun altro!” Un vestito diventato piccolo, un giocattolo che non si usa più, un libro già letto: tutto può essere portato in fiera e scambiato, 1 contro 1, per mettere in pratica e trasmettere un semplice concetto: il valore reale di un oggetto non è quello di mercato, ma quello che gli attribuisce la persona che lo acquista. I vestiti portati alla Fiera del baratto per essere scambiati sono stati migliaia, tanto che negli ultimi anni si è dovuto porre il limite di tre capi per offerente, per evitare che soffocassero le altre categorie merceologiche.
Si arriva così al 2015 e il Centro di ascolto si sposta nella nuova e più ampia sede di via Ubaldini. Anche gli scatoloni di usato di qualità messi da parte da Patrizia e dalle altre volontarie devono essere traslocati e ci si rende conto che sono diventati davvero tanti. Abbastanza da riempire un intero negozio.
Il Dress Again attraverso gli occhi delle volontarie che lo animano
Nel 2016 viene preparato il progetto e il negozio di abbigliamento e accessori usati “Dress Again” apre i battenti, con tanto di festa di inaugurazione. Si tratta di un negozio ampio, con due grandi vetrine, in una strada del centro. Coordinatrice del negozio, all’inizio, è stata Maddalena Guazzolini che, dopo averlo fatto crescere nei primi due anni di attività, ha passato il testimone a un’altra operatrice della “Farsi Prossimo”, Barbara Lanzoni. Barbara si è presa qualche mese di vacanza in attesa della nascita del suo secondogenito, così il punto di riferimento del negozio è adesso una giovane architetto, Francesca Poloni, una delle tante volontarie che se ne prendono cura.
«Quando conosci spazi come quello del Dress, ti rendi conto che può esistere una circolarità anche in un mondo effimero come quello della moda», riflette Francesca, «e questo, di per sé, è già positivo. Bisognerebbe avere più coscienza dei processi che si innescano quando si compra un abito: io, per esempio, non mi vesto quasi più nei negozi tradizionali e, come me, anche altre volontarie. Ci fa piacere perché nel negozio si respira una bella atmosfera, ma soprattutto si tratta di una scelta etica. Quando compri un capo frivolo in un negozio tradizionale, devi renderti conto che vengono dissipati tempo ed energie per produrlo, al solo scopo di indossarlo 2 o 3 volte e poi magari buttarlo via. Inoltre, hai la certezza che in entrambi i percorsi – produzione e smaltimento – ci sono passaggi tutt’altro che etici, sia dal punto di vista ambientale, sia da quello sociale. Questo implica anche, spesso, una scarsissima attenzione all’ambiente o lo sfruttamento dei lavoratori. Al contrario, alimentare un negozio come il Dress, anche con scelte tutto sommato frivole, ha un impatto diverso sull’ambiente e sulla sostenibilità. Poi il vestito che io compro qui, dopo averlo indossato un po’ di volte, magari lo riporto in negozio e, in questo modo, lo faccio rientrare in un circolo virtuoso!»
Assieme a Francesca, oggi al Dress ci sono Mirella e Gabriella, che aggiorna la pagina Facebook del negozio, sempre zeppa di fotografie delle ultime novità. «Ognuna di noi è arrivata qui coinvolta da un’amica», racconta Mirella, «e anch’io, da subito, ho cercato di coinvolgerne altre: “Dai vieni, abbiamo tante cose!” Alcune mi rispondevano: “Capi usati! Mai al mondo!” Poi, però, si sono appassionate, hanno cambiato idea e adesso vengono ad acquistare regolarmente.»
La Sfilata di moda etica viene organizzata ogni anno in autunno, con i migliori abiti, rigorosamente usati, presenti in negozio. «In occasione della sfilata», racconta Patrizia, «abbiamo dei picchi di vendita notevolissimi e i capi vanno a ruba. Sono coinvolte tutte le volontarie e moltissimi amici del Dress e della “Farsi Prossimo”, che ci aiutano ad allestire gli spazi oppure sfilano, fotografano o si occupano della musica e del buffet. Si tratta di un momento di vera comunione.»