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mercoledì, Dicembre 4, 2024

“Basta con le chiacchiere sul clima”: l’appello di UNEP agli Stati

La 15esima edizione del report del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente anticipa la Cop29 con una serie di dati eclatanti sulle emissioni, ancora in aumento. L’obiettivo degli accordi di Parigi di 10 anni fa appare quasi irrealizzabile. Ma possiamo ancora fermare il collasso climatico. Ecco come

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Un pupazzo di neve completamente sciolto e, a fianco, un’ormai inutile bandierina con il logo degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu: si apre con una copertina fumettistica e drammatica allo stesso tempo l’edizione 2024 dell’Emissions Gap Report, l’annuale documento diffuso dall’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che come ogni volta viene lanciato poco prima dei negoziati sul clima e dunque, per quest’anno, della Cop29 che si terrà dall’11 al 24 novembre in Azerbaijan.

È probabilmente il report scientifico più atteso e quello che più di tutti indica la direzione da perseguire, perché traccia il divario tra la direzione in cui si stanno dirigendo le emissioni globali rispetto agli attuali impegni nazionali e il punto in cui dovrebbero essere per limitare il riscaldamento ben al di sotto dei 2°C e perseguire l’obiettivo dell’aumento contenuto a 1,5°C in linea con gli obiettivi di temperatura dell’Accordo di Parigi. Ogni edizione esplora le modalità per colmare il divario nelle emissioni, affrontando di anno in anno questioni specifiche di interesse e rilevanza per i negoziati.

L’attenzione di questa edizione è focalizzata sulla necessità e sulle opzioni per accelerare l’azione per il clima e raggiungere livelli di ambizione globale in linea con gli obiettivi di temperatura dell’Accordo di Parigi, in vista soprattutto della nuova generazione di contributi determinati a livello nazionale (NCD), previsti per il 2025. A 10 anni di distanza dalla più cruciale delle Cop, dunque, la Cop30 di Belem, in Brasile, potrà tracciare un punto fondamentale sulle mancanze da colmare e sugli sforzi da perseguire . Ma intanto alla Cop29 il mondo arriva preparato dal punto di vista climatico? La risposta breve è no, per quella lunga continuate a leggere.

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Basta con le chiacchiere sul clima

Basterebbe il titolo del report di UNEP per sintetizzare efficacemente il documento di 100 pagine – di cui più di 35 sono dedicate esclusivamente a link di dati e riferimenti scientifici – con il quale la pubblicazione del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente si rivolge ai quasi 200 Stati che ne fanno parte. “No more hot air … please!” è l’appello rivolto nel titolo, in cui l’aria calda diventa anche, dal punto di vista figurativo, aria fritta. Il sottotitolo in questo senso è invece più esplicativo e indica che “with a massive gap between rhetoric and reality, countries draft new climate commitments”, vale a dire che “con un divario enorme tra retorica e realtà, i Paesi elaborano nuovi impegni sul clima”.

Il 15esimo Emissions Gap Report si concentra sui contributi determinati a livello nazionale (NDC), fissati a livello climatico dalla Cop21 di Parigi nel 2015, con obiettivi di mitigazione per il 2035 e una prima valutazione che avverrà nel 2025. “La portata della sfida è indiscutibile – si legge nel report – Allo stesso tempo, ci sono abbondanti opportunità per accelerare l’azione di mitigazione insieme al raggiungimento di urgenti esigenze di sviluppo e degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli sviluppi tecnologici, in particolare nell’energia eolica e solare, continuano a superare le aspettative, abbassando i costi di distribuzione e guidando la loro espansione di mercato. La valutazione aggiornata dei potenziali di riduzione delle emissioni settoriali inclusa nel rapporto di quest’anno mostra che il potenziale di riduzione delle emissioni tecnico-economiche basato sulle tecnologie esistenti e a costi inferiori a 200 dollari statunitensi per tonnellata di anidride carbonica equivalente (tCO2e) rimane sufficiente per colmare il divario delle emissioni nel 2030 e nel 2035. Ma ciò richiederà il superamento di formidabili barriere politiche, di governance, istituzionali e tecniche, nonché un aumento senza precedenti del supporto fornito ai Paesi in via di sviluppo insieme a una riprogettazione dell’architettura finanziaria internazionale”.

Il dato più sconfortante da cui partire è quello iniziale: nonostante l’aumentata sensibilizzazione l’aumento delle emissioni totali di gas serra prosegue senza sosta, anzi, nel 2023 è stata superiore dell’1,3 percento rispetto ai livelli del 2022, superiore perfino al tasso medio del decennio precedente la pandemia di COVID-19 (2010-2019), quando la crescita delle emissioni era in media dello 0,8 percento all’anno. Nel 2023 il settore energetico, compresa la produzione di elettricità, è stato il maggiore responsabile globale delle emissioni, seguito dai trasporti, dall’agricoltura e dall’industria. Mentre la favoletta che saremmo usciti migliori dalla pandemia di Covid-19 si è rivelata tale, almeno dal punto di vista climatico, come insegna la vicenda delle emissioni dell’aviazione internazionale che, diminuite in modo significativo nel 2020 e nel 2021, hanno mostrato la crescita più elevata al 19,5 percento nel 2023 rispetto ai livelli del 2022 (rispetto a una crescita media annua del 3,1 percento dal 2010 al 2019), indicando chiaramente un quasi rimbalzo ai livelli pre-COVID-19.

Altri settori che sono cresciuti rapidamente nel 2023 (ovvero a un tasso superiore al 2,5 percento) includono le emissioni fuggitive dalla produzione di carburante (infrastrutture di petrolio e gas e miniere di carbone), dal trasporto su strada e dalle emissioni dell’industria legata all’energia. Insomma: la conferma più autorevole, semmai ce ne fosse ancora bisogno, di quel che sosteniamo da tempo, vale a dire che le responsabilità maggiori sono sempre quelle fossili, le stesse da più di un secolo, e che l’iniquo e predatorio modello di sviluppo attuale, basato sulle fonti fossili, deve essere profondamente trasformato. Per la salvezza del pianeta e di chi lo vive.

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Disparità di emissioni vuol dire disuguaglianze sociali

Anche le emissioni di gas serra nei membri del G20 sono aumentate nel 2023 e hanno rappresentato il 77 percento delle emissioni globali. I sei maggiori emettitori di gas serra hanno rappresentato il 63 percento delle emissioni globali di gas serra. Al contrario, i paesi meno sviluppati hanno rappresentato solo il 3 percento.

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“Anche le emissioni basate sui consumi rimangono altamente diseguali” fa notare il report di UNEP. Tuttavia le promesse climatiche degli Stati, neppure troppe ambiziose a dire il vero, devono fare i conti con la realtà dei dati presentati dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Tutti i membri del G20, ad eccezione del Messico e dell’Unione Africana (collettivamente), hanno fissato obiettivi net-zero. Ma con orizzonti temporali troppo lontani nel tempo (di solito il 2050 e, nel caso della Cina, il 2060) e, soprattutto, senza far seguire i fatti ai proclami. “Nel complesso – si legge nel report – sono stati compiuti progressi limitati rispetto alla valutazione dell’anno scorso sugli indicatori chiave della fiducia nell’attuazione dell’obiettivo zero emissioni nette, tra cui lo status giuridico, l’esistenza e la qualità dei piani di attuazione e l’allineamento delle traiettorie delle emissioni a breve termine con gli obiettivi zero emissioni nette”.

Non va meglio se ci si sofferma sui contributi nazionali, che verranno discussi alla prossima Cop29 di Baku e ridiscussi alla futura Cop30 di Belem. “Si stima che i membri del G20 non raggiungano ancora i loro obiettivi NDC per il 2030, con le attuali proiezioni politiche – segnala l’UNEP – Si stima che 11 membri del G20 siano fuori strada per raggiungere i loro obiettivi NDC con le attuali politiche, e i membri del G20 che si prevede raggiungano il loro obiettivo NDC in base alle attuali politiche sono quelli che non hanno rafforzato, o hanno solo moderatamente rafforzato, i loro livelli obiettivo nei loro NDC più recenti. Inoltre, nel complesso gli obiettivi NDC del G20 sono lontani dalle riduzioni percentuali globali medie richieste per allinearsi agli scenari di 2°C e 1,5°C”.

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Quanto spazio di manovra c’è per intervenire davvero?

La mancanza di azione e il tempo perso hanno delle implicazioni” ammonisce la 15esima edizione dell’Emissions Gap Report dell’UNEP. E in effetti, a guardare alcuni dati incontrovertibili – come il record di temperature per 14 mesi consecutivi in Europa – e una serie impressionante di eventi meteorologici estremi sparsi per il globo, viene da chiedersi: quanto tempo c’è rimasto per agire e arrestare ciò che sembra inarrestabile?

“È importante sottolineare che l’inazione riduce la possibilità di colmare il divario delle emissioni nel 2030, a causa del continuo vincolo di infrastrutture ad alta intensità di carbonio e del minor tempo a disposizione per realizzare le riduzioni delle emissioni richieste. Ciò aumenta ulteriormente il rischio di sbalzi di temperatura e aggrava gli impatti climatici sempre più gravi, alcuni dei quali sono irreversibili” ammonisce il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente.

“Si stima che la continuazione dello sforzo di mitigazione implicito nelle attuali politiche limiterà il riscaldamento globale a un massimo di 3,1°C (intervallo: 1,9–3,8) nel corso del secolo. La piena attuazione e la continuazione del livello di sforzo di mitigazione implicito con scenari NDC incondizionati o condizionati abbassano queste proiezioni a 2,8°C (intervallo: 1,9–3,7) e 2,6°C (intervallo: 1,9–3,6), rispettivamente. Tutti con almeno il 66 percento di probabilità”.

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Gli scenari d’azione prospettati da UNEP sono tre. “In base a questi tre scenari, le proiezioni del riscaldamento centrale indicano che la possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sarebbe praticamente pari a zero” fanno notare le curatrici e i curatori del report. È forse la presa d’atto più pragmatica, e urgente allo stesso tempo, che deve far riflettere: mentre gli annunci politici vaneggiano ancora di obiettivi irrealizzabili, sarebbe meglio puntare su quelli realistici, mantenendo la bussola della più alta ambizione possibile.  “L’unico scenario che si avvicina di più all’obiettivo di temperatura dell’accordo di Parigi è lo scenario più ottimistico, che presuppone che tutti gli impegni più rigorosi attualmente assunti dai paesi, in altre parole gli NDC condizionali e tutti gli impegni net-zero, compresi quelli assunti come parte di strategie di sviluppo a basse emissioni a lungo termine, siano pienamente implementati. Si stima che questo scenario limiti il riscaldamento nel corso del secolo a 1,9 °C (intervallo: 1,8-2,3, probabilità >66%). Questo è anche l’unico scenario basato sugli impegni in cui il riscaldamento globale è stabilizzato nel corso di questo secolo”.

Non tutto è perduto, dunque, ma il momento per agire davvero è ora o mai più.

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“Queste proiezioni evidenziano l’impatto cruciale di un’azione immediata sui probabili risultati della temperatura e la necessità di un supporto rafforzato per consentire ai paesi di raggiungere gli elementi condizionali dei loro NDC. Le proiezioni basate sull’implementazione e la continuazione dello scenario NDC condizionale riducono il picco di riscaldamento di circa 0,5 °C rispetto a quelle basate sulle attuali politiche. Inoltre, il rispetto degli NDC condizionali a breve termine aumenta la probabilità di raggiungere gli impegni di zero emissioni nette, il che riduce ulteriormente le proiezioni del riscaldamento globale di circa 0,5 °C. Questi risultati sottolineano l’importanza critica non solo di raggiungere, ma di superare le riduzioni delle emissioni promesse per il 2030 insieme a un salto di qualità nell’ambizione nei prossimi NDC”.

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Dove agire per fermare il collasso del clima

Fermare il collasso climatico, per usare la definizione del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, è ancora un obiettivo possibile, afferma UNEP, ma serve capire che continuando ad agire allo stesso modo non si potrà ottenerla. Ad esempio si deve partire dal fatto che non si può chiedere un identico contributo a tutti gli Stati. “Il G20 è un gruppo di paesi molto eterogeneo, anche in base alle emissioni storiche, attuali e pro capite – fa notare l’Emissions Gap Report – Ciò significa che alcuni membri del G20 dovranno tagliare le proprie emissioni più velocemente di altri. Inoltre, una maggiore cooperazione e un maggiore sostegno a livello internazionale, anche attraverso un finanziamento potenziato per il clima, saranno essenziali per garantire che le opportunità e gli sforzi per raggiungere gli obiettivi globali di mitigazione e sviluppo possano essere realizzati equamente tra i membri del G20 e a livello globale”.

Quel che più dovrebbe rinfrancarci è che le soluzioni ci sono già, non vanno inseguite chimere tecnologiche, ma serve dare priorità a ciò che già funziona. “L’aumento dell’impiego di sole due opzioni comprovate e competitive in termini di costi, l’energia solare fotovoltaica e quella eolica, rappresentano il 27 percento del potenziale di riduzione delle emissioni totali nel 2030 e il 38 percento nel 2035. Nella silvicoltura, la riduzione della deforestazione, l’aumento della riforestazione e il miglioramento della gestione forestale presentano opzioni a basso costo prontamente disponibili con grandi potenziali di riduzione delle emissioni di circa il 19 e il 20 percento del potenziale totale nel 2030 e nel 2035, rispettivamente. Altre importanti e prontamente disponibili opzioni di mitigazione includono misure dal lato della domanda, misure di efficienza ed elettrificazione e cambio di combustibile nei settori dell’edilizia, dei trasporti e dell’industria”.

Ovviamente per perseguire tali risultati serve un reindirizzamento della finanza e degli investimenti: come fa notare UNEP “si stima che l’allineamento con gli scenari a 1,5°C richieda almeno un aumento di sei volte degli investimenti di mitigazione, accompagnato da un cambiamento nei modelli di investimento, concentrandosi sulle attività di mitigazione e indirizzando i finanziamenti internazionali verso i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo al di fuori della Cina. Queste regioni affrontano urgenti esigenze di sviluppo, ma la crescita degli investimenti è stagnante dalla crisi finanziaria globale del 2008”.

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Infine la versione 2024 dell’Emissions Gap Report fornisce un’utile lista di “compiti per casa” che è necessario eseguire per garantire il proseguimento della vita della terra così l’abbiamo finora conosciuto:

  • Rispettare gli standard più elevati: includendo tutti i gas elencati nel Protocollo di Kyoto, coprendo tutti i settori, stabilendo obiettivi quantitativi specifici in relazione a un anno base ed essendo espliciti riguardo agli elementi condizionati e incondizionati.
  • Descrivere in dettaglio come i piani nazionali che danno priorità allo sviluppo nazionale e ai progressi verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, tra cui resilienza, adattamento e giusta transizione, siano coerenti con gli ambiziosi sforzi per ridurre le emissioni
  • Essere trasparenti e chiari su come la proposta NDC rifletta sia una quota equa sia la più alta ambizione possibile, dato il requisito per tutti i paesi di assumere impegni che riflettano il loro livello di sviluppo, le loro emissioni storiche e il loro attuale contributo al riscaldamento globale attraverso emissioni sia territoriali che di consumo.
  • Includere piani di attuazione dettagliati che perseguano opzioni per accelerare l’azione di mitigazione ora e obiettivi di mitigazione significativamente più ambiziosi per il 2035. Questi dovrebbero considerare parametri di riferimento settoriali e tutte le opzioni e i potenziali di mitigazione rilevanti nei contesti nazionali. Dovrebbero anche spiegare come i piani contribuiscono a triplicare l’impiego di capacità rinnovabile e a raddoppiare i tassi annuali di efficienza energetica entro il 2030 e ad abbandonare i combustibili fossili. E dovrebbero descrivere meccanismi di revisione e rendicontazione.
  • Utilizzare gli NDC per essere espliciti sugli elementi condizionali e incondizionati, con le economie dei mercati emergenti e in via di sviluppo che forniscono dettagli sui mezzi di attuazione di cui hanno bisogno, compresi i cambiamenti istituzionali e politici, nonché il sostegno e i finanziamenti internazionali richiesti per raggiungere gli ambiziosi obiettivi NDC per il 2035.

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