“Ridurre le emissioni delle auto: più facile a dirsi che a farsi”. Si apre così, con un vero e proprio commento che è allo stesso tempo un efficace titolo giornalistico, il comunicato stampa con il quale la Corte dei conti europea rende nota la prima relazione speciale del 2024.
In una lunga e dettagliata relazione di 61 pagine i giudici amministrativi, nel loro ruolo di controllo della gestione finanziaria dell’Unione Europea, sottolineano che “gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO₂ dell’UE per le autovetture nuove non saranno raggiungibili finché mancheranno prerequisiti importanti. Nonostante le grandi ambizioni e i requisiti stringenti, la maggior parte delle autovetture che circolano sulle strade dell’UE emette ancora la stessa quantità di CO₂ di 12 anni fa. I veicoli elettrici possono aiutare l’UE ad avvicinarsi a un parco auto a zero emissioni”. Allo stesso tempo la Corte avverte che gli sforzi profusi in questa direzione devono cambiare marcia.
Soprattutto perché sebbene negli ultimi trent’anni l’UE sia riuscita a ridurre le emissioni di gas a effetto serra in molti settori, le emissioni di CO₂ prodotte dal settore dei trasporti hanno continuato ad aumentare. Nel 2021 costituivano il 23% del totale delle emissioni di gas a effetto serra nei 27 Stati membri dell’Unione e più della metà di esse era prodotta dalle autovetture.
Leggi anche: Raggiungeremo gli obiettivi 2030 sul clima? I dubbi della Corte dei Conti europea
Il brutto primato dell’Italia sulle auto
Come è noto, i costruttori possono ridurre le emissioni di CO₂ producendo auto che consumano quantità minori di carburante (ad esempio, diesel o benzina), producendo veicoli a zero emissioni (ad esempio, auto elettriche) o combinando le tecnologie (ad esempio, auto ibride ricaricabili).
Proprio in questi giorni Eurostat ha diffuso una statistica davvero interessante sul numero di auto in circolazione. “Nel 2022 – scrive Eurostat – il numero medio di autovetture ogni 1.000 abitanti nell’UE era di 560. Nel decennio 2012-2022, il numero medio è aumentato del 14,3% (da 490 a 560 autovetture ogni 1.000 abitanti). L’Italia ha il numero più alto con 684 autovetture ogni 1.000 abitanti, seguita da Lussemburgo (678), Finlandia (661) e Cipro (658). Nel frattempo, la Lettonia ha il tasso più basso con 414 autovetture ogni 1.000 abitanti, seguita da Romania (417) e Ungheria (424)”.
Troppe auto, dunque, per un Continente in cui la popolazione è in diminuzione. Insomma: a prescindere dalla tipologia di veicolo la verità è che le auto in circolazione dovrebbero diminuire. Ma, come insegna il brutto dibattito pubblico intorno alla decisione del Comune di Bologna di diventare una “città a 30 km/h”, il lavoro da fare, culturale prima ancora che normativo, è ancora tanto.
Su Altreconomia il professore Paolo Pileri ci va giù duro. “Sterile, controproducente e avversa al futuro. Così definirei la polemica che vede contrapposti da un lato il Comune di Bologna e il suo sindaco, Matteo Lepore, e dall’altro il ministero delle Infrastrutture e il suo ministro, Matteo Salvini. Quello che è stato deciso e messo in campo a Bologna è la cosa giusta. Anzi, siamo perfino in ritardo nel mettere in atto una strategia 30 all’ora nelle nostre città (…) Le strategie vincenti messe in campo da molte città europee da ormai più di venti anni sono esattamente quelle adottate da Bologna. Anzi quello che è stato fatto nel capoluogo emiliano è solo l’inizio di un processo che, se vogliamo raggiungere il traguardo di una vera sostenibilità, dovrà evolvere verso un ridisegno della città e verso forme di mobilità in città che lascino sempre meno spazio alle automobili, soprattutto per gli spostamenti brevi che sono, statisticamente, i più numerosi”.
Leggi anche: Poco sostenibili, poco disponibili e più cari: così la Corte dei conti europea boccia i biocarburanti
Non ci sono garanzie sulle emissioni delle auto
Tuttavia dalla relazione della Corte dei conti europea apprendiamo che il resto dell’Unione europea non se la passa, poi, tanto meglio rispetto all’Italia. Già il titolo completo della relazione speciale n°1/24 è esplicativo: Ridurre le emissioni di biossido di carbonio delle autovetture – Finalmente si accelera, ma la strada presenta ostacoli. Il contesto normativo comunitario, infatti, appare ancora fragile, soprattutto in determinati passaggi.
Il regolamento sui livelli di prestazione in materia di emissioni di CO₂ delle autovetture nuove è la principale misura che l’Ue ha adottato per ridurre le emissioni di biossido di carbonio prodotte dai veicoli nuovi. Dal 2010 fissa un valore-obiettivo di emissioni medie per i veicoli nuovi a livello UE e, dal 2012, una serie di valori-obiettivo di emissioni specifici a livello dei costruttori. Il regolamento è stato poi oggetto di modifiche importanti nel 2019, a seguito dello scandalo “Dieselgate” del 2017.
Ma resta una grave discrasia: oggi, infatti, le emissioni di CO₂ prodotte dalle singole auto sono basate sulle misurazioni effettuate in condizioni di laboratorio standardizzate, a differenza di quelle misurate su strada. I miglioramenti, che pure ci sono stati, hanno ridotto ma non azzerato il divario tra le emissioni di laboratorio e quelle reali.
Inoltre ogni costruttore, che è tenuto a dichiarare le emissioni di CO₂ di un veicolo sul certificato di conformità, deve pagare un’indennità per le emissioni se non raggiunge valori-obiettivo specifici per le emissioni. Le ambizioni sono cresciute nel tempo, con l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2035.A tali ambizioni, però, non corrispondono analoghi risultati.
“Nel 2020 – scrive la Corte – 11 anni dopo l’entrata in vigore del primo regolamento sulle emissioni di CO₂ delle auto, le emissioni di CO₂ prodotte dalle autovetture nuove hanno iniziato a diminuire sensibilmente. Questo calo è stato reso possibile principalmente dalla notevole diffusione dei veicoli elettrici, visto che le emissioni reali di CO₂ prodotte dalle auto con motori a combustione non sono diminuite.
Sebbene la Commissione abbia raccolto e verificato i dati sulle emissioni di CO₂ in linea con il regolamento, non ci sono garanzie sufficienti circa l’esattezza delle emissioni di CO₂ dichiarate dai costruttori sui certificati di conformità delle auto nuove. La Corte raccomanda alla Commissione di fare miglior uso degli strumenti elettronici di raccolta e verifica dei dati delle auto e riorientare i valori-obiettivo di riduzione delle emissioni di CO₂ sugli elementi principali che incidono sulle emissioni di CO₂ delle autovetture nuove”.
Le difficoltà, e la necessità, della transizione all’auto elettrica
“La rivoluzione verde dell’UE può compiersi solo se si riducono di molto i veicoli inquinanti, ma si tratta di una grande sfida”, ha affermato Pietro Russo, il membro della Corte che ha diretto l’audit. “Una riduzione reale e tangibile delle emissioni di CO₂ prodotte dalle auto non sarà realizzabile finché prevarranno i motori a combustione, ma allo stesso tempo elettrificare il parco auto dell’UE costituisce un’impresa impegnativa”.
La Corte osserva che le emissioni reali prodotte dalle auto tradizionali, che costituiscono ancora quasi tre quarti delle immatricolazioni di veicoli nuovi, non sono diminuite. Negli ultimi dieci anni, le emissioni delle auto a diesel sono rimaste costanti, mentre quelle delle auto a benzina sono diminuite in modo marginale (- 4,6%). Il progresso tecnologico in termini di efficienza del motore è controbilanciato dall’aumento della massa dei veicoli (in media circa +10 %) e della potenza dei motori (in media +25 %).
La stessa cosa succede alle auto ibride, le cui emissioni reali di CO₂ tendono a essere molto superiori a quelle registrate in laboratorio. Nel tentativo di riflettere meglio la situazione reale, le proporzioni tra l’uso del motore elettrico e di quello a combustione saranno riadattate, ma solo a partire dal 2025. Fino ad allora, le auto ibride ricaricabili continueranno a essere considerate veicoli a basse emissioni, a beneficio dei costruttori di auto. Fino ad allora, inoltre, i costruttori di auto continueranno ad applicare alcune delle disposizioni introdotte con il regolamento sulle emissioni di CO2, che hanno consentito loro di risparmiare quasi 13 miliardi di euro di indennità per le emissioni in eccesso per il solo 2020.
Secondo la Corte, solo i veicoli elettrici (che sono passati da un veicolo ogni 100 nuove immatricolazioni nel 2018 a quasi uno su sette nel 2022) hanno trainato la riduzione della media delle emissioni di CO₂ reali degli ultimi anni. Tuttavia, la strada da percorrere è dissestata, in quanto l’UE incontra notevoli difficoltà nell’accelerare la diffusione dei veicoli elettrici.
Il primo ostacolo da superare è l’accesso alle materie prime per costruire un numero sufficiente di batterie, come evidenziato da un’altra relazione della Corte dei conti europea. In precedenza, la Corte aveva espresso preoccupazione anche per l’inadeguatezza delle infrastrutture di ricarica: il 70 % di tutte le stazioni di ricarica nell’UE è concentrato in soli tre paesi (Paesi Bassi, Francia e Germania). Infine l’accessibilità economica è fondamentale: dati i costi iniziali più elevati delle auto elettriche, i consumatori potrebbero preferire mantenere più a lungo i loro vecchi veicoli inquinanti.
Le risposte della Commissione e dell’Agenzia Europea dell’Ambiente
Come per ogni relazione della Corte dei conti europea, di particolare interesse sono anche le risposte fornite dalle istituzioni tirate in ballo dai giudici amministrativi. In questo caso specifico sono allegate le relazioni della Commissione europea e dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, nota anche con l’acronimo inglese EEA.
Da parte propria la Commissione apprezza il lavoro svolto dalla Corte e riconosce che “quello dei trasporti è l’unico settore in cui le emissioni di CO₂ a livello europeo non sono diminuite dal 1990, complice anche il fatto che il numero di autovetture in circolazione ha continuato ad aumentare”. Ricorda inoltre le ambizioni ancora più decise, stabilite col pacchetto di riforme Fit for 55. Inoltre concorda sulla “necessità di compiere ulteriori sforzi per accelerare la raccolta e la pubblicazione dei dati di monitoraggio, continuando nel contempo a garantire la solidità e l’affidabilità dei risultati e delle conclusioni”, scaricando in maniera velata la responsabilità sugli Stati membri. Si legge infatti che “la Commissione riconosce la necessità di monitorare da vicino l’attuazione della legislazione e dicollaborare con gli Stati membri e i costruttori per assicurare il rispetto della normativa applicabile e, se necessario, adottare adeguate misure di esecuzione”.
Se la risposta della Commissione, comunque, è dettagliata ed entra nel merito delle singole contestazioni della Corte dei conti Ue, la risposta dell’Agenzia europea dell’ambiente è molto più scarna. Appena una pagina e, in realtà, ancor meno righe, per sottolineare giusto che si accetta la raccomandazione specifica rivolta all’EEA (“rendere tutte le funzioni di comunicazione e verifica dello strumento Reportnet3 disponibili agli Stati dichiaranti e ai costruttori, per permettere loro di caricare ed effettuare prove sui propri dati”. Aggiungendo giusto una chiosa, cioè che “è importante notare che il regolamento si applica ai 27 Statimembri dell’UE nonché all’Islanda, alla Norvegia e al Regno Unito (fino al 2020). I sistemi di raccolta e verifica dei dati si applicano in egual misura a questi Paesi, il che può quindi avere conseguenze sulla tempestività del processo“.
Leggi anche: I progressi dell’Ue verso l’economia circolare? Insufficienti, secondo la Corte dei conti europea
© Riproduzione riservata