Si può ereditare di tutto: un appartamento, una casa, un negozio, un’azienda. Capita anche di ricevere un casale in montagna, un rudere nel bosco, o persino un bosco. Ma cosa vuol dire possedere un pezzo di terra, più o meno esteso, costellato da querce, lecci, pioppi, faggi, olmi, abeti? È un lascito strano. Per la società contadina spartire e consegnare porzioni di bosco significava garantire opportunità di lavoro e occasioni di sussistenza a figli e nipoti, ma oggi che ce ne facciamo di una proprietà del genere?
In un Paese come l’Italia porsi questa domanda non indirizza verso casi isolati, al contrario, ci porta a osservare la maggioranza del patrimonio forestale nazionale. Il 65% della superficie forestale italiana (bosco e altro tipo di terre boscate) è proprietà privata, il 30% è in mano a enti pubblici, segue poi un 5% non classificabile. Dall’ultimo inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio, curato dal comando forestale dell’arma dei carabinieri e dal centro di ricerca foreste del Crea, emerge che la maggioranza della proprietà privata (circa il 75%) è di tipo individuale, il resto è patrimonio di gruppi di imprese. Questa particolarità genera un grande problema di frammentazione che limita gli interventi di salvaguardia del territorio, la messa in sicurezza e tante possibilità di sviluppo per una risorsa che copre un terzo del territorio nazionale, e che continua a espandersi.
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L’avanzata del bosco
In dieci anni la superficie boschiva del nostro paese è aumentata di circa 580mila ettari, la biomassa forestale registra una crescita del 18,4%. Parliamo di 10 milioni di ettari di boschi e 2 di altre terre boscate. Come ricorda il gruppo scientifico della strategia forestale nazionale – pubblicata lo scorso 10 febbraio in gazzetta ufficiale – questo processo di espansione è dovuto per lo più “al progressivo spopolamento e abbandono colturale e gestionale del territorio, delle aree rurali, montane e interne del Paese”. Il bosco avanza e occupa quel che resta di aziende agricole, pascoli, vigneti e di tutte quelle attività economiche legate al mondo contadino. Come interpretare questa situazione? L’assorbimento di carbonio, il contrasto al cambiamento climatico, la regolazione idrogeologica, la custodia della biodiversità, il legname, i combustibili, il ciclo dei nutrienti: sebbene la crescita in corso della superficie forestale sia un punto di forza per godere di questi e di tanti altri servizi ecosistemici, assistere all’avanzata dei boschi senza una gestione attiva rischia di non valorizzare “il ruolo e il contributo multifunzionale delle foreste”.
Infatti, per i curatori della strategia forestale “grazie alla capacità di poter svolgere molteplici e diversificate funzioni, le richieste e le attenzioni rivolte al patrimonio forestale sono spesso in conflitto. Per questo gli ecosistemi forestali necessitano di una attenta e diffusa pianificazione, basata sul bilanciamento di interessi diversi (pubblico/privati, locali/globali, di breve/lungo periodo), che ne garantisca sempre la salvaguardia nel tempo e ne valorizzi e tuteli le vocazioni locali”. Ed ecco che tornano gli ostacoli della proprietà privata e delle successioni. Il frazionamento fondiario finisce per diventare il punto debole delle politiche forestali, perché il degrado e l’abbandono dei boschi in mano ai privati allontanano scenari di sviluppo per l’economia montana, possono far rallentare i programmi di monitoraggio ambientale, rendono ancora più difficile concretizzare il rilancio della filiera del legno.
Molte persone considerano una superficie boschiva come un fardello; eredità ingombrante ed evanescente allo stesso tempo, a volte persino difficile da raggiungere, di solito onerosa da mantenere e sconveniente da vendere visto che i costi notarili e le tasse di successione finirebbero per superare il valore dei terreni. Ma c’è chi ha deciso di affrontare questa parcellizzazione fornendo strumenti, costruendo legami, mettendo in circolo saperi tramite una piattaforma innovativa e partecipata: Forestsharing.
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“Creare valore con le persone, non sulle persone”
Progetto della start up Bluebiloba, nata in un percorso di incubazione di imprese nell’Università di Firenze, Forestsharing è un contenitore che facilita l’incontro tra proprietari di boschi, imprese forestali, esperti e professionisti del settore. Dietro la piattaforma e la start up c’è un team composto da dottori forestali, esperti di economia circolare e da informatici che lavorano insieme per valorizzare la gestione sostenibile del patrimonio boschivo italiano, con processi di sharing economy, con la selvicoltura di precisione e con l’aggregazione dei terreni forestali, creando valore “con le persone, non sulle persone, guardando alla gestione forestale con occhi nuovi”, come scritto in homepage della piattaforma.
“Siamo partiti da una serie di mancanze e questioni che segnano da tempo il mondo forestale – racconta a Economiacircolare.com Guido Milazzo, socio fondatore di Forestsharing e di Bluebiloba – Per esempio, la maggioranza dei boschi italiani oltre a essere di proprietà privata è anche poco utilizzata, solo il 15% è sottoposto a gestione attiva. Mancava un contenitore, un modo per mettere insieme chi possiede un bosco con chi conosce il bosco. Parliamo di realtà molto differenti, soprattutto per quanto riguarda i proprietari forestali, che nella maggior parte dei casi non si occupano di certo di selvicoltura per professione. Alla possibilità di costruire una community tra soggetti differenti, abbiamo unito lo scambio di strumenti e di conoscenze, questo consente di dare l’empowerment necessario per cambiare modo di considerare la proprietà forestale. Per noi è importante come e non solo cosa lavorare nel bosco”.
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Come funziona la piattaforma
Per utilizzare i servizi di Forestsharing il proprietario boschivo inserisce i dati anagrafici, i dati catastali e indica in ettari una stima della dimensione del terreno. Dopodiché la piattaforma domanderà: cosa vorresti fare col tuo bosco? Legna da ardere, un percorso di trekking, un parco avventura, una semplice pulizia: in base alle proprie intenzioni l’utente seleziona una o più modalità di gestione: integrata, fruitiva, produttiva, ricreativa eccetera. A questo punto il proprietario diventa parte attiva della comunità di forestsharing e riceve gratuitamente una prima analisi sulla situazione del bosco e sulle prospettive di valorizzazione.
Saranno i dottori forestali e i vari esperti a indicare la fattibilità della gestione indicata dall’utente. Chi si iscrive alla piattaforma può decidere se mantenere una gestione autonoma, utilizzando le tecnologie e le competenze della community, oppure può scegliere di affidare la gestione operativa della proprietà a Forestsharing, che attraverso la ricerca di bandi, l’acquisizione di dati e il coinvolgimento di aziende forestali lavorerà per ridare valore a questa risorsa. In questo modo domanda e offerta di servizi forestali trovano un punto d’incontro in una piattaforma digitale che prova a ricomporre il frastagliato patrimonio boschivo italiano. “Siamo operativi dall’autunno del 2020, oggi abbiamo circa 500 iscritti per seimila ettari di bosco analizzati da Nord a Sud del Paese – spiega ancora Milazzo – Ci sono richieste ed esigenze diverse, ma quello che vogliamo condividere con tutti i proprietari è una cultura forestale basata sulla circolarità dei saperi e sulla sostenibilità. La rendita economica su un bosco non è un punto di arrivo, quello che conta è l’approccio, è la condivisione di responsabilità. Nel nostro caso chi produce informazioni e pratiche sulle foreste le trasmette ai proprietari e alle aziende, sulla base di regole di ingaggio condivise e fondate su indicatori di sostenibilità, per questo oltre alla nostra adesione a PEFC lavoriamo soltanto con chi segue questo standard. Vogliamo far capire ai nostri utenti che la produzione e la condivisione di conoscenza devono essere meccanismi circolari al servizio di un bene comune”.
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Un patrimonio da ricomporre
A ricordarci che il bosco non è solo un’eredità personale è anche il testo unico in materia di foreste e filiere forestali, che fin dalle prime righe parla del patrimonio forestale nazionale come “parte del capitale naturale nazionale e come bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future”. Dunque, anche le foreste registrate come proprietà privata devono essere messe in condizione di svolgere la loro funzione sociale. I boschi privati si configurano come un bene a uso controllato in cui è indispensabile mettere in campo azioni per l’interesse collettivo. L’aggregazione dei proprietari promossa da Forestsharing concretizza questo principio, lo rende praticabile e valorizza i servizi ecosistemici offerti dai boschi. Mettere insieme i proprietari terrieri dovrebbe essere un compito delle istituzioni: in particolare il testo unico parla di gestioni associate e di associazionismo fondiario tra proprietari pubblici e privati. Le Regioni infatti “devono sostenere la costituzione e la partecipazione ai consorzi forestali, a cooperative che operano prevalentemente in campo forestale o ad altre forme associative tra i proprietari e i titolari della gestione dei beni terrieri, valorizzando la gestione associata delle piccole proprietà, i demani, le proprietà collettive e gli usi civici delle popolazioni”, si legge nel decreto.
C’è un patrimonio da ricomporre e in attesa di maggior considerazione da parte delle istituzioni. Secondo Davide Pettenella, professore di economia e politica forestale all’Università di Padova e tra i massimi esperti italiani di gestione delle risorse forestali, le iniziative come Forestsharing segnano una strada da seguire. “Forestsharing è una buona pratica, ci indica un esempio. Sulla stessa strada troviamo anche cooperative di comunità, condomini di bosco, associazioni forestali, contratti di foresta e tante esperienze interessanti nate dalle comunità locali. Queste energie e queste diversità progettuali – continua Pettenella – devono camminare insieme per arrivare a una sintesi. E quella parte del patrimonio forestale di proprietà dei comuni, delle regioni e di altri enti pubblici può essere un grande catalizzatore”.
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