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sabato, Dicembre 14, 2024

Contesto, obiettivi e dubbi sulla presidenza dell’Italia al G7 Ambiente e Clima di Torino

Ambizione e realismo: così il ministro Fratin ha sintetizzato la guida italiana al G7 Ambiente e Clima, che si terrà il 29 e il 30 aprile a Torino. Per il think tank per il clima ECCO “il rischio più grande è quello di dedicare troppa attenzione a tecnologie marginali, come i biocombustibili, o del tutto assenti, come il nucleare”

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

“L’Italia arriva al G7 con ambizione e realismo”. Le parole del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin sono ormai il mantra del governo Meloni. Seppur apparentemente inconciliabili, è da queste parole che bisogna partire per comprendere la portata e gli obiettivi degli incontri che si tengono dal 28 aprile a Torino, dove i ministri responsabili di ambiente, clima e energia dei Paesi G7 si incontreranno per discutere di come trasformare gli impegni presi alla COP28 di Dubai in azioni concrete. Il più importante tra questi è certamente “la transizione dalle fonti fossili”, la formula un po’ ambigua e allo stesso tempo storica con la quale la Conferenza Annuale sui Cambiamenti Climatici che si è tenuta nel novembre 2023 negli Emirati Arabi Uniti ha chiuso i lavori.

“L’abbandono delle fonti fossili deve essere accompagnato da un rapido sviluppo delle energie rinnovabili e delle misure di efficienza energetica – osserva il think tank per il clima ECCO –  Questo per garantire che la transizione favorisca stabilità di prezzo e sostenibilità, e quindi tutela, a cittadini, imprese e finanze pubbliche, slegando il sistema Italia dalla dipendenza dal gas, costata oltre 90 miliardi tra il 2021 e il 2023. Passi avanti consisterebbero invece in nuovi obiettivi per lo sviluppo della rete elettrica e delle batterie, che sono le infrastrutture e tecnologie abilitanti della transizione, soprattutto nel settore elettrico. Al contrario, un nuovo supporto pubblico per investimenti in gas, oltre ad essere in contraddizione con gli obiettivi climatici dei Governi G7, sarebbe deleterio per il debito pubblico e le bollette di cittadini e imprese, senza apportare reali nuovi benefici per la sicurezza energetica”.

Per l’Italia si tratta di un appuntamento fondamentale, considerata anche la presidenza del G7 che culminerà con il vertice, che si terrà a Borgo Egnazia, in Puglia, dal 13 al 15 giugno 2024, in cui saranno presenti i capi di stato e di governo dei sette Paesi membri, oltre al presidente del Consiglio Europeo e alla Presidente della Commissione Europea in rappresentanza dell’Unione Europea. Attraverso il ruolo della presidenza, come è noto, l’Italia può provare a dare un’indicazione propria ai negoziati. Anche se va comunque tenuto conto che tali vertici costituiscono l’approdo di mesi e mesi di negoziati, portati avanti dai gruppi di lavoro dei rispettivi Paesi, e che il comunicato finale che sintetizzerà la due giorni di lavori è in parte già scritto. Proprio per questo motivo, dunque, per comprendere la direzione che vorrà dare il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica bisognerà guardare anche all’avvio di gruppi di lavoro, coalizioni, focus e specifiche collaborazioni sui temi di interesse.

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Un G7 che deve fare i conti con i BRICS +

Nella narrazione di “casa nostra” il G7 è il vertice degli Stati più economicamente rilevanti del mondo. Ma è davvero così? A scorgere l’elenco dei partecipanti del forum intergovernativo  – Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America – si notano alcune mancanze degne di nota. Che diventano ancora più rilevanti se teniamo in considerazione proprio l’ambiente e il clima. Dove sono Cina e India, rispettivamente al primo e al terzo posto per quantità di emissioni complessive? Dove sono Stati come la Russia (al quarto posto), l’Iran (settimo) e l’Arabia Saudita (ottavo), tutti accomunati dal fatto di essere tra i principali fornitori al mondo di combustibili fossili? Giocano in un altro campionato, se ci perdonate la metafora sportiva. Cioè i BRICS, che dall’1 gennaio 2024 si sono allargati, con la formula BRICS +: oltre agli Stati che hanno formato quest’alleanza – che nei primi anni ‘2000 venivano definiti “economia emergenti” – e cioè Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, da qualche mese si sono aggiunti Iran, Arabia Saudita, Egitto, Argentina, Emirati Arabi ed Etiopia.

Come faceva notare qualche tempo la giornalista Milena Gabanelli in un approfondimento sul Corriere della Sera, ci si avvia cioè un verso mondo multipolare e non più a matrice Usa. L’allargamento dei BRICS, scrive Gabanelli, “sarà il primo passaggio di una specie di «big bang» che aspira a cambiare gli equilibri geoeconomici del mondo. Almeno altri 40 Stati hanno già chiesto di entrare nel club, dall’Algeria (che, aggiungiamo noi, ha sostituito la Russia come principale fornitore di gas dell’Italia, ndr) alla Repubblica democratica del Congo, dall’Indonesia a Cuba, dal Kazakistan al Gabon. Si sta formando, dunque, una coalizione che salda grandi potenze, come Cina, India e Russia, a nazioni africane, asiatiche, sudafricane ancora in via di sviluppo”.

Il G7 ambiente e clima  a guida italiana, dunque, va contestualizzato: il vertice non è più il cuore produttivo e industriale del mondo ma è l’insieme dei Paesi che intendono ancora esercitare un ruolo di guida a livello globale in merito alla crisi climatica, di cui tra l’altro sono i principali responsabili se guardiamo alle serie storiche. Basti pensare, come fa notare ancora Gabanelli, che con la formazione a 11 i Paesi dei BRICS producono il 37,3% del prodotto lordo mondiale, a parità di potere d’acquisto, mentre il G7 il 30,3% e l’Unione europea il 14,5% del PIL mondiale. E le percentuali sono destinate ad accentuarsi verso la direzione dei BRICS +. Come a dire che, mutati gli equilibri economici, i Paesi del G7 dovranno mettere in campo uno sforzo maggiore e iniziative più credibili se vogliono mantenere l’autodesignata leadership a livello globale.

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Di cosa si parlerà al G7 di Torino

Il G7 Ambiente e Clima di Torino è praticamente a metà strada tra la passata COP28 di Dubai e la futura COP29 di Baku, in Azerbaijan, dove si discuterà del nuovo obiettivo collettivo di finanza per il clima (New Collective Quantified Goal on Climate Finance o NCQG), ovvero il budget che sarà messo a disposizione per i Paesi in via di sviluppo e vulnerabili per sostenere gli investimenti necessari a ridurre le emissioni, per l’adattamento e per le perdite e i danni dagli impatti climatici. I risultati che emergeranno dal vertice di Torino saranno perciò cruciali anche per il futuro, soprattutto per la cruciale COP30 di Belém, in Brasile, che nel 2025 metterà gli Stati di fronte agli impegni che finora sono stati disillusi. La COP30, infatti, sarà infatti il momento in cui i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi – a dieci anni dallo storica COP21 – dovranno presentare i nuovi contributi nazionali di riduzione delle emissioni, i cosiddetti NDCs (Nationally Determined Contributions), ovvero gli obiettivi e piani di decarbonizzazione che saranno attuati da ogni Paese per limitare a 1,5°C il riscaldamento globale.

Un appuntamento al quale l’Italia che presiede G7 di Torino arriva, è il caso di dirlo, col fiatone: negli ultimi cinque anni in Europa si è registrato in media un aumento della temperatura di 2,3 gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale, quasi il doppio rispetto alla media globale. Ad accertarlo negli scorsi giorni è stato il nuovo rapporto congiunto dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), che fa capo alle Nazioni Unite, e da Copernicus, l’agenzia di monitoraggio del clima dell’Unione europea. All’agenda del G7 Clima il MASE ha dedicato un’apposita conferenza stampa, che si è tenuta il 16 aprile nella sede romana dell’associazione Stampa estera, allo scopo di illustrare il programma, il metodo di lavoro e gli obiettivi del vertice.

g7 fratin

“Per la parte Ambiente – scrive il MASE – il focus sarà su: consumo e produzione sostenibili, economia circolare ed efficienza delle risorse, con particolare riferimento al tema del riciclo delle materie prime critiche e della circolarità nell’industria tessile e nella moda. Verranno poi affrontati gli ambiti legati al contrasto dell’inquinamento per natura e persone, la biodiversità, gli ecosistemi, il mare e gli oceani. Centrale sarà il tema dell’uso sostenibile delle risorse idriche. Particolare rilievo avrà la collaborazione con Paesi terzi, in particolare con l’Africa su temi trasversali quali il contrasto al degrado del suolo e la lotta alla desertificazione, l’uso delle tecnologie avanzate per il monitoraggio e la prevenzione degli effetti dei cambiamenti climatici e la sostenibilità delle filiere produttive”.

“Nella sessione Clima ed Energia – rende ancora noto il MASE – si affronterà il tema della ‘Net-zero’ agenda, con obiettivi volti a potenziare i sistemi di accumulo e flessibilità, in modo da gestire il forte apporto delle rinnovabili. Al centro anche il potenziamento dell’efficienza energetica e il rafforzamento della sicurezza, in particolare per la catena di approvvigionamento dei minerali critici necessari per lo sviluppo delle rinnovabili. E ancora, puntare su nuove tecnologie energetiche tra cui ricerca e sviluppo del nucleare sostenibile, ridurre le emissioni di metano e promuovere la collaborazione con i Paesi terzi, specie con quelli più vulnerabili e con gli Stati africani, sul fronte dello sviluppo di risorse energetiche, infrastrutture locali e adattamento”.

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I dubbi sul G7 e sulla guida italiana

Il programma elaborato dal MASE non sembra però convincere tutte e tutti. Lo si è visto nella giornata del 26 aprile, quando alcune attiviste e attivisti di Extinction Rebellion, travestite e travestiti da clown, hanno fatto la loro comparsa su dei tricicli davanti all’ingresso della sede RAI di Torino, mentre altre due attiviste hanno occupato la tettoia dell’edificio e hanno esposto uno striscione con scritto “G7 Ambiente: -2 giorni all’inizio del circo”. La RAI, scrive nel comunicato il movimento internazionale ambientalista, è stata scelta per denunciare allo stesso tempo l’assenza di una informazione seria sulla crisi ecoclimatica e la pressione politica che il governo sta esercitando negli ultimi mesi sull’informazione pubblica. “Mentre il governo italiano annuncia il nuovo piano energetico nazionale, il cosiddetto piano Mattei, basato sull’estrazione e trasporto di gas e petrolio, e in tutti i governi del G7 l’abbandono delle fonti fossili è ancora troppo lento e graduale, Torino si prepara ad ospitare l’ennesimo summit internazionale. Sarà l’ennesimo fallimento?” si chiede Extinction Rebellion.

Nei giorni di preparazione al vertice del G7 le mobilitazioni di XR sono proseguite e si sono ampliate: dopo l’occupazione temporanea di sei ore del cortile delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo nel giorno dell’assemblea degli azionisti, per denunciare i massicci finanziamenti della banca in progetti legati a petrolio e gas, c’è stata anche l’occupazione del grattacielo di Intesa Sanpaolo, sgomberato da un notevole presenza di forze dell’ordine.

Torino, fa notare invece il collettivo ReCommon, “è anche la città di Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana sia in termini di capitalizzazione che di sostegno ai combustibili fossili. Per questo porteremo (giorno 30, nda) nel capoluogo piemontese un ospite che arriva da lontano, ma che ha un messaggio molto chiaro per i ministri del G7 e i vertici di Intesa Sanpaolo: basta estrarre gas e basta finanziamenti alle infrastrutture che servono per lo sfruttamento del gas. Il nostro ospite si chiama Juan Mancias ed è il portavoce dei nativi americani Carrizo Comecrudo. La comunità si trova nel territorio texano al confine con il Messico, la Rio Grande Valley, dove sta per sorgere l’ennesimo mega-terminal per il gas naturale liquefatto, Rio Grande LNG, che ha già ricevuto un finanziamento record di 1,08 miliardi di dollari da Intesa Sanpaolo. Nei pressi dell’ipotetico sito di costruzione di Rio Grande LNG si trova anche la base spaziale SpaceX di Elon Musk, elemento che pone dubbi sulla sicurezza, oltre che sui sicuri impatti socio-ambientali legati alla realizzazione dell’opera. Insomma, un territorio destinato a divenire l’ennesima zona di sacrificio in nome del mantra estrattivista”.

Al di là della coerenza tra annunci e azioni dei Paesi che fanno parte del forum intergovernativo, i dubbi maggiori riguardano proprio la presidenza italiana del G7. Nonostante gli sforzi dopo il suo insediamento nell’ottobre 2022, il ministro Fratin non è mai apparsa la figura più adeguata a ricoprire un ruolo così importante come quello alla guida del dicastero dedicato all’ambiente. Se addirittura alcuni giornali lo danno come probabile uscente dopo il previsto rimpasto di governo che potrebbe seguire alle elezioni europee, in questo anno e mezzo Fratin ha tentato di nascondere l’affanno dovuto a una palese impreparazione iniziale con il posizionamento dell’Italia tra i Paesi più conservatori anche dal punto di vista ambientale. Una posizione che nel G7 di Torino appare minoritaria.

“Il ministro Gilberto Pichetto Fratin coprirà quindi un ruolo importante di guida, oltre che di arbitro dei negoziati – scrive il think tank per il clima ECCO – Il rischio più grande per l’Italia è quello di dedicare troppa attenzione politica a tecnologie marginali per la decarbonizzazione dell’economia, come i biocombustibili, o del tutto assenti nel sistema italiano, come il nucleare, invece di puntare su soluzioni vincenti per i cittadini e le imprese italiane, come rinnovabili e efficienza”. A tale osservazione ECCO fa poi seguire una serie di precise osservazioni.

“I biocombustibili avranno un impatto limitato per la decarbonizzazione dei trasporti. Anche raggiungendo le aspirazioni del Governo al 2030, spinte dalle priorità di Eni come primo produttore nazionale, questi raggiungerebbero appena il 15% dei consumi – scrive il think tank italiano per il clima – Obiettivo messo in discussione dalla competizione del trasporto elettrico, che sarà sempre più economico, sostenibile e disponibile su larga scala rispetto ai biocombustibili. Investire su di essi significa inoltre aggravare la dipendenza energetica dalle importazioni: già oggi quasi la metà delle biomasse per la produzione di biocarburanti provengono da Cina e Indonesia e con nuovi investimenti previsti in Africa questa dipendenza può solo aumentare, senza garanzie effettive di sostenibilità ambientale e sociale. Puntare sul nucleare per l’Italia sarebbe la scelta meno pragmatica e meno economica. L’Italia non dispone di alcun impianto e tra tempi di accettazione sociale, concessione, pianificazione e costruzione, il nucleare da fissione non arriverebbe realisticamente prima di 15-20 anni. Già oggi tecnologie immediatamente disponibili e con ricadute positive su occupazione locale, come impianti fotovoltaici ed eolici (soprattutto per quanto riguarda installazione e vendite), reti elettriche a batterie, sono più economiche del nucleare. E possono decarbonizzare il settore elettrico italiano al 2035, in linea con il preciso impegno G7 che vige dal 2022, in modo sicuro senza ricorrere al nucleare. Infine, sul nucleare da fusione non vi è ad oggi alcuna evidenza scientifica né di mercato di una reale disponibilità commerciale prima di metà secolo, nonostante il marketing e l’importante azione di pressione messa in campo da Eni”.

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