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venerdì, Novembre 15, 2024

Occhio ai green bond: finanzieranno un terzo del Recovery Fund. “Sì ai regolamenti europei”

Intervista a Elisabetta Villa, investment specialista di Etica Sgr. "Per essere sostenibili serve valutare l'approccio e le strategie di ogni azienda"

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Dopo la recente puntata di Presa Diretta, che in prima serata su Rai3 lo scorso lunedì ha concentrato le proprie attenzioni (anche) sul mondo della finanza che supporta le energie fossili, in pochi potranno continuare a dirsi inconsapevoli di quel che accade con gli investimenti e i prestiti. Se da una parte il mito dello “squalo” finanziario pronto a tutto per “fare ancora più soldi” è duro a morire, dall’altra ci sono sempre più istituzioni ed enti che mirano ad essere sostenibili e a comunicarlo. E questa per loro può rappresnetare un’ulteriore occasione di business.

Lungo questo crinale si muove, in un sottilissimo e precario equilibrio, Banca Etica, l’istituto di credito che da più di 20 anni, come si legge sul sito, “propone un’esperienza bancaria diversa”. Dopo aver analizzato con Elisabetta Villainvestment specialist che fa parte dello staff della Direzione Generale di Etica Sgr, società di gestione del risparmio (Sgr) – l’emissione dei green bond italiani, che hanno anticipato l’adozione a livello comunitario, ora le abbiamo chiesto un approfondimentoasulla nuova modalità di investimento messa in campo dall’Unione europea.

La Ue, infatti, ha ribadito a più riprese che i soli investimenti pubblici non basteranno per sostenere il Green New Deal europeo e i rispettivi Pnrr nazionali. Ecco perché diventa fondamentale conoscere bene lo strumento dei greenbond, più note come obbligazioni verde, soprattutto alla luce del fatto che sono destinati a finanziare almeno per un terzo la ripresa post-Covid. Si tratta almeno di circa 240 miliardi di euro: vale a dire più dell’intero Pnrr italiano, e dieci volte maggiore rispetto alla prima “rata” del Recovery Fund, ricevuto sempre dal nostro Paese.

Leggi anche: Può la finanza contrastare la crisi climatica? “Finora supporta una transizione basata sulle fonti fossili”

Come giudica il quadro di riferimento dei green bond emessi da parte della Commissione europea? In assenza di una tassonomia sulle attività sostenibili, era il massimo che si poteva ottenere?

Iniziamo con una premessa: la Commissione europea ha annunciato, in occasione della presentazione del “NextGenerationEU – Green Bond Framework”, che emetterà 250 mld di euro di obbligazioni verdi entro il 2026. La prima emissione, se le condizioni di mercato lo permetteranno, è prevista per il mese di ottobre. Il Green Bond Framework è linea con quanto previsto dai Green Bond Principles (Gbp) di Icma – International Capital Market Association (l’attuale standard internazionale di mercato) ed è stato sottoposto alla valutazione indipendente di Vigeo Eiris. Lo scorso luglio la Commissione stessa ha presentato una proposta legislativa per il Green Bond Standard Europeo (EUGBS), che ora è al vaglio dei co-legislator: Parlamento europeo e Consiglio.

Si tratta del primo passo del processo legislativo per l’adozione del regolamento europeo sulle obbligazioni verdi, ma ci si attende che la nuova normativa non entri in vigore prima del 2023. Il Green Bond Standard, secondo quanto dichiarato dalla Commissione, è progettato prendendo in considerazione gli standard di mercato esistenti ma, tuttavia, va oltre gli standard di mercato in alcuni aspetti chiave, come ad esempio richiedendo il pieno allineamento alla tassonomia (regolamento UE 2020/852) dei progetti finanziati.

Chiaramente esiste un disallineamento temporale tra le necessità di finanziamento degli investimenti green previsti all’interno dei Piani nazionali di Ripresa e Resilienza e l’entrata in vigore del Green Bond Standard, questo spiega il perché della situazione. Proprio per ovviare a questo disallineamento, a proposito del Green Bond Framework, la Commissione Europea ha dichiarato che esso è stato concepito per essere allineato alla proposta di Green Bond Standard, citando, proprio in merito alla tassonomia, che una parte degli investimenti ammissibili nell’ambito del Recovery and Resilience Facility (RRF) devono rispondere ai criteri di screening tecnico della rassonomia dell’UE.

Quindi, per riassumere, un buon primo passo per cercare di assicurare agli investitori che i proventi saranno utilizzati per finanziare attività realmente sostenibili e minimizzare il cosiddetto fenomeno del greenwashing. È chiaro che, come sempre per le obbligazioni verdi, occorrerà procedere a un’attenta valutazione dei progetti finanziati.

Una partita fondamentale era quella relativa ai finanziamenti su gas e nucleare. Pare di capire che i green bond non supporteranno queste forme di energia, ma ad esse si potrà ricorrere attraverso altri investimenti, anche all’interno dei relativi Piani nazionali. E’ una lettura corretta? E se sì come la giudicate?

Esatto, sappiamo che il dibattito su gas e nucleare è molto spinoso. Alcuni Paesi infatti vorrebbero farli rientrare nella tassonomia in modo tale da poterli finanziare con i fondi europei. Questo però non sarà possibile con i fondi raccolti attraverso l’emissione di green bond. E parliamo di un ammontare importante: il 30% degli 800 miliardi stanziati per la ripresa post Covid-19.

Quando si parla di finanza sostenibile uno dei rischi più noti è quello del greenwashing. Come si può superare questo aspetto, secondo voi?

Cercando di spostare lo sguardo dalla valutazione del prodotto/progetto alla valutazione dell’approccio, della strategia e dell’azione dell’azienda. Non bisogna fermarsi alla vetrina ma occorre valutare quella che viene definita l’ESG identity. A livello di green bond, proprio l’Icma, nella revisione dei Green Bond Principles pubblicata poche settimane fa, raccomanda una maggiore trasparenza a livello di emittente in merito alle strategie e al commitment per la sostenibilità.

Come giudicate il ruolo di garante da parte dell’Unione europea nel campo della finanza sostenibile? Davvero il mercato non è in grado di autoregolamentarsi sugli aspetti green e social dei propri investimenti? E quale può essere il ruolo degli Stati nazionali in un’economia sempre più globale?

I regolamenti che stiamo vedendo entrare in vigore sono pensati per aiutare a fare chiarezza e creare un campo da gioco comune per la finanza sostenibile. L’Unione europea vuole far sì che la finanza diventi il motore del cambiamento verso lo sviluppo sostenibile. Il settore della finanza sostenibile è esploso come dimensione negli ultimi anni e moltissimi player stanno entrando sul mercato, alcuni in modo serio – perché credono all’importanza di una transizione verso modelli di sviluppo sostenibili e inclusivi – altri per cavalcare l’onda, quindi per mere ragioni di marketing. Ci sembra corretto che il regolatore cerchi di garantire trasparenza e coerenza fissando degli standard, a tutela soprattutto dei risparmiatori. Anche in questo caso, proprio per evitare i fenomeni di cui parlavamo poco sopra, il regolatore deve fare un passo in più, dando maggiore enfasi alla coerenza a livello di soggetto e non fermarsi al prodotto.

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