La direttiva Green claims è quasi arrivata a meta: manca solo l’approvazione formale del Consiglio per questa norma che contribuità – insieme alla direttiva “Empowering consumers for the green transition” (Responsabilizzare i consumatori per la transizione verde) – a mettere un freno al fenomeno del greenwashing. Novità dell’ultimo miglio è la richiesta, avanzata attraverso une lettera congiunta da una serie si associazioni imprenditoriali, di “considerare attentamente l’architettura della ‘procedura semplificata’ proposta per garantire chiarezza, prevedibilità e certezza del diritto per tutte le parti interessate, semplificando e riducendo al contempo gli oneri per gli operatori”.
Vediamo meglio di cosa stiamo parlando.
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I firmatari
“Abbiamo bisogno di un quadro di riferimento ben progettato e attuabile per i green claims, che consenta di raggiungere gli obiettivi climatici e ambientali dell’UE e metta i consumatori in condizione di fare scelte più sostenibili. Saremmo lieti di avere l’opportunità di un dialogo aperto e trasparente per garantire un quadro pratico e attuabile a prova di futuro, sia per i commercianti che per le autorità di verifica”, scrivono i firmatari. In calce alla lettera aperta al Consiglio troviamo i nomi di 14 associazioni di imprese: come ACE –The Alliance for Beverage Cartons and the Environment, FoodDrinkEurope, l’ International Association for Soaps, Detergents and Maintenance Products (A.I.S.E.), CEPI-Confederation of European Paper Industries, EUROPEN – The European Organisation for Packaging and the Environment, Cosmetics Europe, FESI – Federation of the European Sporting Goods Industry, NATRUE – the International Natural and Organic Cosmetic Association, TIE – Toy Industries of Europe ma anche AmCham EU – American Chamber of Commerce to the EU e la WFA, World Federation of Advertisers.
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Le richieste nel dettaglio
Un quadro be progettato e praticabile. Ma come? Sono tre gli strumenti indicati dalle imprese, tutti centrati su meccanismi di semplificazione:
– Includere l’applicazione immediata della procedura semplificata per le indicazioni che non richiedono una valutazione completa del ciclo di vita (LCA), come nel caso di metodologie ampiamente riconosciute (ad esempio, ISO, OCSE, PEF, Ecolabel UE);
– Evitare di imporre alla Commissione europea l’adozione di norme secondarie che specifichino i requisiti di comprova e di comunicazione per ogni tipo di indicazione ambientale: “Ciò comporterebbe un dispendio di risorse per la Commissione (con un maggiore rischio di ritardi) e un elenco positivo (di divieti, ndr), con conseguenze negative sulle nuove indicazioni che riflettono l’innovazione”;
– Evitare la “duplicazione dei requisiti di documentazione” per le indicazioni ambientali “la cui fondatezza si basa su norme stabilite da altre legislazioni dell’UE o per le indicazioni ambientali basate su etichette riconosciute”. Garantendo che le etichette preesistenti e ben riconosciute possano ricevere un riconoscimento di conformità più rapido.
Semplificazione, agilità, investimenti
Siccome la direttiva prevede che le etichette e le affermazioni che hanno a che fare con la sostenibilità dovranno essere valutate prima di essere proposte al pubblico, le preoccupazione delle imprese sono relative ai rischi di stallo e investimenti fatti sulla base di norme fresche di pubblicazione senza uno storico di applicazioni che possano guidare i produttori e i commercianti. “Un quadro agile è essenziale per sostenere i necessari investimenti dell’industria per raggiungere gli ambiziosi obiettivi climatici e ambientali dell’UE – si legge nella lettera – oltre a garantire la pronta informazione dei consumatori per scelte più sostenibili”.
I firmatari affermano, ma i numerosi casi di greenwashing dimostrano il contrario, che “informare i consumatori sul profilo di sostenibilità di un’azienda o di un prodotto rappresenta un notevole incentivo per i commercianti a perseguire soluzioni più sostenibili. È un catalizzatore che spinge all’innovazione e agli investimenti, favorendo la competitività del settore nel campo della sostenibilità”. La direttiva, aggiungono, riceve il sostegno delle impese, perché “sarà fondamentale per stabilire regole chiare per le dichiarazioni ambientali, creando condizioni di parità tra i commercianti”.
I rischi di un sistema frammentato
Tuttavia, “il processo di verifica e certificazione ex-ante stabilito nella proposta solleva preoccupazioni tra gli operatori del settore”. Con il rischio di creare “27 diversi sistemi di approvazione”. L’elevato numero di indicazioni ed etichette ambientali che dovranno essere pre-verificate “ostacolerebbe il mercato interno dell’UE, aumentando l’onere e i costi per i commercianti e ritardando di conseguenza la fornitura di informazioni ai consumatori”. Fatto, sostengono le imprese, “contrario agli obiettivi di promuovere la competitività dell’industria europea nella transizione verde”.
La soluzione: semplificare
Per ridurre le sfide per tutte le parti interessate (dagli operatori commerciali alle autorità nazionali e ai verificatori), il quadro stabilito dalla direttiva “dovrebbe essere semplificato”. In particolare i firmatari sostengono l’intenzione del Consiglio di “introdurre una procedura semplificata per ridurre l’onere dei requisiti di comprova e di verifica ex-ante per specifiche dichiarazioni ambientali”. Tuttavia, aggiungono, “siamo preoccupati per gli strumenti proposti dal Consiglio per semplificare il quadro normativo, in quanto potrebbero creare un onere aggiuntivo non intenzionale, duplicando in alcuni casi la documentazione da fornire e complicando ulteriormente la procedura semplificata con l’obbligo di adottare norme dettagliate da parte della Commissione europea”.
Rischio annacquamento delle norme sulla compensazione delle emissioni
Una bozza di testo trapelata nei giorni scorsi mette in dubbio i progressi fatti finora sulla compensazione delle emissioni climalteranti. In particolare il Parlamento Ue, nel licenziare il proprio testo, aveva stabilito che le imprese avrebbero potuto comunicare i benefici delle compensazione delle emissioni di CO2 solo dopo aver agito sulla riduzione (e quindi compensando le “emissioni residue”). Secondo il testo trapelato, gli Stati membri potrebbero spingere per ottenere maggiori opportunità di utilizzo dei crediti di carbonio certificati. “La compensazione delle emissioni di carbonio non cancella magicamente le emissioni, ma semplicemente le rende più ecologiche con un trucco contabile”, ha dichiarato a Euronews Margaux Le Gallou, specialista di pratiche di greenwashing presso l’ONG Environmental Coalition on Standards: “Se il Consiglio autorizza l’uso dei crediti di carbonio senza limiti, le aziende saranno poco incentivate a ridurre le proprie emissioni”.
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