Alcune pratiche non hanno confini: è il caso del greenwashing, che in Italia viene definito come “ambientalismo di facciata”. Così non sorprende che possa arrivare dagli Usa un report molto discusso, persino su una testata generalista e severa come The Washington Post. Il report, dall’altisonante titolo “La sporca verità”, denuncia il greenwashing delle società pubbliche di servizi – qui in Italia le chiamiamo anche utilities, alla stessa maniera del mondo anglosassone.
Il rapporto “The Dirty Truth About Utility Climate Pledges” è stato scritto da una serie di esperti e esperte del Sierra Club e da Leah Stokes, professoressa presso l’Università della California, che da anni studia le politiche climatiche. “Per il bene delle nostre comunità e del pianeta – si legge nella sintesi del report – dobbiamo fare tutto il possibile per creare una rete elettrica pulita e rinnovabile entro il 2030. Le utilities devono guidare questa transizione, ma le nostre ricerche dimostrano che sono del tutto impreparate a fare la loro parte. L’energia pulita è affidabile e conveniente; le aziende non hanno scuse per ritardare e non hanno tempo da perdere”.
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Impegni climatici, greenwashing e dove trovarlo
Il report di Sierra Club, giunto alla seconda edizione, esamina 77 società pubbliche con interessi nei combustibili fossili. A essere scandagliata, però, è la coerenza tra gli impegni climatici assunti e gli investimenti in atto, nonché i piani industriali annunciati. Il principale obiettivo climatico, sul quale tutte le società interpellate si sono dette d’accordo, è la produzione dell’80% di energia pulita entro il 2030: si tratta di un risultato a cui aspira lo stesso presidente degli Stati Uniti Joe Biden ma sul quale, si legge nel report, “le società di servizi pubblici non hanno i piani per sostenerlo”.
Uno dei primi dati che emerge è che, rispetto all’anno scorso, quasi la metà delle società analizzate non ha fatto progressi o ha ricevuto un punteggio inferiore. Sotto esame, poi, i piani per ritirare le centrali a carbone, interrompere la costruzione di nuove centrali a gas e distribuire più energia rinnovabile. Qui le critiche si fanno ancora più serrate, basti pensare che, come denucia il report, “37 delle società di servizi pubblici hanno in programma di costruire nuovi impianti a gas per un totale di quasi 38 gigawatt entro il 2030, nonostante gli avvertimenti degli scienziati del clima sui pericoli che comporta la costruzione nuove infrastrutture per i combustibili fossili”.
In un mondo globalizzato come il nostro, in cui tutto è interconnesso, ciò avviene anche per le scelte energetiche di una singola nazione. Specie se si tratta di una potenza economica come gli Usa che, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, sono diventati il principale fornitore dell’Europa del GNL, il gas naturale liquefatto, che nelle intenzioni degli Stati membri dell’Unione europea – in primis Germania e Italia – dovrà compensare l’assenza delle forniture russe. Un business sul quale si stanno fiondando anche le società pubbliche oggetto dell’esame del report di Sierra Club.
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